Cassazione Penale, Sez. 4, 23 giugno 2016, n. 26114

… “Nella specie, come correttamente rilevato dalla Corte triestina, il rischio era stato preveduto ma non adeguatamente fronteggiato, atteso che, pur mettendo a disposizione degli operatori una pinza per il posizionamento dei tappi, non veniva scongiurato il rischio che costoro, anche solo accidentalmente, potessero abbandonare la pinza e posizionare una mano sotto il punzone, eventualmente durante la discesa dello stesso. L’unico modo per evitare detto rischio era quello di approntare un dispositivo da applicarsi allo stesso macchinario, in modo da condizionare ad esso, e non a uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore, il funzionamento in sicurezza. Tale dispositivo (la pulsantiera a doppio comando) fu introdotto però solo dopo l’incidente, e deve ragionevolmente escludersi che, se esso fosse stato già applicato sul macchinario in uso alla M.P., l’incidente si sarebbe ugualmente verificato, in quanto sarebbe stata necessaria un’ulteriore azione dell’operatrice (quella di premere il secondo pulsante) per azionare la discesa del punzone.”


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 05/05/2016

Fatto

1. La Corte d’appello di Trieste, 1 Sezione penale, con sentenza resa in data 16 febbraio 2015, in parziale riforma di quella emessa in primo grado dal Tribunale di Udine il 6 giugno 2013, sostituiva la pena detentiva applicata a M.A. con quella pecuniaria corrispondente (€ 22.500 di multa), revocando nel contempo la sospensione condizionale della pena e confermando nel resto la decisione di primo grado, in relazione al delitto di cui all’art. 590 cod.pen., con violazione dell’art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, contestato all’M.A. in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso in Mereto di Tomba il 23 settembre 2009.
L’infortunio si verificava ai danni di M.P., dipendente della Biofarma S.p.A., società nella quale l’M.A. rivestiva la qualità di procuratore speciale con funzioni di datore di lavoro nei settori della sicurezza e igiene del lavoro e dell’ecologia. La M.P. era addetta all’impiego di una tappatrice semiautomatica, con la quale doveva confezionare e provvedere di tappo alcuni flaconcini contenenti integratori; nell’appoggiare uno dei flaconcini sull’apposito supporto, dopo avervi poggiato sopra un tappo, azionava la leva di discesa della macchina, che avrebbe avvitato il tappo automaticamente; ma, per evitare che il tappo, rimasto in bilico, cadesse aveva inserito la mano nella linea di corsa della tappatrice, che scendendo le provocava lo schiacciamento della falange del pollice e le conseguenti lesioni di cui in rubrica. All’M.A. é contestato di avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di sistema di protezione atto a impedire ai lavoratori di entrare in contatto con la ghieratrice durante il movimento di discesa della stessa, in quanto la macchina era sprovvista di pulsantiera a doppio comando.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre l’M.A. per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso é articolato in sei motivi, tutti tesi a contestare vizi di motivazione nella detta pronunzia.
2.1. Con il primo motivo si denuncia travisamento della prova per omissione, con riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, la quale riferiva di avere ricevuto una adeguata formazione, nel senso che ai lavoratori era stato spiegato che era necessario usare una apposita pinza per il posizionamento del tappo ed erano state fornite le ulteriori istruzioni, con un apposito corso di formazione; inoltre la M.P. dichiarava espressamente che il fatto si era verificato per sua negligenza.
2.2. Con il secondo motivo lamenta l’esponente che la Corte di merito, nel sostenere che le mani della M.P. non erano impegnate, non ha tenuto conto dei motivi d’appello riferiti al fatto che le mani dell’operatore addetto al macchinario dovevano essere ambedue impegnate (una per posizionare il tappo mediante la pinza, l’altra per azionare il pulsante di discesa), come confermato anche dalla teste L.B., la quale ha fra l’altro precisato che la M.P. aveva lavorato con quella tappatrice per circa 6 anni, prima dell’incidente.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa valutazione, da parte della Corte territoriale, della perizia eseguita dall’ing. P., il quale ha asserito che già prima dell’incidente era stato compiutamente valutato il rischio dall’azienda ed era stato disposto che il lavoratore usasse la pinza, così da poter operare in sicurezza e da evitare che potesse introdurre le mani sotto la tappatrice; e che la successiva applicazione della pulsantiera a doppio comando, dopo che si era verificato l’incidente, ha solo migliorato e reso più efficiente il sistema di sicurezza, senza peraltro eliminare completamente il rischio. In pratica, sulla base delle prospettazioni peritali non accolte dalla Corte di merito, quello concretizzatosi deve considerarsi, secondo l’esponente, come un rischio ineliminabile e perciò consentito.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’abnormità del comportamento della M.P., da considerarsi imprevedibile e tale da sollevare l’M.A. da responsabilità.
2.5. Con il quinto motivo, che può ritenersi collegato al precedente, il ricorrente denuncia manifesta illogicità della motivazione, con la quale la Corte di merito ha ritenuto che un comportamento negligente e disattento come quello tenuto dalla M.P. non abbia interrotto il nesso causale tra la condotta attribuita all’M.A. e l’evento lesivo; nell’articolare il motivo in esame il ricorrente ripropone altresì le doglianze precedentemente illustrate, a dimostrazione dell’imprevedibilità dell’accaduto a fronte della compiuta analisi del rischio e dell’esistenza di un dispositivo idoneo a prevenire eventi del genere di quello verificatosi.
2.6. Con il sesto e ultimo motivo il ricorrente denuncia carenza argomentativa in ordine alla misura della pena, motivata esclusivamente sulla base della gravità del fatto, a fronte della reale entità delle lesioni riportate dalla M.P. (perdita di un’unghia).
3. All’odierna udienza, rassegnando le conclusioni, il difensore del ricorrente ha chiesto applicarsi la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod.pen.).

Diritto

1. Il primo e il secondo motivo, che possono essere congiuntamente trattati, sono entrambi inammissibili, siccome manifestamente infondati.
Quanto alla censura riferita a travisamento della prova per omissione, va ricordato che, in presenza di “doppia conforme” (come nel caso di specie), il vizio di travisamento della prova é deducibile sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837; nello stesso senso, Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014- Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014 – Rv. 258438).
Tanto premesso, é evidente che tale condizione non si é verificata: la Corte di merito ha infatti adeguatamente valutato, in più passaggi della pronunzia impugnata, la circostanza che la M.P. aveva posto in essere un’azione istintiva, avendo messo accidentalmente le mani sotto alla tappatrice e azionando contemporaneamente il pulsante per la discesa del punzone: un’azione evidentemente improntata a negligenza e distrazione, come peraltro ammesso dalla stessa persona offesa. Tuttavia il fatto che il rischio con essa concretizzatosi fosse stato da tempo previsto dall’azienda e che fossero state date istruzioni ai dipendenti per impiegare la macchina senza tenere le mani libere (ossia utilizzando una pinza con una mano e con l’altra azionando il pulsante) non significa che in tal modo detto rischio fosse stato adeguatamente prevenuto, ed a nulla rileva che il macchinario fino a quel momento non avesse cagionato infortuni simili a quello occorso alla M.P., proprio in considerazione del fatto che il rischio poi concretizzatosi aveva comunque formato oggetto di previsione fin dall’arrivo del macchinario in azienda, sebbene le cautele adottate per scongiurare detto rischio si siano rivelate del tutto inidonee.
Quanto alla disposizione cautelare violata, l’art. 71 D.Lgs. 81/2008 fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013); nella specie, come correttamente rilevato dalla Corte triestina, il rischio era stato preveduto ma non adeguatamente fronteggiato, atteso che, pur mettendo a disposizione degli operatori una pinza per il posizionamento dei tappi, non veniva scongiurato il rischio che costoro, anche solo accidentalmente, potessero abbandonare la pinza e posizionare una mano sotto il punzone, eventualmente durante la discesa dello stesso. L’unico modo per evitare detto rischio era quello di approntare un dispositivo da applicarsi allo stesso macchinario, in modo da condizionare ad esso, e non a uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore, il funzionamento in sicurezza. Tale dispositivo (la pulsantiera a doppio comando) fu introdotto però solo dopo l’incidente, e deve ragionevolmente escludersi che, se esso fosse stato già applicato sul macchinario in uso alla M.P., l’incidente si sarebbe ugualmente verificato, in quanto sarebbe stata necessaria un’ulteriore azione dell’operatrice (quella di premere il secondo pulsante) per azionare la discesa del punzone.
2. Il terzo motivo é infondato.
Nella sentenza si dà conto del fatto che il rischio era stato previsto dall’azienda e che a tal fine era stato disposto che i lavoratori impiegassero il macchinario tenendo ambo le mani occupate, e utilizzando una pinza per il posizionamento dei tappi; l’adozione del pulsante a doppio comando, successiva al verificarsi dell’evento, ha ridotto il rischio, per come riferito dallo stesso perito ing. P., ma é di tutta evidenza che tale rischio aveva comunque formato oggetto di previsione e che si é concretizzato nell’Infortunio per cui si procede per la mancata adozione di dispositivi più efficaci, nei termini già illustrati.
In proposito, essendo stato evocato dal ricorrente il concetto di rischio consentito, va ricordato che il datore di lavoro é responsabile delle lesioni occorse all’operaio in conseguenza dell’uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (Sez. 4, n. 22819 del 23/04/2015, Baiguini, Rv. 263498: in motivazione la Corte ha precisato che il datore di lavoro é tenuto ad accertare la compatibilità dei dispositivi di sicurezza adottati, i quali, pur se sofisticati, potrebbero rilevarsi insufficienti in ragione delle modalità con cui la macchina é in concreto utilizzata). Orbene, il fatto stesso che subito dopo l’infortunio sia stata avvertita la necessità di corredare il macchinario con un dispositivo di maggiore sicurezza, atto a evitare che anche per mera distrazione l’operatore inserisse una mano libera sotto il punzone in discesa, rende evidente che il rischio poteva essere ridotto tempestivamente osservando la dovuta diligenza.
3. Il quarto e il quinto motivo, strettamente collegati fra loro, possono essere congiuntamente trattati e devono ambedue considerarsi inammissibili, perché manifestamente infondati.
La Corte ha correttamente escluso che il comportamento della M.P. potesse considerarsi abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata all’M.A. e l’evento lesivo: invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, sicché la condotta imprudente dell’Infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore ed all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che é interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento é “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri).
Nella specie, é di tutta evidenza che la condotta della M.P. si inseriva invece pienamente, e in modo tutt’altro che imprevedibile o eccentrico, nell’area di rischio affidata alla gestione dell’M.A., nella sua qualità datoriale: da un lato perché questi, sul piano generale, era affidatario in base all’art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 della posizione di garanzia connessa alla messa a disposizione dei dipendenti di strumenti e macchinari corredati dei necessari dispositivi di sicurezza; dall’altro perché proprio il rischio di un utilizzo inidoneo del macchinario aveva formato oggetto di espressa previsione e di apposita informazione ai dipendenti, ancorché mediante l’individuazione di una procedura di sicurezza inidonea, per le ragioni già viste. Va aggiunto che l’inidoneità di detta procedura all’utilizzo in sicurezza della macchina era a sua volta prevedibile ed evitabile, non concretizzandosi nell’adozione di dispositivi interni al macchinario che ne condizionassero il funzionamento rendendolo più sicuro e meno rischioso, ma implicando un tacere da parte dell’operatore, che omettendolo avrebbe poi potuto trovarsi ugualmente esposto al rischio, come in effetti avvenne.
4. Il sesto motivo é infondato.
La doglianza é circoscritta alla contestazione della motivazione di rigetto, adottata dalla Corte territoriale, a fronte della richiesta difensiva di ridurre la pena al minimo edittale: l’esponente deduce che il mero riferimento alla gravità del fatto non vale a fondare un corretto percorso argomentativo, specie se si considera che é la stessa Corte a riconoscere che le lesioni erano consistite in un’avulsione dell’unghia e non in una sub-amputazione del primo dito.
In realtà la Corte, sia pure errando circa l’estensibilità del divieto di giudizio di comparazione fra circostanze alla materia delle lesioni colpose da violazione di norme prevenzionistiche (il divieto, in base al testo in allora vigente dell’art. 590-bis cod.pen., riguarda unicamente le lesioni realizzate con violazione delle norme sulla circolazione stradale e in condizioni di abuso), ha sufficientemente motivato, facendo riferimento ai criteri della gravità del fatto e delle conseguenze lesive: a prescindere dalla qualificazione della patologia riscontrata, detti criteri vanno letti alla luce dell’incidenza concreta dell’evento sulla capacità della persona offesa di attendere alle proprie ordinarie occupazioni, capacità che deve sicuramente considerarsi limitata nel periodo di astensione dal lavoro conseguente alle lesioni riportate, che nella specie é durato 108 giorni (cfr. Sez. 4, n. 32687 del 08/07/2009, Cimberio, Rv. 245116).
5. Quanto alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, rileva la Corte che non vi sono i presupposti per concederla.
Premesso che la sentenza impugnata é stata emessa in data antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 28/2015 (che ha introdotto nel nostro sistema processuale ordinario l’istituto della particolare tenuità del fatto), risponde a verità che nella specie non ricorre alcuno degli elementi ostativi previsti dall’art. 131-bis cod.pen. ai fini della configurabilità della causa di non punibilità in esame; e va altresì rilevato che é ormai pacifica la natura sostanziale della stessa e della sua conseguente applicabilità ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore.
Ciò posto deve rammentarsi che, sulla scorta del recente arresto della giurisprudenza apicale di legittimità (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj), la valutazione sulla particolare tenuità del fatto richiede necessariamente, da parte del giudice di merito, l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado della colpevolezza.
Ora, nella specie va considerato che in sede di giudizio di merito la pena é stata applicata in misura non minimale; e, soprattutto, che le conseguenze dannose del reato, come si é già osservato, sono consistite in un periodo di astensione dal lavoro alquanto prolungato.
Perciò, considerati i principi che informano la materia alla luce della citata giurisprudenza apicale, non si ravvisano le condizioni per accedere alla richiesta difensiva.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5 maggio 2016.

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