Cassazione Penale, Sez. 4, 23 giugno 2016, n. 26115

Infortunio con la piattaforma a cestello. Mezzo non adeguatamente stabilizzato, omesso POS e mancata formazione. Ruolo dei datori di lavoro di fatto e di diritto.


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: GIANNITI PASQUALE
Data Udienza: 05/05/2016

Fatto

1. R.G. e Z.C., sono stati tratti a giudizio, davanti al Tribunale di Trento, per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 590 c.p. (in relazione all’art. 583 comma 1 numero 1 c.p.), per aver colpevolmente cagionato, in cooperazione tra loro, nelle loro qualità di datore di lavoro, a C.L. lesioni personali gravi (e precisamente un traumatismo contusivo succussivo da precipitazione con frattura della I vertebra lombare, lesione giudicata guarita in circa 90 giorni e comunque determinante incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni) in Collegno in data 7 aprile 2008.
Era accaduto che, in detta data, presso il cantiere sito in Collegno, c.so Omissis, il lavoratore D.C. (dipendente del Z.C., ma in via di fatto anche del R.G.) – mentre svolgeva la propria attività lavorativa in qualità di operatore di cestello, operante su una piattaforma a cestello (ponte sviluppabile Simon Cella Terex VT420 montato su autocarro Iveco tg. Omissis), di proprietà della predetta ditta individuale e noleggiato (con l’operatore) dal lavoratore autonomo C.L. (che aveva ricevuto incarico dal condominio di c.so Omissis per l’esecuzione di alcune opere di rimozione dell’intonaco e di tinteggiatura sulla facciata dell’edificio, di 3 piani fuori terra) – dopo aver posto sotto gli stabilizzatori tavole di ripartizione di spessore inferiore a 50 mm (e, quindi, non rispettanti le indicazioni minime previste dal libretto di istruzioni relative all’uso della piattaforma mobile), era salito, quale addetto alla conduzione della piattaforma, unitamente all’artigiano C.L., sulla piattaforma stessa, con imbarcature dì sicurezza ma senza cordini di vincolo, per effettuare le manovre necessarie per comandare il movimento della citata piattaforma; e, nel manovrare la medesima, ne aveva determinato lo sviluppo in altezza sino a circa 12 metri da terra e lo sbracciamento necessario a raggiungere il posto di lavoro (cornicione dell’edificio), raggiungendo il punto massimo di sbracciamento segnalato pure dall’accensione di apposita spia luminosa nel quadro comandi, così determinando la conseguente progressiva inclinazione della piattaforma che finiva per impattare contro il terreno.
Era contestato ad entrambi gli imputati di aver cagionato colposamente le gravi lesioni personali, subite dal C.L. nell’occasione, per violazione della normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro; e precisamente per colpa generica (consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia) e per violazione delle seguenti disposizioni di legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro:
a) art. 9 d. Lgvo n. 494/96, per aver omesso di redigere prima dell’esecuzione dei lavori un piano operativo di sicurezza che avrebbe dovuto evidenziare, tra l’altro, il rischio di ribaltamento del mezzo e, conseguentemente, i metodi, gli strumenti per misurare e valutare la velocità del vento e la resistenza del terreno al fine di verificarne la congruenza con i limiti imposti dal costruttore;
b) art. 35 co. I d. Lgvo n. 626/94, omettendo di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere, e nello specifico piastre o assitti di opportuno spessore da sistemare al di sotto degli stabilizzatori;
c) arti. 21, 22, 37 co. I lett. a), 38 co. I lett. a) d.lgvo 626/94, per aver omesso di fornire al lavoratore adeguata informazione ed istruzione d’impiego necessaria in rapporto alla sicurezza ed alle condizioni d’uso della piattaforma mobile sopra indicata nonché per aver omesso di fornire al lavoratore una formazione adeguata sull’uso delle attrezzature di lavoro, ed in particolare per aver omesso di fornire al lavoratore una formazione ed un addestramento adeguati e corretti sulle modalità di utilizzo della sopra indicata piattaforma mobile, anche in relazione alle corrette indicazioni sull’uso delle tavole di ripartizione e sulla resistenza del terreno agli stabilizzatori.
2. Il Tribunale di Torino, con sentenza emessa in data 28/02/2014 ad esito di giudizio ordinario, ha dichiarato entrambi gli imputati responsabili del reato loro ascritto e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ha condannato entrambi alla pena di euro 280 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile, danni da liquidarsi in separato giudizio, disponendo a carico degli stessi una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 25 mila.
3. La Corte di appello di Torino, con sentenza emessa in data 15 luglio 2015, in parziale riforma della sentenza, ha ridotto la somma liquidata alla parte civile a titolo provvisionale a euro 10.000,00, confermando nel resto la sentenza appellata.
4. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione l’imputato R.G., deducendo vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità.
Al riguardo, il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte di appello aveva condiviso il ragionamento del giudice di primo grado, senza indicarne le ragioni. In particolare, sotto un primo profilo si lamenta del fatto che la Corte aveva ritenuto il C.L. suo lavoratore dipendente, mentre in realtà il C.L. era (a suo dire) un lavoratore autonomo che aveva ricevuto incarico dal condominio di Collegno Omissis di eseguire opere di rimozione dell’intonaco e di tinteggiatura sulla facciata dell’edificio e che, per eseguire tale opere, aveva da lui noleggiato a caldo (cioè con operatore, D.C., dipendente della ditta individuale Italmec del coimputato Z.C., impresa artigiana alla quale lui subappaltava alcuni lavori) la piattaforma indicata in imputazione, che era di sua proprietà. In definitiva, secondo il ricorrente, poiché il danneggiato non era un suo dipendente, non era suo compito fare rispettare allo stesso le misure di sicurezza. Egli era solo il proprietario del mezzo dato a noleggio, che peraltro era risultato dotato di ogni sistema di sicurezza e in particolare di imbragatura (come riferito dallo stesso danneggiato in sede di sommarie informazioni rese il 14 aprile 2008).
Sotto altro profilo il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte territoriale, al pari del giudice di primo grado, non aveva indicato per quali ragioni il cedimento del terreno non dovesse essere considerato un evento imprevedibile, interruttivo del nesso causale.

Diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, va dichiarato inammissibile.
2. Al riguardo, occorre rilevare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, tra le tante, Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1995, Beyzaku, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (sent. n. 6402 del 30/04/1997, dep. 1997, Dessimone ed altri, Rv. 207945).
E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, sent. n. 17905 del 23.03.2006, Baratta, Rv. 234109).
Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (tra le tante, Sez. 1, sent. n. 1769 del 23/03/1995, Ciraolo, Rv. 201177; Sez. 6, sent. n. 22445 del 8/05/2009, Candita ed altri, Rv. 244181).
E la illogicità, quale vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sent. n. 6402 del 30/04/1997, dep. 1997, Dessimone ed altri, Rv. 207945).
3.Orbene, il Tribunale di Torino, ad esito dell’istruzione dibattimentale (nel corso della quale, in particolare, è stata acquisita documentazione; è stata sentita la persona offesa; è stato acquisito, nell’accordo delle parti, il verbale di sommarie informazioni rese da D.C. ; ed è stato sentito il tecnico dr. G.P., funzionario del Servizio di igiene e sicurezza del lavoro della ASSL To 3) ha ricostruito i fatti nei termini che seguono.
C.L. era lavoratore autonomo ed aveva ricevuto incarico dal condominio di corso Omissis in Torino di eseguire alcune opere di rimozione dell’intonaco e di tinteggiatura sulla facciata dell’edificio. Egli, per eseguire dette opere, aveva noleggiato “a caldo” (con operatore) la piattaforma a cestello — ponte sviluppabile montato su autocarro IVECO – dalla ditta Muratori e Posatori di R.G.. L’operatore incaricato dalla ditta del R.G., che affiancava il C.L. il giorno dei fatti, era D.C., che lavorava per la ditta Muratori e Posatori di R.G. pur essendo formalmente assunto dalla ditta individuale ITALMEC dell’imputato Z.C.. Dalle dichiarazioni di D.C, era risultato che quest’ultimo prendeva ordini e direttive da R.G., mentre lo stipendio gli veniva versato da Z.C.. L’imputato R.G. in sede di esame aveva spiegato che ITALMEC è impresa artigiana con dipendenti, a cui egli subappaltava alcuni lavori; che D.C. aveva iniziato a manovrare piattaforme con ottimi risultati, tanto che lui aveva pensato di organizzare l’attività di noleggio della piattaforma con operatore (D.C., appunto). Il 7.4.2008 D.C., all’inizio dei lavori, aveva posizionato il mezzo di lavoro sulla strada privata posta di fronte all’edificio, mentre C.L. aveva preparato i materiali. Quindi, entrambi erano saliti sulla piattaforma, D.C. comandando il mezzo dai comandi posti sulla piattaforma medesima. I due lavoratori indossavano entrambi l’imbracatura di sicurezza (mentre era rimasta dubbia l’assicurazione delle imbracature alla piattaforma dal momento che D.C. aveva dichiarato che la stessa era vincolata, mentre C.L. aveva sostenuto di non ricordare detto particolare; il mancato rinvenimento dei cordini di vincolo – al quale si fa riferimento nel verbale redatto dal personale SPRESAL intervenuto – ha fatto propendere il Giudice di primo grado a ritenere più verosimile per l’assenza di adeguata assicurazione). Indi, i due avevano sviluppato la piattaforma sino all’altezza del cornicione dell’edificio (alto circa m. 12), e l’avevano sbracciata fino a raggiungere il punto di lavoro. Il mezzo era posizionato sulla modalità B (ovvero portata sino a 200 kg). D.C. aveva riferito che sul quadro comandi del cestello si era accesa la luce rossa, che indicava il raggiungimento del limite di raggio dello sbracciamento, limite oltre il quale il mezzo si bloccava. A questo punto, la piattaforma aveva preso ad inchinarsi sempre più velocemente, sino ad impattare contro il terreno; nell’impatto, C.L. aveva riportato le gravi lesioni descritte in imputazione.
Sulle cause del sinistro il Giudice di primo grado ha rilevato che gli accertamenti esperiti nell’immediatezza dallo SPRESAL avevano consentito di appurare che la progressiva inclinazione del mezzo era stata dovuta al cedimento del terreno su cui il mezzo era poggiato. Dalla documentazione fotografica risultava che il terreno posto al di sotto dello stabilizzatore posteriore sinistro aveva ceduto ed era sprofondato per una ventina di centimetri. Invero, il terreno (su cui gli stabilizzatori erano poggiati) era inadeguato, posto che gli stabilizzatori di sinistra erano poggiati su un marciapiede che evidenziava crepe e sconnessioni. Sotto il piede, poi, erano posizionate tavole in legno (di sezione 250×50 mm.) inadeguate, che non avevano retto il peso del mezzo e si erano rotte. E dunque, il mezzo non era adeguatamente stabilizzato. Il libretto di istruzioni per l’uso della piattaforma prescriveva invero l’utilizzo di ‘barrotti”, cioè “pezzi di legno spessi almeno 10 centimetri, a formare un quadro di almeno 60 x 60”. Aveva spiegato il tecnico G.P. che si doveva “fare una verifica di queste caratteristiche del terreno e utilizzare delle piastre, o comunque degli spessori adeguati, per distribuire su una superficie più ampia il carico che derivava dall’azione dello stabilizzatore… invece nel caso di specie .. . avevamo delle tavole che erano semplicemente accostate … non aveva una caratteristica di resistenza sufficiente . . .”. Invero, si stava posizionando un mezzo pesante, che (secondo le indicazioni del costruttore) trasmetteva al terreno un carico molto elevato (che arrivava fino alle 18 tonnellate su ogni piede).
In punto di addebito all’odierno ricorrente, il Tribunale di Torino ha osservato che l’inadeguatezza del posizionamento della macchina operatrice doveva essere imputata a titolo colposo ai datori di lavoro (di fatto e di diritto, rispettivamente R.G. e Z.C.) di colui che aveva azionato il mezzo in esame, sotto il profilo della carenza di formazione ed informazione del lavoratore. Era assente il piano operativo di sicurezza tanto per la ditta dello Z.C. quanto per quella del R.G.. E dunque, “la mancata redazione di un piano operativo di sicurezza portava a ritenere che una valutazione specifica di quel rischio non fosse stata condotta. Non poteva dirsi equipollente alla formazione dovuta il limitato “esercizio” fatto dal D.C. col vecchio proprietario del mezzo, al quale lo stesso D.C. aveva fatto cenno nelle sue s.i.t. Gli organi delegati al controllo avevano contestato detti profili di colpa ad entrambi i datori di lavoro, per violazione del dovere di formazione ed informazione e della valutazione del rischio imposti dagli artt. 4 comma 7, 21 e 22, 37 e 38della l. 626/94. E d’altronde palese era stata la violazione dell’art. 35 comma I della legge citata, posto che idonea piastra di appoggio degli stabilizzatori, ovvero adeguati barrotti indicati nel libretto d’uso della macchina, non erano stati forniti dai datori di lavoro al D.C..
In punto di nesso di causalità, il Giudice di primo grado ha ritenuto che il verificatosi cedimento del terreno non rivestiva affatto i caratteri dell’evento imprevedibile, che, come è noto, interrompe il nesso causale tra azione ed evento. Vero era che, per come emerso in dibattimento, gli stessi vigili del Fuoco, allorquando erano intervenuti per rimuovere la macchina operatrice, erano stati costretti a piazzare una piastra d’acciaio quale stabilizzatore, poiché il terreno cedeva anche sotto lo stabilizzatore della loro autogru. Tuttavia, i Vigili del Fuoco avevano dovuto operare in emergenza, e posizionare la macchina su un terreno che già era stato accertato instabile. In ogni caso la stabilità del terreno dovesse essere accertata e che l’instabilità non era affatto imprevedibile.
Il terreno sul quale erano stati appoggiati gli stabilizzatori aveva certamente le caratteristiche del terreno “poco consistente”, caratteristica che, ai sensi dell’art. 4, punto I e 2, del manuale di istruzioni, avrebbe richiesto l’impiego di apposite tavole aventi speciali requisiti. Siffatte caratteristiche erano direttamente percepibili da qualsiasi operatore, correttamente formato ed informato.
In definitiva, le omissioni dei datori di lavoro sotto il profilo della formazione ed informazione e della mancata predisposizione del piano di valutazione dei rischi avevano avuto efficacia causale diretta nella determinazione del grave infortunio che aveva cagionato al Cucciolo le lesioni descritte in imputazione.
4. D’altra parte, la Corte di Appello ha chiarito, sviluppando un percorso argomentativo tutt’altro che manifestamente illogico, che le emergenze probatorie, acquisite agli atti, evidenziavano la correttezza della ricostruzione dell’infortunio effettuata dal giudice di primo grado e la sussistenza dei profili di colpa contestati agli allora appellanti.
In particolare, secondo la Corte, che in punto di ricostruzione dell’infortunio (e in particolare del fatto che il cedimento del terreno non era stato un evento imprevedibile) ha fatto integrale richiamo alla sentenza di primo grado:
-la qualifica datoriale era stata correttamente attribuita a entrambi gli imputati appellanti, in quanto, nei rispettivi ambiti, sopra descritti, ritenuti inscindibilmente legati a loro posizioni di garanzia, con tutte le implicazioni, ex art. 113 cp, sulla obbligazione di sicurezza verso l’infortunato;
-la verifica della stabilità avrebbe dovuto essere incombente assolutamente prioriatario (e da effettuare con il massimo rigore) alla luce della inadeguata solidità (e comunque scarsa consistenza) del terreno su cui gli stabilizzatori erano poggiati; invocare a contrario quanto era accaduto ai Vigili del Fuoco era irrilevante, atteso che questi ultimi avevano operato di necessità in condizioni di assoluta emergenza;
-le provate omissioni dei datori di lavoro – sul piano della formazione e informazione, e della mancata, adeguata predisposizione del piano di valutazione dei rischi – erano state, quindi, causalmente incidenti nella determinazione del grave infortunio, che, solo per circostanze fortunose, non aveva avuto conseguenze ancora più gravi.
5. Richiamato l’orizzonte dello scrutinio di legittimità, sopra delineato, occorre rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, Sangiorgi, Rv. 216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure rilevabili dalla Corte regolatrice; e che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, proprio con riguardo alle inferenze che i giudici di merito hanno tratto dagli accertati elementi di fatto, ai fini della affermazione della di lui penale responsabilità.
Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile e che alla suddetta dichiarazione consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/05/2016

 

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