Cassazione Penale, Sez. 4, 23 giugno 2016, n. 26182

Attrezzatura pericolosa e infortunio del collaudatore. Responsabilità del vicedirettore della s.p.a. utilizzatrice e costruttrice del macchinario.


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 25/05/2016

Fatto

1. Con sentenza del 12 novembre 2015 la Corte di appello di Torino ha integralmente confermato la decisione del Tribunale di Torino del 17 dicembre 2013 con la quale G.S., in qualità di datore di lavoro – vicedirettore della società per azioni B., era stato condannato alla sanzione ritenuta di giustizia per il reato di lesioni gravi colpose, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del lavoratore dipendente I.A.; fatto contestato come commesso il 2 dicembre 2008.
In particolare si contesta all’imputato, vicedirettore, investito – con delibera del Consiglio di amministrazione della s.p.a. B. del 4 ottobre 2008 – dei poteri del datore di lavoro e di responsabile della normativa in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, per colpa sia generica (negligenza, imprudenza ed imperizia) che specifica (violazione cioè degli artt. 71 e 28 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81):
a) di avere messo a disposizione dei lavoratori un’attrezzatura non sicura, in particolare la linea di molatura bilaterale di vetri piani che presentava un varco tra la prima molatrice e la struttura denominata “troncaggio dinamico” di ampiezza tale da consentire l’accesso degli arti superiori in una zona pericolosa (perché zona di imbocco e di trascinamento del vetro piano molato per mezzo di rulli gommati contrapposti);
b) di avere omesso di esaminare compiutamente, nel documento di valutazione dei rischi, tutti i rischi connessi alla linea di molatura bilaterale dei vetri, omettendo di prevedere che la fase di montaggio delle protezioni precedesse la fase di regolazione e taratura dei movimenti delle macchine e del collaudo funzionale (fase di montaggio prevista, invece, in concreto dopo quella delle regolazioni e delle tarature);
e dunque, per effetto delle violazioni descritte, per avere G.S. consentito che l’operaio I.A. procedesse all’attività di registrazione delle mole sulla macchina molatrice bilaterale dei vetri piani, macchina fabbricata dalla stessa ditta B., introducendo il braccio destro nel varco tra l’uscita della prima molatrice ed il troncatore per sorreggere il vetro appena molato e così permettendo che i rulli gommati di trascinamento del vetro in via di lavorazione trascinassero nel moto, insieme al vetro, anche la mano del lavoratore, che subiva un trauma da schiacciamento che determinava la incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni e l’inabilità assoluta al lavoro per almeno 204 giorni.
2. Le sentenze di merito, sulla base degli elementi acquisti in istruttoria, in buona sostanza, hanno concordemente stimato erronea ab origine la previsione del montaggio delle protezioni dopo l’ultimazione della fase della regolazione e della taratura della macchina, con inversione della corretta sequenza di cui alle norme di sicurezza UNI.
Essendo stato ritenuto accertato in punto di fatto che il lavoratore, operaio specializzato addetto al collaudo, ha introdotto istintivamente la mano destra all’Interno del macchinario, essendovi un varco che consentiva l’accesso a parti meccaniche in movimento pericolose, per cercare di sorreggere la lastra di vetro che stava utilizzando per il collaudo, lastra che stava per cadere per terra, e che il corretto espletamento del collaudo non comportava la introduzione del braccio dentro il macchinario, la Corte di appello e, prima, il Tribunale hanno ritenuto che tale condotta del dipendente, seppure erronea ed imprudente, si inquadri comunque all’interno del ciclo produttivo al quale la persona offesa era addetta, escludendo trattarsi di comportamento esorbitante.
3. Ricorre tempestivamente per cassazione il difensore dell’imputato, che si affida a due motivi di ricorso, entrambi contemporaneamente evocanti le categorie della violazione di legge e del difetto motivazionale.
3.1.Sotto un primo profilo, si censura erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione sul punto concernente la sussistenza del nesso di causalità.
Assume, infatti, il ricorrente che i giudici di merito avrebbero fondato il giudizio di penale responsabilità unicamente sulla mancata apposizione preventiva di ripari senza tuttavia tenere in considerazione che l’operaio I.A., che era addetto al collaudo, avrebbe sicuramente rimosso i pannelli di protezione, ove esistenti, per la necessità di osservare – quanto più attentamente possibile e nel dettaglio – le mole e tutti gli ingranaggi interni.
Con la conseguenza che il giudizio controfattuale posto in essere dalla Corte e dal Tribunale sarebbe male impostato, in quanto non terrebbe conto delle specifiche modalità con le quali l’infortunio si è verificato e, in particolare, del fatto che il sig. A., che non avrebbe potuto svolgere la propria mansione in presenza dei ripari, in quanto questi gli avrebbero impedito di avere una visione completa delle parti in movimento, avrebbe dovuto necessariamente togliere gli stessi, dovendo perciò concludersi che l’infortunio, con alto grado di probabilità, si sarebbe ugualmente verificato anche ove fossero stati previsti i ripari, che si sarebbero dovuti necessariamente smontare prima del collaudo.
3.2. Sotto un secondo profilo, si censura erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione sul punto concernente la sussistenza nella specie della condotta colposa e del nesso di rischio tra la colpa e l’evento verificatosi.
Anche sotto tale profilo – assume il ricorrente – la Corte territoriale si sarebbe accontentata di ritenere che la mera pericolosità del varco in effetti esistente e l’assenza di ripari fossero ragioni sufficienti per muovere un rimprovero di colpa all’imputato, trascurando che il rischio al quale era esposto il dipendente non era quello, comune a tutti i lavoratori, di avvicinarsi troppo al macchinario e di infilarvi per distrazione una parte del corpo ma era un rischio diverso, quello proprio, cioè, di chi deve svolgere la delicata attività di collaudo. Con la conseguenza che la previsione della regola di cautela che si è ritenuta violata era predeterminata ad evitare un rischio di tipo diverso da quello che si è in concreto verificato.
Si chiede, in conclusione, anche sotto profilo, l’annullamento della sentenza, che non avrebbe approfondito né l’aspetto di fatto che l’eventuale, pur esistente, riparo potrebbe essere stato tolto oppure sarebbe stato aggirabile da soggetto esperto che abbia deciso di svolgere una manovra impudente nel corso di un collaudo né il profilo della sussistenza dell’elemento psicologico in concreto, erroneamente applicando, in definitiva, l’art. 43 cod. pen.

Diritto

1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
Deve, infatti, osservarsi che, peraltro mediante doppia valutazione conforme, i giudici di merito offrono idonea e logica spiegazione, immune da vizi censurabili in sede di legittimità, rispetto ai profili asseritamente problematici sottolineati dal ricorrente.
1.1.Quanto all’argomento secondo il quale il collaudatore avrebbe dovuto necessariamente rimuovere gli eventuali ripari esistenti prima di iniziare le operazioni di osservazione e di verifica, esso, come persuasivamente sottolineato dal Procuratore generale in udienza, si fonda su di un assunto che non è accertato ma meramente ipotizzato: con ogni logica conseguenza sotto il profilo della capacità probatoria dello stesso e con esclusione di ogni validità del conseguente argomento difensivo incentrato sulla denunziata erroneità del giudizio controfattuale così come in concreto svolto.
1.2. Quanto, poi, all’affermazione che il collaudatore sarebbe un soggetto, per così dire, “ineluttabilmente” esposto ad un rischio di intensità maggiore degli altri lavoratori, non si comprende quale sarebbe la fonte di tale diversa posizione del dipendente di fronte al rischio.
1.3. Va, infine, e conclusivamente, considerato che il profilo di colpa contestato dal Pubblico Ministero e ritenuto sussistente dai giudici di merito attiene non soltanto alla mancata installazione dei ripari prima dell’avvio delle operazioni di verifica ma anche, e con pari efficacia causale rispetto all’infortunio occorso, alle circostanze di avere messo a disposizione un’attrezzatura non sicura, in quanto la linea di molatura bilaterale di vetri piani presentava un varco tra la prima molatrice e la struttura denominata “troncaggio dinamico” di ampiezza tale da consentire l’accesso degli arti superiori in una zona ontologicamente pericolosa, perché zona di imbocco e di trascinamento del vetro piano molato per mezzo di rulli gommati contrapposti, e, comunque, di non avere correttamente preventivato e valutato tale rischio, peraltro essendo la società B. al contempo utilizzatrice e costruttrice del macchinario: ebbene, si tratta, all’evidenza, di fatti di significativo rilievo, anche ove autonomamente considerate, in relazione alla causazione dell’evento ma rispetto alle quali – si osserva – non vengono sollevate censure nel ricorso.
2. Dalle considerazioni svolte discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/05/2016.

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