Cassazione Penale, Sez. 4, 23 novembre 2017, n. 53285

In generale, deve osservarsi, “quanto ai presupposti della responsabilità amministrativa dell’ente introdotta con ild.lgs. 231 dell’08/06/2001, che i criteri di imputazione oggettiva di cui al riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 231/01 (interesse o vantaggio dell’ente), sono riferibili alla condotta e non all’evento e che, in caso di reati colposi di evento, essi sono alternativi e concorrenti tra di loro, esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione del reato di tipo teleologico, apprezzabile ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio soggettivo e avendo, invece, quello del vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito (cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261114 e Rv. 261115).

Inoltre, sempre in tema, si è riconosciuto l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, laddove si configura il vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività [cfr. sez. 4 n. 24697 del 20/04/2016, Rv. 268066 (in fattispecie in cui la Corte ha affermato che la responsabilità dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi); n. 2544 del 17/12/2015 ud. (dep. 21/01/2016), Rv. 268065].

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricollegato la responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.

Trattasi di motivazione del tutto congrua, logica e non contraddittoria, allineata ai principi di diritto sopra richiamati e sottratta pertanto al sindacato di questa Corte, incombendo, in ogni caso, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione adottati a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez. U. n. 38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112).

Onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza dell’esistenza di un documento, ritenuto inidoneo dai giudici di merito e di meri richiami verbali, ritenuti parimenti inadeguati.”

Fatto

1. La Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Massa, appellata dagli imputati P.S. e I.M.G., nonché dalla C.B.I. S.p.A., con la quale i primi sono stati dichiarati colpevoli del reato di cui all’art. 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen. per avere, il primo, quale legale rappresentante della C.B.I. S.p.A. e datore di lavoro, il secondo, quale preposto della citata società, per colpa generica e specifica, cagionato al lavoratore dipendente F.S., lesioni personali gravi consistite nella amputazione della falange distale 5° del dito della mano sinistra, con indebolimento permanente dell’organo, determinata da una improvvisa discesa di una delle losanghe del macchinario cui era addetto in qualità di assemblatore (il 12/04/2011).

2. Il F. subiva il sopra descritto infortunio nel corso dell’espletamento delle sue mansioni di assemblatore di un sollevatore a forbice, mentre era intento allo smontaggio di un cilindro oleodinannico di spinta dalla struttura del sollevatore a forbice, senza averne assicurato la stabilità mediante l’inserimento di ostacoli di sicurezza, in modo quindi scorretto e difforme dalle modalità descritte nel manuale d’uso, nella convinzione che le losanghe non potessero ulteriormente abbassarsi e che il carroponte avrebbe sostenuto il peso del cilindro.

Agli imputati si è, pertanto, contestato di non avere provveduto, il primo, a predisporre un documento di valutazione dei rischi che recasse l’individuazione della procedura per attuare le misure di sicurezza in fase di smontaggio del sollevatore a forbice, ad adottare adeguate misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle operazioni di smontaggio del sollevatore; il secondo, di non avere controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione, formazione e addestramento adeguati.

3. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorsi, con unico atto e medesimo difensore, gli imputati P. e I., formulando due motivi.

Con il primo, la difesa ha dedotto vizio ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. e, in ogni caso, vizio di mancanza della motivazione con riferimento all’eccepito difetto di correlazione tra accusa e sentenza. In particolare, si rileva che il Tribunale avrebbe ritenuto che il lavoratore si era infortunato perché aveva eseguito una procedura di smontaggio del tutto difforme da quella prevista nei manuali, laddove nel capo d’imputazione si farebbe riferimento al mancato inserimento, nella fase di sostituzione di un cilindro oleodinamico, di ostacoli di sicurezza e non, quindi, ad una procedura del tutto diversa, cosicchè la regola cautelare che si assume violata andava ricollegata necessariamente al mancato inserimento di detti ostacoli.

Con il secondo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento al nesso causale, alla individuazione della regola cautelare violata e alla condotta abnorme del lavoratore.

Quanto al primo profilo, con specifico riferimento alla ritenuta incompletezza della valutazione del rischio, i ricorrenti evidenziano quanto segue: nella stessa sentenza impugnata sarebbe stato messo in luce che in azienda vi era un manuale operativo che illustrava la procedura da seguire per lo smontaggio del cilindro; tale procedura sarebbe stata messa a punto anche con il contributo attivo della vittima e con l’ausilio di fotografie; essa costituiva, per come chiarito anche dal consulente di parte, essa stessa misura di prevenzione e protezione, idonea – quantomeno – a ridurre il rischio derivante dalla esposizione ad uno o più pericoli; il lavoratore era certamente informato dei rischi connessi alle varie fasi di lavorazione, sia perché aveva contribuito a mettere a punto la procedura, ma anche perché aveva ricevuto specifica formazione “sul campo” a fianco di altro lavoratore esperto.

Sotto altro profilo, la difesa rileva che, anche a voler ritenere incompleta la valutazione del rischio, le prove avrebbero dimostrato che il F. aveva già assemblato oltre trecento sollevatori senza mai subire infortuni, a conferma che egli aveva ricevuto una valida formazione ed informazione sul rischio specifico di “cesoiamento”, del quale pertanto era perfettamente edotto

Quanto al comportamento del lavoratore, la difesa ne rileva l’abnormità, altresì evocando vizio di travisamento probatorio per avere i giudici di merito ritenuto che la procedura scorretta costituisse prassi aziendale, utilizzando un contributo probatorio mai emerso, a fronte della acquisita prova del contrario, e cioè della circostanza che mai, in precedenza, il lavoratore era incorso in analoghi infortuni e che egli aveva ricevuto periodici richiami dal preposto.

Ha proposto ricorso a mezzo di difensore anche la C.B.I. S.p.A., formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento alla ritenuta esistenza dell’illecito di cui all’art. 25 septies co. 2 d. lgs. 231 del 2001, come modificato dall’art. 300 del d.lgs. 81 del 2008, avendo la Corte genovese ritenuto esistente un rapporto di causalità tra la politica aziendale in materia di prevenzione antinfortunistica ed il fatto reato, uniformandosi al giudizio formulato dal Tribunale che, tuttavia, aveva omesso di motivare specificamente sul punto, le prove avendo posto in rilievo che l’azienda aveva messo a disposizione del lavoratore gli apparati di sicurezza per evitare ogni rischio di lavorazione e aveva investito in sicurezza, destinando un lavoratore esperto alla formazione del F. per due/tre anni.

Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al medesimo profilo, avendo la Corte ritenuto l’esistenza di una prassi aziendale scorretta, ragionamento inficiato da contraddittorietà e manifesta illogicità, con riferimento alla valutazione del comportamento del lavoratore, il quale – perfettamente edotto della procedura corretta da seguire, siccome formato e informato in azienda – aveva posto in essere una condotta colposa, come pure riconosciuto dai giudici di merito, tale da interrompere il nesso causale tra la violazione della regola cautelare contestata e l’evento.

Diritto

1. I ricorsi vanno rigettati.

2. La Corte territoriale ha ritenuto provato che l’infortunato, nell’occorso, aveva seguito una procedura del tutto difforme rispetto a quella evidenziata nel manuale d’uso, manutenzione e assemblamento, del quale egli aveva perfetta conoscenza e che ciò aveva fatto per ridurre i tempi della procedura, sull’erronea convinzione che le losanghe non si sarebbero ulteriormente abbassate e che il carroponte avrebbe sorretto il peso del cilindro in sostituzione. Era anche emerso che questa era la normale prassi aziendale per procedere alla sostituzione del componente, ritenendo quel giudice smentita – anche solo logicamente – la tesi secondo cui l’infortunio sarebbe stato conseguenza di una occasionale, quanto momentanea, distrazione del lavoratore, del tutto incompatibile con il tipo di intervento effettuato (posto in essere mediante movimenti e manovre peculiari, in un arco temporale non irrilevante).

Inoltre, ha rilevato che il manuale esistente in azienda indicava sì la metodologia corretta per effettuare tali interventi, ma non specificava quali condotte dovevano essere evitate e i rischi che si correvano ponendole in essere, cosicchè non poteva dirsi adegutamente adempiuto l’obbligo di formazione e informazione del lavoratore, il quale, certamente esperto del “bene operare”, anche per merito datoriale, non lo era del “male operare”, avendo affermato che, al momento dei fatti, egli non sapeva che una volta abbassate le losanghe del macchinario, queste potessero, ove non trattenute da ostacoli di sicurezza, ulteriormente abbassarsi a causa del peso del cilindro.

Tale obbligo formativo non poteva dirsi adempiuto grazie alla partecipazione del F. ad un corso aziendale tenuto il 09/09/2010, poiché esso aveva avuto ad oggetto l’uso dei carrelli elevatori, cosa ben diversa dall’assemblaggio, montaggio, smontaggio e sostituzione del cilindro oleodinamico, operazioni nel corso delle quali vengono in rilievo manovre e rischi ben diversi da quelli correlati al semplice utilizzo del sollevatore a forbice.

I medesimi principi ha ritenuto risolutivi per la diversa posizione del preposto I., il quale non aveva verificato che il F., prima di essere impiegato a quella mansione specifica, fosse a conoscenza dei rischi specifici correlati alla procedura non corretta e non aveva provveduto direttamente ad informarne il lavoratore, ritenendo inidonei i richiami verbali, poiché non seguiti dall’adozione di provvedimenti, anche disciplinari.

Quanto alla condotta del lavoratore, infine, la stessa, pur assumendo connotati di colpa, non aveva interrotto il nesso causale tra le violazioni rilevate e l’evento, non potendo la stessa ritenersi abnorme, atteso che l’operazione compiuta rientrava nelle sue attribuzioni, oltre che nel segmento di lavorazione di sua competenza.

Alla luce di tali considerazioni, infine, quel giudice ha ritenuto provato il rapporto di causalità tra l’infortunio e la responsabilità dell’ente, atteso che la mancata predisposizione di un idoneo documento di valutazione dei rischi e il difetto di formazione e informazione del dipendente infortunato dovevano ritenersi correlati ad un risparmio di spesa e alla maggiore resa del rapporto spesa oraria/guadagno orario.

3. Tutti i motivi di ricorso dedotti nell’interesse degli imputati P. e I. sono infondati.

3.1. Il primo riguarda la dedotta nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la condanna, rispetto al quale in questa sede deve rilevarsi la inconsistenza delle censure difensive, a fronte della ricostruzione in fatto della vicenda, rispetto alla quale la Corte territoriale ha opportunamente specificato che il difetto di formazione e informazione aveva riguardato proprio il rischio specifico correlato alla manovra posta in essere, una volta accertata la prassi scorretta che il lavoratore aveva seguito.

Peraltro, il motivo di ricorso è sul punto del tutto generico, atteso che i giudici di merito hanno ancorato la non conformità della procedura a quella indicata nel manuale d’uso direttamente al mancato impiego di appositi ostacoli di sicurezza, laddove nel documento di valutazione dei rischi non vi era cenno alle conseguenze dell’agire in difformità.

Tale percorso argonnentativo è peraltro coerente con l’orientamento consolidato di questa Corte, alla luce del quale deve ribadirsi, su un piano generale, che – nei procedimenti per reati colposi – la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 stesso codice [cfr. sez. 4 n. 2393 del 17/11/2005 ud. (dep. 20/01/2006), Rv. 232973] e che non sussiste violazione del principio in esame se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa [cfr. sez. 4 n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161; n. 56516 del 21/06/2013, Rv. 257902; sez. 4 n. 31968 del 19/05/2009, Rv. 245313

Ove, peraltro, si consideri che il principio di correlazione tra contestazione e sentenza è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato, deve pure rilevarsi che lo stesso è violato se il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva (sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015 Ud. (dep. 10/03/2015),Rv. 262802), sempre che il fatto materiale per cui vi è stata condanna risulti sufficientemente descritto nell’imputazione, in tal caso non essendo neppure ipotizzabile una violazione del contraddittorio e del correlato diritto dell’imputato ad un equo processo, dal momento che l’imputato è stato messo in condizione di interloquire pienamente sulla riqualificazione giuridica operata dal tribunale, dapprima con l’atto di appello e, in seguito, con il ricorso per cassazione (sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013 Ud. (dep. 10/12/2013), Rv. 258138).

Tale orientamento è del tutto conforme, peraltro, ai principi costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. 111 Costituzione e all’art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a partire dalla nota pronuncia della Corte di Strasburgo, nel caso Drassich v. Italia (CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007).

3.2. Quanto al secondo motivo, la sentenza impugnata ha espressamente motivato in ordine alla individuazione della regola cautelare violata e al nesso causale, evidenziando la mancata inclusione, nel documento di valutazione dei rischi e nella conseguente attività formativa e informativa del lavoratore, di precisi riferimenti al rischio specifico riguardante la sostituzione del componente meccanico senza l’adozione degli ostacoli di sicurezza, ravvisando in tale passaggio di conoscenza l’essenza dell’efficacia dell’insegnamento datoriale e rilevando l’inidoneità dei semplici richiami verbali (quanto alla posizione specifica del preposto) ad assorbire il raggio degli adempimenti ragionevolmente esigibili in capo all’agente, tutto ciò sulla scorta di elementi probatori che non possono essere rivalutati nel senso prospettato a difesa in questa sede di legittimità, a fronte di un ragionamento dei giudici di merito del tutto congruo, logico e non contraddittorio.

3.2.1. Peraltro, non può mancarsi di considerare che, in caso di doppia pronuncia conforme di condanna, nell’ambito dei motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. Può essere dedotto nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice [cfr. sez. 4 n. 4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 258438; n. 5615 del 13/11/2013 ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 258432] o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr. sez. 2 n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499). Il che non è stato neppure prospettato da parte ricorrente, limitatasi a proporre una lettura alternativa della prova dichiarativa, prelcusa in questa sede.

In altri termini, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice o quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti [cfr. Sez. 4 n. 44765 del 22/10/2013, Rv. 256837; n. 5615 del 13/11/2013 Ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 258432; n. 4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 258438].

Macroscopicità ed evidenza che, nel caso all’esame, non ricorrono, ma riguarderebbero in ogni caso il significato da attribuirsi ad alcune affermazioni estrapolate dal complesso del dato dichiarativo. In ogni caso e conclusivamente, è addirittura inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge” (cfr. Sez. 7 n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948).

3.2.2. Con specifico riferimento agli obblighi datoriali, inoltre, si è anche di recente precisato che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 delD.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (cfr. sez. 4 n. 20129 del 10/03/2016), Rv. 267253). Tale obbligo, peraltro, non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l’adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori, purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell’evento (cfr. sez. 4 n. 5273 del 21/09/2016 Ud. (dep. 03/02/2017), Rv. 270380]. 3.2.3. Infine, quanto al comportamento tenuto dal lavoratore infortunato e ai suoi riflessi sulla sequenza causale innescata dalla violazione degli obblighi cautelari incombenti sugli imputati, in ragione delle diverse posizioni di garanzia ricoperte, nessun vizio inficia il ragionamento sviluppato sul punto dalla Corte di merito, che risulta coerente con i principi di diritto, più volte ribaditi da questa stessa sezione, secondo cui, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di “atto abnorme”, si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un’operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).

L’abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del “comportamento abnorme”, serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare” [Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094; n. 15124 del 13/12/2016 Ud. 8dep. 27/03/2017), Rv. 269603)].

3.2.4. A fronte delle svolte argomentazioni difensive, peraltro, deve pure osservarsi che in questa materia, l’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (cfr. sez. 4 n. 22147 dell’11/02/2016, Rv. 266860), poiché l’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge (cfr. sez. 4 n. 21242 del 12/02/2014, Rv. 259219).

3.2.5. Alla luce di tali principi, correttamente la Corte di merito ha disconosciuto efficacia interruttiva al comportamento del F. che parte ricorrente avrebbe voluto vedere diversamente considerato, posto che per quanto “imprudente” sia stato l’operare del lavoratore nell’occorso, esso risulta comunque compiuto nello svolgimento dei compiti assegnatigli, non estraneo al processo produttivo e non imprevedibile nel senso sopra chiarito, costituendo tale modalità di lavoro addirittura una prassi aziendale, secondo quanto accertato in sede di merito.

4. Anche il ricorso nell’interesse dell’ente va rigettato.

Richiamati i principi sopra enunciati con riferimento al comportamento del lavoratore e alla dedotta valenza interruttiva del nesso causale che anche la difesa della C.B.I. S.p.A. ha opposto, deve rilevarsi – quanto al rapporto di causalità tra la politica aziendale in materia antinfortunistica e il fatto di reato contestato agli imputati P. e I. – che la sentenza è esente dai vizi denunciati.

In generale, deve infatti osservarsi, quanto ai presupposti della responsabilità amministrativa dell’ente introdotta con il d.lgs. 231 dell’08/06/2001, che i criteri di imputazione oggettiva di cui al riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 231/01 (interesse o vantaggio dell’ente), sono riferibili alla condotta e non all’evento e che, in caso di reati colposi di evento, essi sono alternativi e concorrenti tra di loro, esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione del reato di tipo teleologico, apprezzabile ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio soggettivo e avendo, invece, quello del vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito (cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261114 e Rv. 261115).

Inoltre, sempre in tema, si è riconosciuto l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, laddove si configura il vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività [cfr. sez. 4 n. 24697 del 20/04/2016, Rv. 268066 (in fattispecie in cui la Corte ha affermato che la responsabilità dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi); n. 2544 del 17/12/2015 ud. (dep. 21/01/2016), Rv. 268065].

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricollegato la responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.

Trattasi di motivazione del tutto congrua, logica e non contraddittoria, allineata ai principi di diritto sopra richiamati e sottratta pertanto al sindacato di questa Corte, incombendo, in ogni caso, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione adottati a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez. U. n. 38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112).

Onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza dell’esistenza di un documento, ritenuto inidoneo dai giudici di merito e di meri richiami verbali, ritenuti parimenti inadeguati.

5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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