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Cassazione Penale, Sez. 4, 26 febbraio 2016, n. 7886

Responsabilità di un coordinatore per la progettazione ed esecuzione. La pronuncia di prescrizione assorbe i motivi che riguardano il raggiungimento della prova della responsabilità dell’imputato.

 


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza: 11/12/2015

Fatto

1. Con sentenza in data 4 febbraio 2014 la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Avellino che aveva assolto M.P. per non aver commesso il fatto dal reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme in materia antinfortunistica, ne affermava la penale responsabilità e lo condannava alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite.
2. Al M.P. era stato contestato, in concorso con altri soggetti per i quali si era proceduto separatamente, con condotte colpose indipendenti e con cooperazione colposa, il reato di cui agli artt. 40, commi 1 e 2, 113, 590 commi 1, 2 e 3, c.p. perché, nel corso dei lavori pubblici di riqualificazione del “Castello Caravita” appaltati dal Comune di Sirignano, in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, aveva cagionato gravissime lesioni al lavoratore dipendente M.V., per negligenza, imprudenza e imperizia e per colpa specifica consistita nell’averlo costretto per mesi a condizioni di lavoro prive di sicurezza su ponteggi del tutto precari, in particolare, nell’omesso adempimento degli obblighi precauzionali imposti dagli artt. 51, commi 1 e 4, e68 comma 3 DPR 164/56, ed ancora dall’art. 5 comma 1 lett.a) e lett.e) D.lgs.494/96 per non aver verificato con opportune azioni di coordinamento e controllo l’applicazione delle prescrizioni del P.S.C. e delle corrette procedure di lavoro da parte delle imprese esecutrici, per non aver comunicato al responsabile dei lavori le reiterate inosservanze delle medesime prescrizioni e non aver proposto la sospensione dei lavori e/o l’allontanamento dal cantiere, così che il M.V., mentre era intento a lavorare al primo piano del fabbricato su un ponte su cavalletti alto più di mt.2, sprovvisto di tavola fermapiede, e costituito da una sola tavola di cm.30 inferiore alla obbligatoria larghezza di cm.90 dell’impalcato, nonché in assenza di adeguato sbarramento dell’apertura nel muro prospiciente il vuoto, perdeva l’equilibrio e cadeva al suolo da un’altezza di circa mt.4, fatto avvenuto il 15 aprile 2008.
3. Il G.U.P. era pervenuto all’assoluzione dell’imputato ritenendo che l’attività lavorativa affidata quel giorno al M.V. fosse stata frutto di estemporanea deliberazione del capo cantiere, N.V., in contrasto con l’attività programmata e concordata con il M.P., che il giorno precedente aveva effettuato un’ispezione redigendo apposito verbale e che, per l’adempimento del suo compito di coordinamento e controllo in ordine alla rispondenza delle misure antinfortunistiche ordinariamente adottate alle previsioni di PSC, non aveva obbligo di sistematica presenza in cantiere.
4. La Corte territoriale, nel riformare la pronuncia assolutoria, in accoglimento del gravame del P.M. e delle parti civili, rilevava come il M.P. rivestisse una posizione di garanzia sia come coordinatore delle misure di sicurezza nella fase esecutiva, sia come direttore dei lavori, qualifica cui era connesso un obbligo di controllo ancora più cogente ed incisivo, poiché in tale veste doveva assicurarsi che il sottoposto eseguisse l’attività programmata e che ciò avvenisse nel rispetto della normativa di sicurezza; che la circostanza di un mutamento nell’attività programmata dovuto a pioggia, peraltro nemmeno annotato del giornale dei lavori, era stata una evidente forzatura; che, di contro, dal giornale di cantiere e dai verbali di ispezione risultava che i lavori erano in corso contemporaneamente all’Interno e all’esterno del fabbricato, e che il M.V. al momento dell’infortunio lavorava su un’impalcatura posizionata in corrispondenza del balcone, che presentava un ampio vuoto per consentire il passaggio dei materiali sollevati dal montacarichi collocato sulla medesima verticale; che i lavori di completamento degli squarci delle aperture del castello erano già previsti nel III lotto e necessitavano di una celere esecuzione per rispettare i tempi del finanziamento, e dunque avevano formato oggetto di preventiva programmazione e non di una decisione del momento del capo cantiere. Escludeva infine che i profili di responsabilità attribuiti al M.P. in ordine alla posizione di garanzia rivestita quale direttore dei lavori avessero implicato una immutazione del fatto contestato, atteso che il riferimento anche alla colpa generica portava ad una valutazione globale della condotta dell’imputato rispetto all’evento verificatosi, e la difesa aveva riguardato tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione del sinistro.
5. L’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, propone ricorso articolato su svariati motivi, che possono essere così sintetizzati: 1) vizio di motivazione e violazione di legge poiché la Corte partenopea non avrebbe riscontrato la violazione della specifica norma precauzionale addebitata all’imputato nella qualità di CSE ma un diverso profilo di colpa ascrivibile alla figura del preposto, assimilandola erroneamente a quella del D.L., senza comunque indicare né il precetto violato né quale comportamento alternativo lecito avrebbe evitato l’evento, soffermandosi su circostanze di fatto non incidenti sulla interruzione del nesso eziologico ravvisata in primo grado in via assoluta nell’azione del capo cantiere; dunque mancanza di correlazione tra accusa e sentenza e difetto di motivazione sulla causalità e sulla colpa del comportamento del M.P.; 2) travisamento del fatto e della prova, violazione di legge e conseguente vizio di motivazione poiché la Corte aveva superato l’interruzione del nesso causale ravvisata dal giudice di prime cure ritenendo “false” alcune circostanze relative alla esecuzione dei lavori all’Interno del castello non programmati per quel giorno, ed attribuendo ad esse un differente significato basato su una motivazione illogica e contraddittoria; 3) vizio di motivazione, anche il riferimento all’art.6 CEDU poiché la Corte aveva ribaltato la pronuncia assolutoria senza provvedere ad una motivazione “rafforzata” della pronuncia di condanna; 4) violazione di legge e conseguente omessa motivazione poiché la Corte aveva ritenuto provato che il cantiere versasse in condizioni di totale insicurezza, in particolare con riferimento ai ponti su cavalletti su cui lavorava il M.V., senza aver prima confutato o spiegato le ragioni dell’inattendibilità della prova contraria fornita dalla consulenza tecnica prodotta dalla difesa; 5) erronea violazione della legge processuale poichè i giudici di secondo grado avevano ridefinito la posizione di garanzia rivestita dal M.P. inquadrandola nella diversa e mai contestata figura del Direttore dei Lavori ed individuando, rispetto a tale diversa funzione, obblighi e doveri (mai contestati) in ipotesi pretermessi; 6) violazione degli artt.601 e 179 c.p.p. poiché il decreto di citazione dell’imputato a giudizio davanti alla Corte d’Appello era stato notificato al luogo di residenza e non presso il domicilio eletto e a persona diversa dal destinatario, e con le stesse modalità era stata eseguita la notificazione dell’avviso di deposito della sentenza; 7) erronea applicazione della legge processuale poiché il fascicolo di primo grado non era stato ricostruito nel contraddittorio delle parti, nel senso che non erano rinvenibili atti su cui si era fondato il giudizio abbreviato mentre erano stati acquisiti atti relativi alle udienze dibattimentali in corso davanti al Tribunale di Avellino a carico dei coimputati rinviati a giudizio; 8) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla pena irrogata in misura eccessiva; 9) violazione di legge in ordine al capo della condanna relativo alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, liquidate globalmente senza alcuna indicazione dei parametri utilizzati e delle voci della tariffa forense applicate.
6. I difensori hanno depositato motivi aggiunti e alla odierna udienza una ulteriore nota difensiva, con allegato verbale della udienza del 17 febbraio 2011, rilevando il decorso della prescrizione.

Diritto

7. Preliminarmente, osserva il Collegio come il reato per il quale l’imputato è stato tratto a giudizio deve ritenersi prescritto, trattandosi di un’ipotesi di lesioni colpose risalente al 15 aprile 2008.
7.1. Dal verbale della udienza tenutasi davanti al G.U.P. del Tribunale di Avellino il giorno 11 febbraio 2011 si legge di una richiesta di rinvio del processo per impedimento dell’Avv. Omissis, difensore di fiducia dell’imputato: il Giudice, ritenuto sufficientemente documentato l’impedimento del difensore rinviava alla nuova udienza del 28 aprile 2011, onerando la cancelleria della citazione della Sapimed, previe ricerche mediante visura camerale, e dichiarava sospesi i termini di prescrizione.
7.2. La sospensione del termine non poteva essere disposta e non può essere computata ai fini del decorso della prescrizione poiché, come già ritenuto da questa Corte, nel concorso di due fatti che legittimano il rinvio del dibattimento, l’uno riferibile all’imputato o al difensore e l’altro al giudice, deve accordarsi la prevalenza a quello riferibile al giudice e pertanto il rinvio non determina la sospensione del corso della prescrizione (Sez.II, 23.3.2011, n.11559).
7.3. Ciò posto, ritenuto che l’odierno ricorso avanzato dall’imputato non appare manifestamente infondato (tranne per quanto più oltre si dirà ai punti 8 e 9), né risulta affetto da profili d’inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274). E invero il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente’ deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte – tenendo conto degli elementi evidenziati nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, già esposti e sintetizzati nelle considerazioni in fatto – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma dell’art. 129 c.p.p.
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all’imputato estinto per prescrizione.
La pronuncia di prescrizione assorbe i motivi che riguardano il raggiungimento della prova della responsabilità dell’imputato e la dosimetria della pena.
8. Per quanto attiene al motivo di nullità della notifica, se ne deve affermare la inammissibilità, trattandosi di nullità a regime intermedio (vizio e non omissione dell’adempimento) che doveva essere tempestivamente prospettata nel corso del giudizio d’appello. Anche su tale motivo prevale comunque la pronuncia di estinzione del reato atteso che nel giudizio di cassazione qualora il reato sia già prescritto non è rilevabile una nullità, anche di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito risulta incompatibile con il principio della immediata applicabilità della causa estintiva (Sez.II, 23.1.2014 n.3221 e Sez.V, 9.12.2014 n.51135): dunque, la contestuale ricorrenza di una causa estintiva del reato e di una nullità processuale anche assoluta e insanabile, determina la prevalenza della prima, salvo che l’operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, prevalendo in tal caso la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (Sez.III, 19.1.2011 n.1550), ipotesi che nella specie non si ravvisa.
9. Inammissibile appare infine il motivo di doglianza relativo alla misura delle spese liquidate in favore delle parti civili in quanto assolutamente generico, avendo il ricorrente omesso di indicare le ragioni di illegittimità della liquidazione e le violazioni dei limiti tariffari relativi alle attività svolte dal patrono delle parti civili.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’ll dicembre 2015.

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