Caduta da 12 metri di altezza durante i lavori di intonacatura delle pareti e dei soffitti dei pianerottoli. Posizioni di garanzia di fatto.
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 16/02/2016
Fatto
1. La Corte d’appello di Torino, 3 Sezione penale, con sentenza in data 23 ottobre 2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, Sezione distaccata di Moncalieri, in data 16 dicembre 2012, assolveva M.M. dal reato a lui ascritto ex art. 374 cod.pen., per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena nei suoi confronti in relazione alla residua imputazione ex art. 589 cod.pen.; concedeva a M.C., oltreché a M.A., le attenuanti generiche in equivalenza alla contestata aggravante, rideterminando la pena nei loro confronti e concedendo altresì ad entrambi i benefici di legge; rideterminava inoltre la pena nei confronti di M.N.; assolveva R.S. dal reato a lui ascrittogli; e confermava nel resto la pronunzia di primo grado, condannando gli imputati M.C., M.M., M.N. e M.A. alla rifusione delle spese del grado di giudizio alla costituita parte civile.
Oggetto del processo é un infortunio sul lavoro occorso in Chieri il 2 agosto 2007, durante l’esecuzione di lavori di costruzione di un complesso edilizio di civile abitazione, infortunio del quale rimaneva vittima il lavoratore C.A.I.: questi, mentre era impegnato nell’intonacatura delle pareti e dei soffitti dei pianerottoli, precipitava al suolo cadendo all’Interno del vano ascensore (privo, secondo l’imputazione, di opere di difesa idonee ad evitare il pericolo di caduta dall’alto dei lavoratori) da un’altezza di dodici metri, riportando lesioni che ne cagionavano il decesso.
In particolare il delitto di omicidio colposo, aggravato dalla violazione di norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, é contestato a M.C. nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, per omesso controllo dell’attuazione, da parte delle imprese esecutrici, delle previsioni contenute nel POS; per omessa verifica dell’idoneità dello stesso POS; per omessa organizzazione, con l’ATI incaricata di eseguire i lavori, della cooperazione delle attività di prevenzione e della relativa informazione. Il reato é inoltre contestato a M.M. come capo cantiere di fatto della Edilcity (società appaltante dei lavori), per non avere egli allestito adeguate opere di difesa dell’apertura del vano ascensore nel quale cadde la vittima.
2. Avverso la prefata sentenza ricorrono M.M. e M.C., tramite i rispettivi difensori di fiducia.
3. Il ricorso presentato nell’interesse di M.M. é articolato in due distinti motivi di doglianza.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla posizione di garanzia attribuita al M.M., indicato quale capo cantiere di fatto, laddove capo cantiere di diritto era il coimputato M.A.: deduce il ricorrente che, al momento dell’evento, il M.M. non era neppure presente sul posto, mentre era presente l’M.A.. Ciò a fronte del fatto che sia il Tribunale sia la Corte d’appello hanno riconosciuto che l’M.A. non era capo cantiere solo in termini “nominali”, ma svolgeva funzioni interscambiabili con quelle del M.M.. Quest’ultimo non fu però delegato, né assunse per facta concludentia, la posizione di garanzia assegnata formalmente all’M.A., e quindi non si verificò alcuna successione in tale posizione di garanzia. Di tutto quanto precede, alcuna motivazione ha fornito la Corte territoriale; la motivazione della sentenza é inoltre contraddittoria, non essendo spiegabile per quale motivo il M.M. sia stato assolto dal reato di frode processuale e sia stato ritenuto, nonostante ciò, responsabile nella detta qualità del reato di omicidio colposo.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. La sola ragione posta a base del diniego del detto beneficio di legge riposa, nella motivazione della sentenza impugnata, sulle “condizioni soggettive” del M.M., il quale é però incensurato e di età avanzata, e non si può comunque pervenire nei suoi confronti a una prognosi di recidivanza. Vi é poi contraddizione fra il diniego della sospensione condizionale al M.M. e la concessione del beneficio all’M.A., responsabile delle stesse condotte, nonché presente in loco al momento del fatto.
4. Il ricorso presentato nell’interesse di M.C. é articolato in un unico motivo, ampiamente argomentato e riferito a violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ricostruzione dei fatti e di attribuzione al M.C. della penale responsabilità per l’omicidio colposo.
Lamenta il ricorrente che la decisione di intonacare il vano-scala (operazione che la vittima stava svolgendo al momento dell’evento) era stata presa quella stessa mattina e non era prevista nel cronoprogramma dei lavori; ed anzi lo stesso M.C. aveva impartito l’ordine di non eseguire lavori nella scala, onde poter usare il vano scala come cavedio di carico per la gru, come comprovato dal documento del 4 luglio 2007, documento che tuttavia non é stato considerato dalla Corte d’appello perché non vi sarebbe prova dell’invio dello stesso alla Edilcity. Osserva il ricorrente che, per far transitare i carichi dalla gru al piano interrato, non era necessario rimuovere le protezioni del vano ascensore; riguardo a queste ultime, é illogica la motivazione della sentenza impugnata laddove vi si sostiene che l’inidoneità di esse sarebbe stata una delle cause del sinistro, anche perché non vi é stata contestazione formale della violazione dell’art. 68 D.P.R. 164/1956; ne danno atto le deposizioni del teste Ca. e anche dell’isp. R. dell’ASL, che infatti non contestò la violazione.
Inoltre, il M.C. non era presente il mattino dell’infortunio, né la presenza sul posto gli era richiesta in via continuativa e quotidiana, in relazione ai suoi compiti di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione; lo stesso giorno del sinistro, invece, era stato il Ca. a decidere di far iniziare l’intonacatura delle scale, indirizzando per tale operazione sul vano scala i lavoratori C.A.I. e S,, reperiti il giorno prima. Ma, conclude il ricorrente, di ciò non si può muovere addebito al M.C..
5. Si sono costituite in giudizio le parti civili Omissis, nel cui interesse sono state depositate all’odierna udienza conclusioni scritte, unitamente a nota spese.
Diritto
1.1. Iniziando dal ricorso presentato nell’interesse del M.M., il primo motivo deve ritenersi infondato.
Premesso che, nella sostanza, il ricorrente non contesta la qualità, dallo stesso rivestita, di capo cantiere “di fatto”, la questione si sposta essenzialmente sull’assunzione della relativa posizione di garanzia, da parte del M.M., al momento dell’infortunio.
La contestazione del ricorrente é, in definitiva, duplice: da un lato, essa riguarda la presenza di un capo cantiere “di diritto” (l’M.A.), dalla quale conseguirebbe l’impossibilità, per il M.M., di assumere contemporaneamente la corrispondente posizione di garanzia; dall’altro, essa riguarda l’asserita assenza del M.M. dal cantiere al momento del fatto, mentre l’M.A. (titolare formale dell’incarico di capo cantiere) era presente.
Né all’una, né all’altra delle due obiezioni può riconoscersi fondamento.
Va premesso che, per pacifica giurisprudenza, l’assunzione, in via di fatto, della qualità di datore di lavoro, di dirigente o -come nella specie- di preposto determina, in virtù del principio di effettività, l’acquisizione della corrispondente posizione di garanzia in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (vds. ex multis Sez. 4, Sentenza n. 22246 del 28/02/2014, Consol, Rv. 259224).
Sul punto, non può poi trascurarsi che recenti e importanti arresti della giurisprudenza di legittimità anche in composizione apicale (per tutte vds. Cass. Sez. U., 24 aprile 2014, ThyssenKrupp, RV 261107; ed ancora Sez. 4, n. 2536 del 23/10/2015, dep. 2016, Bearzi e altri) hanno ribadito che la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, aggiungendo anzi che é spesso di particolare importanza porre attenzione alla concreta organizzazione della gestione del rischio: indicazione che oggi si desume testualmente dall’art. 299 del T.U. sulla sicurezza del lavoro, ma che costituisce importante principio dell’ordinamento penale (sul punto vds. anche la più risalente Sez. 4, 22/05/2007, Conzatti, Rv. 236852).
Tanto premesso, é parimenti ius receptum che, in tema di omicidio colposo da infortuni sul lavoro, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno é, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza che, se é possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, é, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto, anche quando le posizioni di garanzia siano sullo stesso piano (Sez. 4, Sentenza n. 38810 del 19/04/2005, Di Dio, Rv. 232415; Sez. 4, Sentenza n. 45369 del 25/11/2010, Osella e altro, Rv. 249072).
Nella specie, dunque, poiché é risultato pacifico, ed ampiamente argomentato dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, che il M.M. rivestiva la qualità di capo cantiere di fatto, egli aveva assunto per ciò stesso la corrispondente posizione di garanzia, con i correlati obblighi prevenzionistici, al pari del titolare formale dell’incarico (ossia l’M.A.). Né rileva, alla luce degli illustrati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che non vi fosse stata delega formale di detta posizione, atteso che, come emerge dai richiami alle prove assunte contenuti nella sentenza impugnata, vi era reciproca consapevolezza dell’M.A. e del M.M. della qualità da ciascuno ricoperta e della sostanziale (e peraltro non contestata) intercambiabilità delle rispettive mansioni di capo cantiere.
La sentenza impugnata dà poi debitamente conto del fatto che il M.M., oltre ad essere solitamente presente in cantiere (e indipendentemente dal fatto che lo fosse al momento dell’infortunio), era comunque sicuramente reso edotto del fatto che si sarebbe proceduto all’intonacatura delle scale, ed anzi fu proprio lui a ordinare che si procedesse con tale operazione (sul punto, la Corte di merito richiama la deposizione del teste Ca. in data 22 settembre 2010).
In definitiva il M.M., oltre ad essere capo cantiere di fatto, era pienamente nelle relative funzioni ed aveva assunto le corrispondenti responsabilità, anche con riferimento ai lavori di intonacatura affidati alla vittima C.A.I.; e non vi fu comunque un problema di successione tra la posizione di garanzia del titolare formale dell’incarico di capo cantiere, M.A., e quella comunque assunta dal M.M. in relazione alle medesime funzioni: su entrambi, in definitiva, gravava l’obbligo di impedire l’evento, nella specie disatteso; con l’ulteriore specificazione, quanto al M.M., che egli viene indicato come colui il quale diede disposizione di procedere ai lavori di intonacatura del vano scale, in occasione dei quali il C.A.I. cadde all’Interno del vano ascensore, perdendo la vita.
1.2. Parimenti infondato é il secondo motivo di ricorso del M.M..
La mancata concessione della sospensione condizionale della pena é bensì argomentata dalla Corte di merito sulla base delle condizioni soggettive dell’imputato, giudicate ostative; ma la sentenza, oltre a dare conto della gravità della violazione a lui ascritta, precisa altresì che il M.M., lungi dall’essere incensurato e alla prima esperienza giudiziaria come sostenuto nel ricorso, annovera nella sua biografia penale alcune precedenti condanne, sicuramente ostative alla concessione del beneficio invocato (nel certificato del casellario giudiziale in atti vengono indicati precedenti per bancarotta, omesso versamento di contributi previdenziali e falso). Ciò rende inoltre evidentemente infondata la doglianza riferita alla presunta contraddittorietà della concessione dei benefici di legge all’M.A., il quale al contrario, come argomentato dalla Corte territoriale, risulta incensurato e presenta perciò, al riguardo, favorevoli condizioni soggettive, tali inoltre da far presumere che egli si asterrà in futuro dal commettere reati.
2. Venendo al ricorso presentato nell’interesse di M.C., anch’esso é infondato.
E’ innanzitutto risultata disattesa, come ampiamente argomentato dalla Corte territoriale, la circostanza che i lavori di intonacatura non fossero previsti e che il M.C. avesse disposto che non fossero eseguite lavorazioni nel vano scala: in senso contrario militano non solo il fatto che la macchina intonacatrice (apparecchiatura di notevoli dimensioni e di rilevante ingombro) fosse posizionata sul pianerottolo, al terzo piano del vano scale; ma altresì le stesse dichiarazioni del teste Ca., il quale precisa di contro che i lavori di intonacatura erano programmati.
Né a contrario può valere il documento in data 4 luglio 2007, manoscritto dal M.C., in cui questi dispone di non effettuare lavorazioni nel vano scale: risulta essere mera allegazione difensiva la circostanza che detto documento sarebbe stato trasmesso via fax alla Edìlcity, non valendo a far assurgere a rango di prova dell’inoltro (come correttamente affermato dalla Corte di merito) il fatto che sul documento vi sia unicamente una scritta a mano “inviato fax”. E in aggiunta a ciò, la Corte territoriale ha correttamente osservato che, anche laddove il documento fosse stato realmente inviato, ciò non avrebbe esonerato il M.C., nella qualità da lui ricoperta, dai suoi doveri di vigilanza e controllo sull’operatività del cantiere.
Ancora: non risponde a verità che la Corte territoriale abbia affermato che l’inidoneità delle barriere protettive apposte ai piani sarebbe stata una delle cause del sinistro; la sentenza impugnata chiarisce invero che dette barriere, giudicate peraltro inidonee dall’isp. R., risultavano apposte solo ai piani diversi dal quinto (é viceversa provato, in base alle dichiarazioni del teste oculare S., che al quinto piano, ossia nel punto da dove cadde il C.A.I., non vi era alcun parapetto o sbarramento); ma soprattutto che l’unico presidio che avrebbe impedito i rischi di caduta sarebbe stato il ponteggio interno precedentemente predisposto per utilizzare il vano ascensore come varco per il passaggio dei materiali edili; ma, come precisato nell’impugnata sentenza, é pacifico che detto ponteggio era stato rimosso almeno un mese prima; ciò non poteva che essere noto al M.C., nella sua qualità, non assumendo perciò alcun rilievo il fatto che egli non fosse presente in cantiere il giorno dell’infortunio nel quale il C.A.I. perse la vita; per di più, la Corte di merito sottolinea che i rischi di caduta risultavano ben evidenziati già da tempo, in base agli stessi verbali di sopralluogo redatti dall’imputato, senza che però questi, quale coordinatore per la sicurezza, assumesse alcuna iniziativa concreta finalizzata all’eliminazione delle situazioni di rischio.
In definitiva, a fronte delle circostanze come sopra evidenziate, la sentenza impugnata offre contezza del fatto che il M.C., nella qualità da lui rivestita, disattese i doveri di controllo e verifica a lui imposti e consistenti, in base all’allora vigente art. 5 del D.Lgs. 494/1996: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, Sentenza n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi e altri, Rv. 257167).
3. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che si liquidano come da dispositivo, nei limiti del petitum.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi € 2106,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2016.