Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 26 novembre 2015, n. 46991

Crollo dell’impalcatura metallica collocata lungo le facciate di un grande edificio per implosione dovuta al sovraccarico. Plurime responsabilità.


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GIANNITI PASQUALE
Data Udienza: 12/11/2015

Fatto

1. Il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, con sentenza 25 gennaio 2013 dichiarava F.P., A.F., M.A. e C.T.R. colpevoli del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. (morte dell’operaio P.F. e lesioni personali guaribili in giorni venti per l’operaio A.D.), agli stessi contestato con violazione della normativa antiinfortunistica in cooperazione colposa al capo B dell’imputazione, e condannava gli imputati F.P. e C.T.R. alla pena di anni due mesi due di reclusione ciascuno e gli imputati A.F. e M.A. alla pena di anni due mesi sei di reclusione ciascuno.
L’imputazione si riferisce ai fatti occorsi in data 27 dicembre 2003, allorquando, nel corso dei lavori di rifacimento delle facciate esterne e di rifacimento dei terrazzi di copertura del complesso immobiliare sito in Palermo, via Omissis – si verificava il crollo dell’impalcatura metallica collocata lungo le facciate prospicienti le vie Omissis dell’edificio (di 14 piani) di proprietà della Fondazione Enpam (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri), con conseguente caduta nel vuoto degli operai P.F. e A.D. (il primo rimasto ucciso sotto le macerie e l’altro, che riusciva a salvarsi aggrappandosi ad un balcone dell’edificio, rimasto ferito con lesioni giudicate guaribili in giorni venti) impegnati nelle operazioni di smontaggio del mastodontico ponteggio. Il crollo dell’impalcatura metallica determinava anche il danneggiamento della facciata dell’edificio (di 14 piani, si ribadisce) e di numerose autovetture parcheggiate nei pressi del cantiere.
Secondo quanto contestato e poi ritenuto dal Giudice di primo grado i lavori di rifacimento delle facciate esterne e dei terrazzi di copertura del suddetto complesso – che avevano formato oggetto di appalto concesso dalla Fondazione Enpam alla Eurom Tecnologìe s.r.l., amministrata dall’imputato C.T.R. – sono stati interessato da un duplice meccanismo di subappalti: il subappalto intercorso tra la società appaltatrice con la ditta individuale M.A.  e l’ulteriore sub appalto dei lavori di montaggio e di smontaggio del ponteggio intercorso tra la ditta individuale M.A.  e la ditta individuale A.F. , fornitrice del ponteggio.
In particolare in imputazione era contestato:
– all’imputato C.T.R., nella qualità di datore di lavoro (in quanto amministratore unico della Eurom Tecnologie srl, aggiudicataria dell’appalto dei “lavori di rifacimento delle facciate esterne e di rifacimento dei terrazzi di copertura del complesso immobiliare”), veniva contestato di aver omesso di verificare che la ditta individuale M.A.  (alla quale di fatto la Eurom aveva sub appaltato la esecuzione dei lavori) eseguisse gli stessi con la dovuta osservanza di leggi, regolamenti, direttive e norme di ordinaria prudenza, diligenza e perizia, specie in ordine alle cautele antinfortunistiche e in materia di tutela della pubblica incolumità; ed in particolare di aver omesso di assicurare che il ponteggio fosse posto in opera in modo da garantire una capacità portante sufficiente e di aver omesso di verificare che detto ponteggio fosse stabile;
– all’imputato M.A., quale titolare della ditta subappaltatrice dei lavori, (che aveva ulteriormente sub-appaltato alla ditta individuale A.F. i lavori di montaggio e di smontaggio del ponteggio, pur presiedendo di fatto alla conduzione dei lavori stessi), veniva contestato di aver omesso di assicurare che entrambe le suddette fasi fossero eseguite con l’impiego di maestranze qualificate e che fossero adottate le cautele antinfortunistiche e in materia di sicurezza prescritte da leggi, regolamenti, direttive e norme di ordinaria prudenza, diligenza e perizia (tra le quali quelle di seguito addebitate all’imputato A.F.);
– all’imputato A.F. – quale titolare della ditta individuale noleggiatrice del ponteggio, ma anche subappaltatrice della ditta M.A. dei lavori relativi al montaggio e smontaggio del ponteggio stesso, nonché investita dell’incarico di trovare manodopera per l’esecuzione di tali operazioni (manodopera che procacciava tramite A.D. Antonino e tramite P.F., operaio sprovvisto della necessaria qualifica di pontista e delle cognizioni tecniche e della esperienza necessaria per l’esecuzione del lavoro) – veniva contestato di aver omesso di assicurare l’osservanza delle cautele antinfortunistiche nel montaggio e nello smontaggio del ponteggio; e, in particolare, veniva contestato, quanto al montaggio del ponteggio, di aver realizzato un ponteggio difforme, sotto diversi profili, analiticamente indicati in imputazione, rispetto al progetto redatto dall’Ing. C.C. ed al manuale d’uso e manutenzione fornito dal produttore “Ponteggi Dalmine spa”; e, quanto allo smontaggio, di aver incaricato dell’esecuzione il suddetto A.D., persona sfornita della qualifica, nonché delle cognizioni tecniche e dell’esperienza necessaria per eseguire tale operazione, il quale si avvaleva fra l’altro di manodopera non qualificata;
– all’imputato F.P. – quale Coordinatore della Sicurezza per l’esecuzione dei lavori – veniva contestato di aver omesso ogni controllo nelle fasi di montaggio e di smontaggio del ponteggio e di non aver impedito che fossero effettuate.
A tutti i suddetti imputati veniva contestata l’aggravante di aver commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Con la medesima sentenza i predetti imputati venivano condannati, in solido tra loro ed anche in solido con il responsabile civile Fondazione ENPAM (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri), al pagamento delle provvisionali, immediatamente esecutive e di diversificato importo, in favore delle parti civili (A.G., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulle figlie minori; P.R., C.M., A.D., A.F.; Inail); sempre i medesimi imputati, in solido tra loro e con il citato responsabile civile, venivano condannati anche al risarcimento dei danni sofferti dalla parte civile B.M., rimettendo, in questo caso, le parti davanti al competente giudice civile per la liquidazione.
Il Giudice di primo grado, con la citata sentenza, ritenuta l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 449 cp, dichiarava prescritto il reato di disastro colposo, contestato agli imputati al capo A, nonché i reati contestati agli originari capi C e D, a vario titolo ascritti come in atti; e assolveva P.C., imputato dei reati di cui ai capi A e B nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione, da entrambe le imputazioni (ritenuta, quanto a quella di cui al capo B, l’ipotesi di cui all’art. 449 comma 1 cp) con la formula “per non aver commesso il fatto”.
2. Avverso la suddetta sentenza veniva presentato appello nell’interesse degli imputati C.T.R., M.A., A.F. e F.P., nonché anche nell’interesse del responsabile civile Fondazione Enpam.
3. La Corte di appello di Palermo, con sentenza 12 maggio 2014,
– dichiarava prescritto il reato di lesioni personali in danno di A.D. contenuto nell’imputazione di cui al capo B, riduceva le pene inflitte al F.P. ed al C.T.R. ad anni due di reclusione ciascuno e le pene inflitte al A.F. ed all’M.A. ad anni due e mesi quatto di reclusione ciascuno;
– eliminava tutte le statuizioni rispettivamente disposte in favore delle parti civili B.M., A.F. e A.D.;
– confermava nel resto l’impugnata sentenza;
– revocava la sospensione dell’esecuzione della provvisionale di euro 80 mila posta in favore della parte civile Inail a carico solidale degli imputati F.P., M.A., A.F. e C.T.R., nonché del responsabile civile Fondazione Enpam;
– condannava gli imputati ed il responsabile civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili A.G., nella suddetta duplice qualità, P.R. e C.M., nonché dall’Inail;
– infine, a correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado, disponeva che nel corpo di quest’ultimo fosse inserita anche la condanna in solido degli imputati F.P., M.A., A.F. e C.T.R., nonché del responsabile civile Enpam al risarcimento dei danni in favore delle parti civili A.G., sempre nella suddetta duplice qualità, P.R., C.M. e Inail, rimettendo le parti davanti al competente giudice civile per la liquidazione.
4. Avverso la suddetta sentenza proponevano ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori, gli imputati A.F., M.A., C.T.R. e P.F., nonché la Fondazione Enpam.
Il difensore dell’imputato P.F. in data 23 ottobre 2015 depositava motivi aggiunti.
5. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato C.T.R. è affidato a quattro motivi di doglianza.
5.1. Con il primo viene dedotta la violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 179 e 419 cpp.
Al riguardo il ricorrente deduce che l’omessa notifica della fissazione dell’udienza preliminare al domicilio eletto non rientra nel regime di cui all’art. 180 come invece ritenuto dalla Corte territoriale, ma, avuto riguardo alla funzione svolta dall’udienza preliminare, in quello di cui all’art. 179 cpp (che, come è noto, colloca tra le nullità assolute quelle derivanti dall’omessa citazione dell’imputato) e, in quanto tale, deducibile in ogni stato e grado del processo.
5.2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione all’art. 521 cod. proc. pen. e cioè chiede l’annullamento della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra la contestazione del fatto contenuta nell’imputazione e le ragioni poste a fondamento della sentenza di condanna.
Al riguardo, il ricorrente deduce che era stato a lui contestato di aver omesso le opportune cautele antinfortunistiche finalizzate ad assicurare la capacità portante e la stabilità del ponteggio (e che dall’espletata attività istruttoria è per l’appunto emerso che il ponteggio era stato costruito a regola d’arte ed apprestando tutte le opportune precauzioni, essendo il crollo ricollegabile alla tecnica di smontaggio adottata il giorno dell’incidente) mentre era stato condannato per un fatto del tutto diverso e cioè per omessa vigilanza in ordine all’attività di smontaggio, fatto in relazione al quale non aveva potuto difendersi. Non si tratterebbe di mera diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto originariamente contestato in termini di colpa specifica e successivamente qualificato come colpa generica, ma di un fatto propriamente diverso. Oltretutto, diversi sono i criteri di accertamento della colpa generica e  della colpa specifica (la prima si accerta sulla base della prevedibilità dell’evento da parte al soggetto agente, mentre la seconda si base sulla violazione di una determinata regola cautelare e sulla riconducibilità dell’evento a tale violazione), con la conseguenza che egli andava messo nella condizione di poter esercitare il proprio diritto di difesa anche con riferimento alla prevedibilità dell’evento.
5.3. Nel terzo motivo viene dedotta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione all’art. 41 comma 2.
L’imputato con questo motivo chiede l’annullamento della sentenza perché, a suo dire, la Corte di Appello non avrebbe ravvisato la sussistenza di una causa sopravvenuta, consistente nello svolgimento arbitrario dei lavori di smontaggio durante la chiusura del cantiere, la quale avrebbe interrotto il nesso di causalità tra la presunta condotta dell’imputato e l’evento in questione.
Secondo il ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non ha tenuto conto che lui aveva disposto la chiusura del cantiere per le festività natalizie e che il crollo è avvenuto il 27 dicembre 2003, a seguito di lavori di smontaggio posti in essere arbitrariamente dai lavoratori durante la chiusura del cantiere: tale comportamento configura a suo avviso una condotta imprevedibile e abnorme in grado di essere da sola causa dell’evento. Tutti i comportamenti anomali interrompono il nesso causale non potendo rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro.
5.4. Nel quarto motivo viene dedotto il vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cp. e precisamente al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Secondo il ricorrente, la sentenza della Corte territoriale è del tutto inadeguata: sia perché egli è stato condannato per omessa vigilanza sullo smontaggio dei ponteggi ovvero per un profilo diverso da quello originariamente contestato, come sopra già rilevato; sia perché anche la graduazione delle colpe concorrenti è rilevante per la determinazione dell’apporto causale di ciascun imputato e per la determinazione della pena, ovvero ai fini del giudizio in ordine alla gravità della condotta di ognuno.
6. – Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato M.A. è affidato ad un’unica doglianza
Con essa si lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione agli artt. 449, 434, 598, 113 e 40 cp.
Il ricorrente, in punto di fatto, premette che dall’istruzione dibattimentale svolta in primo grado era emerso che i lavori di montaggio e di smontaggio dell’impalcatura erano stati da lui affidati alla ditta specializzata di  A.F., operante nel settore da diversi decenni, con regolare contratto; ed aggiunge che lo stesso A.F., nonostante che i lavori presso il cantiere erano sospesi per le festività di fine anno già dal 19 dicembre 2003, il successivo 27 dicembre aveva deciso di effettuare lo smontaggio della impalcatura assumendo direttamente due operai e dando agli stessi tutte le disposizioni sul lavoro che dovevano effettuare.
In punto di diritto censura la sentenza della Corte territoriale sotto il profilo della posizione di garanzia e sotto il profilo dell’estensione nei suoi confronti del nesso di causalità ravvisato tra gli eventi occorsi e le condotte del A.F. e le condotte dei due operai.
Sotto il primo profilo, rileva che la sicurezza del cantiere, a seguito dell’intervenuto subappalto, era onere della ditta del A.F., che aveva tutti i requisiti di legge per svolgere quel specifico lavoro all’interno del cantiere; rileva altresì che il materiale utilizzato per l’impalcatura era nuovo ed era il migliore sul mercato; in definitiva, secondo il ricorrente, nessun addebito può essergli contestato: egli non sapeva che il A.F. stava effettuando all’interno del cantiere attività lavorativa e non conosceva gli operai assunti quel giorno dal A.F., mentre sapeva che il cantiere era sospeso e doveva riaprire dopo le festività di fine anno.
Sotto il secondo profilo, osserva che la posizione di garanzia sussiste in capo al soggetto che ha la piena consapevolezza che si stia eseguendo una attività sulla quale ha obbligo di vigilare, mentre egli, per le circostanze di cui sopra, tale consapevolezza non aveva affatto.
7. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato A.F. è anch’esso affidato ad un unico motivo di doglianza
Con esso viene dedotta la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 113, 449 cp e 589 cp, 133 co, 81 cp e 62 bis cp.
Il ricorrente – dopo aver ricordato che gli viene contestato di aver omesso di assicurare l’osservanza delle cautele antiinfortunistiche, quanto al montaggio, realizzando un ponteggio difforme rispetto al progetto redatto dall’Ing. C. ed al manuale d’uso predisposto dal produttore, e, quanto allo smontaggio, incaricando dell’esecuzione A.D. , persona sfornita di adeguata qualifica e cognizioni tecniche – censura la sentenza impugnata in primo luogo sotto il profilo dell’affermata responsabilità penale.
Al riguardo, il ricorrente deduce non essere neppure astrattamente ipotizzabile a suo capo una condotta omissiva con rilevanza causale rispetto al crollo ed al decesso dell’operaio addetto alle operazioni di smontaggio. Rileva che la sentenza del Giudice di merito di primo grado esclude che il crollo della struttura metallica (ed il conseguente decesso) sia stato determinato da una non corretta posa in opera della stessa, mentre individua la causa dello stesso nella mancata adozione dei prescritti accorgimenti tecnici previsti per la fase di smontaggio del ponteggio. Più precisamente, secondo quanto si legge a p. 46 della sentenza di primo grado, il crollo è avvenuto per le “erronee manovre di smontaggio del ponteggio che hanno provocato il sovraccarico dello stesso e la conseguente implosione”. Fa presente che egli, quale semplice manovale (dipendente Eurom), non ha mai rivestito alcun ruolo di supervisore o garante dell’osservanza delle prescrizioni tecnico operative e si lamenta del fatto che il Tribunale sia addivenuto a diversa conclusione sulla base di una erronea lettura delle dichiarazioni rese dai diversi soggetti coinvolti nella vicenda.
In via subordinata, censura la sentenza impugnata in ordine al profilo sanzionatorio e precisamente in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche ed in punto di mancata indicazione della pena base dalla quale i giudici di merito sono partiti per la quantificazione della pena finale a lui inflitta per effetto dell’ultimo comma di cui all’art. 589 cp.
8. – Nell’interesse dell’imputato F.P. sono articolati tre motivi di ricorso
8.1. – Nel primo si deduce vizio di motivazione in relazione agli artt. 546 lett. c e, 178 lettera c e 360 cpp.
Secondo il ricorrente – premesso che il Pubblico ministero, nel disporre l’accertamento tecnico irrepetibile, aveva omesso la notifica dell’avviso del conferimento dell’incarico al Difensore e che, a seguito di eccezione sollevata nella fase preliminare del giudizio di primo grado, il giudice di detto grado aveva pronunciato ordinanza dichiarativa di inutilizzabilità – la espletata consulenza tecnica irripetibile sarebbe nulla per violazione dell’art. 178 lett. c) cod. proc. pen., come già dedotto davanti alla Corte territoriale, con la conseguenza che la nullità dovrebbe estendersi a tutte le operazioni peritali, comprese quelle relative all’acquisizione di documentazione relativa ai subappalti.
8.2. – Nel secondo si deduce vizio di motivazione in relazione agli artt. 192, 546 lettera e cpp, nonché agli artt. 41 e 113 cp e agli artt. 7, 9, 12, 13 del d. lgvo 494/1996 e agli artt. 92,97 e 100 del d.lgvo 81/2008 e agli artt. 4 e 35 del d. lgvo 626/1994, cioè in relazione alle diverse norme che regolano il ruolo del coordinatore per la sicurezza.
Al riguardo, il ricorrente, imputato in atti quale coordinatore per la sicurezza – dopo aver delineato i compiti del coordinatore per la sicurezza, del datore di lavoro e del direttore dei lavori e dopo aver ricordato che le suddette tre figure professionali, per quanto con compiti diversi, devono necessariamente collaborare nel senso che ciascuna deve comunicare all’altra quanto si sta verificando all’interno del cantiere, in modo che il soggetto competente possa intervenire – richiama l’attenzione sugli intervenuti subappalti, e precisamente: sul fatto che, a seguito di ordine di servizio 19 dicembre 2003 del direttore dei lavori P.C. e del datore di lavoro C.T.R., dal 20 dicembre il cantiere era chiuso; sul fatto che egli con missiva del precedente 16 maggio aveva chiesto alla committente ed alla ditta appaltatrice di essere messo a conoscenza di eventuali subappalti; sul fatto che non era a conoscenza né che i lavori venivano eseguiti da altri e in particolare dalla ditta M.A. e dalla ditta A.F. (soggetto quest’ultimo già dipendente della ditta appaltatrice Eurom) né che il A.F. era stato licenziato in data 31 agosto 2003; sul fatto che Eurom, quale datore di lavoro, aveva chiesto alla committente Enpam di procedere a sub appalti, ma non aveva ottenuto la relativa autorizzazione.
In sintesi il ricorrente lamenta che nella sentenza impugnata, in considerazione dell’Incarico ricevuto con delibera presidenziale Enpam, gli è state attribuito il ruolo di effettivo direttore dei lavori, con la conseguenza che l’omessa vigilanza il giorno dell’evento è stata ritenuta in nesso, con le forme della cooperazione colposa, con il verificarsi dello stesso. Sostiene che le sue funzioni erano soltanto quelle di coordinatore per la sicurezza e che, in quanto tale, non aveva il compito di essere quotidianamente presente. Lamenta altresì che – se il P.C., nominato dalla committente come direttore dei lavori, non poteva essere presente quotidianamente – sarebbe stato compito della stessa committente di nominare altro soggetto con quella qualità (peraltro astrattamente incompatibile con quella di coordinatore della sicurezza). Allega al ricorso, ai fini dell’autosufficienza dello stesso, lettera di incarico dalla quale risulta che la committente si era limitata a conferirgli l’incarico di “coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori indicati in oggetto”, mentre indicava in modo esplicito come direttore dei lavori il solo P.C.. Rileva ancora il ricorrente che alla data del fatto il ponteggio era già stato regolarmente dismesso nella sua massima parte, ragion per cui egli, quale coordinatore per la sicurezza, non avrebbe mai potuto prevedere quelle irregolarità successivamente verificatesi.
In ogni caso – quand’anche si volesse ritenere che il F.P. dovesse essere presente ogni giorno in cantiere e dovesse accorgersi dei subappalti – non sussisterebbe il necessario nesso di causalità; in altri termini, secondo quanto esposto nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato F.P., in astratto e con giudizio ex ante, non era prevedibile che i lavori, nonostante l’ordine di sospensione impartito dal direttore dei lavori, sarebbero comunque proseguiti.
Al riguardo, il ricorrente rileva che – anche a voler dare per certo che, prima della chiusura del cantiere, il ponteggio crollato fosse stato sovraccarico, sarebbe comunque certo che sino al giorno prima dell’evento il sovraccarico era compatibile con la struttura mobile. Osserva che dall’espletata attività istruttoria non è risultata la quantità di pezzi smontati da una parte ed allocata sull’altra parte del ponteggio e che non può essere a lui imputato il fatto che i due operai abusivi abbiano ulteriormente sovraccaricato quella parte del ponteggio facendo sì che si raggiungesse il punto di rottura (indicato nella consulenza dell’Ing. F. in 12.000 kg). Pertanto, la causa del crollo non sarebbe l’omissione della vigilanza, ma il superamento del limite del peso che quella parte del ponteggio poteva tenere.
Infine, in relazione alla cooperazione colposa della propria condotta in relazione all’evento verificatosi, rileva che “nulla esclude, anzi le emergenze processuali includono, che lo stesso, avendo dato all’inizio le disposizioni sulle modalità di smontaggio del ponteggio ed avendo verificato che effettivamente venivano eseguite, non aveva più compiti e non poteva immaginare che la prosecuzione dei lavori avvenisse in modo non confacente al PSC e al POS ed alle disposizioni antinfortunistiche”, essendo invece compito del datore di lavoro e del direttore dei lavori verificare tali anomalie e porvi immediatamente rimedio. Sicché, nell’assenza della consapevolezza della condotta altrui, quella del ricorrente, non si porrebbe in nesso con l’evento verificatosi.
8.3. – Con il terzo motivo lamenta che nei motivi di appello, in via subordinata, era stata chiesta la quantificazione di un concorso di colpa delle vittime nella causazione dell’evento e la concessione delle attenuanti generiche; mentre, la sentenza impugnata ha omesso di motivare sulla prima richiesta e ha respinto la seconda, avuto riguardo alla gravità del fatto. Si duole pertanto, da un lato, dell’omessa motivazione, e dall’altro del fatto che la gravità del fatto è stata considerata due volte: una per determinare la pena base e la seconda per negare le attenuanti generiche.
8.4. – Nei motivi aggiunti il ricorrente ritorna sui compiti a lui spettanti quale coordinatore per la sicurezza (e non anche come direttore dei lavori, come a suo dire erroneamente indicato nella sentenza impugnata); ritorna sul fatto che egli, quale coordinatore per la sicurezza, non aveva l’obbligo di andare tutti i giorni in cantiere per poi rimanervi e non era a conoscenza dell’esistenza dell’appalto dalla Eurom alla ditta M.A. e da questa alla ditta di A.F.; nonché ritorna sul nesso di causalità tra la sua condotta omissiva, ove ritenuta sussistente, e l’evento verificatosi. Lamenta che la Corte sarebbe incorsa in un travisamento della prova dibattimentale laddove aveva sostenuto che dall’audizione dei testi era emerso che egli non si recava in cantiere frequentemente e richiede l’acquisizione delle trascrizioni dibattimentali, al fine di verificare il suddetto travisamento. Allega, ai fini dell’autosufficienza dei motivi aggiunti, decreto che dispone il giudizio ed allegata richiesta di rinvio a giudizio dal quale risulta che, nei confronti dell’A.D. (titolare della ditta incaricata delle operazioni di smontaggio), la contestazione era di aver smontato il ponteggio di via Omissis accatastando gli elementi su quello di via Omissis e causando così un sovraccarico ed il crollo dello stesso. Ricorda che, come si evince dalle due sentenze di merito, lo smontaggio del ponteggio era iniziato nel mese di novembre dalla via Omissis ed era proseguito su via Omissis, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza, fino ad una data che il giudice di primo grado determina nel 13 dicembre 2003, per cui era per lui imprevedibile prevedere che cambiassero le modalità operative delle operazioni di smontaggio.
9. – Il ricorso presentato nell’interesse della Fondazione Enpam (Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri), quale responsabile civile, è affidato a due motivi di doglianza
9.1. – Nel primo viene dedotta la violazione di legge in relazione agli artt. 185 cp, 539 e 540 cpp e 1655 e 2049 cc.
L’ente ricorrente, in punto di fatto, premette che il Giudice di merito aveva autorizzato la sua citazione a seguito di richiesta presentata da A.G. P.R. e C.M.; che esso ente si era costituito all’udienza del 19 marzo 2007 per il solo reato di omicidio colposo contestato in cooperazione anche al geom. P.C., imputato quale direttore dei lavori e suo dipendente; che ad esito dell’istruzione dibattimentale il P.C. era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto. Aggiunge l’ente, sempre in punto di fatto, che il Giudice di primo grado, nel ritenere colpevoli gli altri imputati (tutti estranei all’organigramma della Fondazione), ha condannato gli stessi e l’Enpam al pagamento di una provvisionale e delle spese processuali in favore delle costituite parti civili.
In punto di diritto – premesso che, secondo valutazione concorde di tutti i consulenti tecnici di parte escussi in primo grado, il crollo dell’impalcatura fu determinato dalle errate ed arbitrarie operazioni di smontaggio; e che dette condotte erano state poste in essere durante il periodo di formale chiusura del cantiere e di formale sospensione dei lavori che era stata ordinata dal P.C., quale direttore dei lavori, per conto della Fondazione e dall’imputato C.T.R., amministratore dell’impresa appaltatrice – le condotte imperite poste in essere dalle persone offese sarebbero la causa esclusiva dell’evento per cui si procede. Con il comportamento colposo delle persone offese può avere concorso il comportamento degli imputati M.A. e A.F. (estranei alla Fondazione) che avevano effettuato il reclutamento di mano d’opera non qualificata e specializzata al fine di provvedere allo smontaggio del ponteggio.
Tanto premesso l’ente ricorrente deduce di essere stata erroneamente chiamate a rispondere del fatto illecito altrui (e cioè dagli altri imputati condannati, ad essa estranei).
Per contro, i giudici di merito – sulla base: a) del l’accertata stipulazione di un contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria dell’immobile intercorso tra la Fondazione e l’impresa dell’imputato C.T.R., b) degli accertati intercorsi ulteriori contratti di subappalto a cascata, non conclusi e non comunicati o autorizzati dalla Fondazione, c) della permanenza in capo all’appaltatore degli oneri dell’organizzazione dei mezzi necessari e della gestione a proprio rischio per il compimento dell’opera – avrebbero dovuto escludere la sussistenza della responsabilità civile della Fondazione non solo perché nessuna responsabilità penale era stata ascritta al direttore dei lavori (l’imputato P.C., suo dipendente), ma anche perché il rapporto tra la Fondazione e l’impresa Eurom dell’imputato C.T.R. era disciplinato da uno specifico capitolato di appalto, che poneva a carico del titolare della sola ditta appaltatrice, l’imputato C.T.R., i danni cagionati a terzi in occasione dello svolgimento dei lavori nel cantiere di via Omissis n. 58 (cfr. in particolare gli artt. 12 e 23). D’altronde, non sussiste corresponsabilità del committente ogni qual volta, come per l’appunto si verifica nel caso di specie, quest’ultimo affida l’opera ad impresa rivelatasi idonea per le capacità tecniche ed organizzative finalizzate alla corretta esecuzione dell’opera.
L’ente ricorrente censura la sentenza di primo grado laddove rileva (a p. 93 della sentenza di primo grado) che la responsabilità della Fondazione trae origine dal rapporto istitutorio intercorrente tra la stessa e il coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva (l’imputato F.P.), con conseguente applicabilità dell’art. 2049 c.c., in quanto l’autonomia dell’attività del suddetto coordinatore, il carattere libero professionale dell’incarico allo stesso conferito e la sua estraneità all’organigramma della fondazione, sono tutti elementi che impediscono l’instaurarsi di qualsivoglia rapporto o vincolo di subordinazione del secondo alla prima, riconducibile al disposto dell’art. 2049 e suscettibile di costituire fonte di responsabilità civile nel processo penale.
9.2. – Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di varie disposizioni di legge processuale, penale e civile.
In sintesi, deduce l’ente che, soltanto a seguito della notifica del decreto 20 dicembre 2006 – emesso dal Tribunale di Palermo su richiesta di A.G., P.R. e C.M. – era venuto a conoscenza della pendenza del processo.
Orbene, a seguito di detto decreto esso si era costituito responsabile civile per i reati commessi in danno delle sole parte civili indicate nel suddetto decreto.
Senonchè la Corte territoriale ha confermato la condanna della Fondazione al pagamento di una provvisionale non soltanto in favore di G.A.,P.R. e M.C., cioè delle parti civili indicate nel decreto di citazione, ma anche in favore dell’ Inail, che pure non aveva chiesto la citazione del responsabile civile e che comunque non era indicata nel decreto di citazione e non aveva formulato domanda risarcitoria.
In definitiva, secondo l’ente ricorrente, la propria citazione, quale responsabile civile anche nei confronti dell’Inail, sarebbe nulla ai sensi dell’art. 178 lettera c cpp (riguardante l’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento delle parti private). Detta nullità era già stata eccepita con l’atto di appello e andava valutata dalla Corte ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 604 comma 4 c.p.p.
10. – La parte civile Inail depositava memoria nella quale chiedeva il rigetto di tutti i ricorsi e la conferma integrale della sentenza emessa dalla Corte territoriale.

Diritto

l. La disamina dei ricorsi proposti impone una triplice comune premessa: in punto di contenuto del concetto di colpa in materia di prevenzione sugli infortuni sul lavoro; in punto di individuazione dei soggetti che, nella suddetta materia, assumono il ruolo di garante dell’incolumità fisica del prestatore di lavoro; nonché in punto di idoneità delle eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato ad interrompere, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p., il nesso di causalità sussistente tra l’omissione colposa di un garante e l’evento mortale (o, più semplicemente lesivo) che ne è derivato.
1.1. Sotto il primo profilo, si rammenta che la colpa è l’inosservanza di cautele doverose nell’esercizio di attività consentite; e che l’elemento peculiare della responsabilità colposa è che l’offesa non deve essere oggetto di volizione: il concetto di antidoverosità, invero, richiama una nozione di imputazione normativa dell’offesa. In altri termini, il giudizio colposo si sostanzia nel raffronto fra il comportamento effettivamente tenuto dal soggetto agente e il comportamento (ottemperante alla regola cautelare) che avrebbe potuto e dovuto realizzare.
La colpa presenta dunque un profilo oggettivo (l’antidoverosità) e uno soggettivo (la concreta capacità dell’agente di adeguarsi alla regola cautelare).
In particolare, la colpa specifica, presa in considerazione dall’art. 43, comma 1, III alinea, cod. pen. è determinata dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline concernenti l’esercizio di attività considerate pericolose dall’ordinamento e perciò consentite subordinatamente al rispetto di regole cautelari compendiate in atti normativi (leggi, regolamenti) ovvero provvedimentali (ordini) ovvero codificate in discipline (circolari, regole dell’arte o dell’esperienza).
La differenza fra colpa generica e colpa specifica riposa sulla diversa tecnica di redazione del modello legale. Nella prima specie di colpa i concetti di negligenza, imprudenza e imperizia sono concretizzati attraverso la previsione di regole cautelari extragiuridiche di estrazione sociale, parametrate sulla figura immaginaria del c.d. agente modello della stessa condizione sociale e professionale del soggetto attivo. Per converso, nella seconda specie di colpa, come sopra rilevato, le regole cautelari a contenuto preventivo sono codificate in documenti normativi o provvedimentali. In linea di principio, l’osservanza di queste regole esclude il profilo dell’antidoverosità, salvo che residui un margine di colpa generica.
Occorra ancora chiarire che per dar luogo all’addebito a titolo di colpa specifica non è sufficiente la mera inosservanza della regola cautelare codificata (profilo oggettivo), ma è altresì necessario che l’autore avesse in concreto la possibilità di evitare il prodursi dell’evento offensivo (profilo soggettivo). Opinando altrimenti verrebbero a profilarsi i contorni di una culpa in re ipsa derivante della mera trasgressione, in contrasto con il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.)
Ai medesimi fini, è infine opportuno precisare che per configurare l’ascrizione dell’evento a titolo di colpa specifica, è necessario che, a seguito della violazione della regola preventiva trasgredita, si sia prodotta proprio l’offesa che essa mirava a evitare (c.d. nesso di congruità fra regola cautelare violata ed evento verificatosi).
1.2. Quanto poi alla individuazione dei soggetti garanti, si rileva che il legislatore, tenuto conto della complessità dei processi produttivi moderni, che sempre più coinvolge un numero ampio di imprese, ha di recente rivisitato la materia relativa al contratto di appalto, che, passando dalla disciplina originariamente prevista dagli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547/1995, ha trovato una sua prima regolamentazione nell’art. 7 del d. lgs. n. 626/1994, per poi giungere alla elaborazione del complesso normativo di cui al d. lgvo n. 494/96, oggi sostanzialmente trasfuso nel d. legislativo 81/08.
In relazione a lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza trova il suo referente, in primo luogo, nell’appaltatore, cioè nel soggetto che si obbliga verso il committente a compiere l’opera appaltata, con propria organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio:
l’appaltatore, invero, quale datore di lavoro, è il primo destinatario delle disposizioni antinfortunistiche.
Ma nell’articolata disciplina posta da detto ultimo decreto, sono previste specifiche figure alle quali vengono affidati precisi compiti con connesse responsabilità. Le ragioni della introduzione dì tale articolata disciplina risiedono non soltanto nella constatazione che i cantieri edili costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevanti, ma anche nell’esigenza che, all’atto della realizzazione di una opera, vi sia un coordinamento tra le varie imprese, chiamata a realizzarla.
In particolare, il D.Lgs. 14.8.1996 n. 494 prima, e il T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81), ora, hanno effettuato e confermato una scelta di campo: il committente è stato infatti coinvolto pienamente nell’attuazione delle misure di sicurezza. Chiara la ratio: il legislatore, al fine di contenere il fenomeno degli infortuni sul lavoro nel campo degli appalti e costruzioni, ha optato per la responsabilizzazione del soggetto per conto del quale i lavori vengono eseguiti. Quanto precede si è tradotto nella previsione di tutta una serie di obblighi in capo al committente, cristallizzati nell’art. 90 del T.U., che tra l’altro prevede la nomina (alla presenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge) del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione nel caso di presenza di più imprese esecutrici; la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese affidatarie ed esecutrici.
Orbene, con specifico riferimento all’esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un unico cantiere edile predisposto dall’appaltatore, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio in base al quale gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, grava non soltanto sull’appaltatore, ma anche su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di un’opera parziale e specialistica (Sez. 4, sent. n. 42477 del 16/07/2009, Cornelli, Rv 245786).
D’altra parte è stato precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di “alta vigilanza”, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel P.F. di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del P.F. operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al P.F. di sicurezza e coordinamento; c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS. (Sez. 4, sent. n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257167).
In generale, dalla sopra richiamata disciplina normativa (e in particolare dall’art. 26 del d.lgs 9 aprile 2008, n. 81) si desume il principio, secondo il quale, in caso di contemporanea presenza di più imprese all’interno di un medesimo cantiere edile, tutti i soggetti titolari di una posizione di garanzia hanno il dovere di cooperare all’attuazione di misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto di appalto, informandosi, reciprocamente, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese, coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
1.3. Quanto infine alla rilevanza della eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato, occorre osservare che, in tema di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’offesa, la giurisprudenza di legittimità ritiene che possano considerarsi tali quelle che diano luogo a una serie causale, sebbene non del tutto autonoma rispetto a quella riferibile all’agente, che si atteggi in termini di assoluta anomalia, eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 4, sent. n. 13939 del 30/01/2008, Bauwens, Rv. 239593).
In particolare, è stato chiarito (Sez. 4, sent. n. 7267 del 10/11/2009, 2010, Iglina, Rv. 246695) che la condotta colposa del lavoratore infortunato non esclude la responsabilità dell’imprenditore, poiché il datore di lavoro è destinatario delle norme antinfortunistiche proprio per evitare che il dipendente compia scelte irrazionali che, se effettuate, possano pregiudicarne l’integrità psico-fisica: l’imprenditore è esonerato da responsabilità soltanto nel caso in cui il comportamento del dipendente sia eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile (e non anche nel caso in cui l’irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare proprio il contrario di quello che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni).
Con particolare riferimento alla sicurezza sul luogo di lavoro, la giurisprudenza di legittimità ritiene che presenti efficacia interruttiva del rapporto causale esistente tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l’offesa soltanto il comportamento abnorme del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, sent. N. n. 14440 del 05/03/2009, Ferraro, Rv. 243881).
In tale senso è abnorme soltanto la condotta del dipendente Infortunato che esuli dai limiti delle attribuzioni proprie del segmento di lavoro ad esso attribuito, non insistendo nell’area di rischio della lavorazione svolta.
In ogni caso, quand’anche sussista una condotta colposa del lavoratore, questa non potrà comunque spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti destinatari di obblighi di sicurezza che abbiano violato prescrizioni in materia antinfortunistica (Sez. 4, sent. n. 12115 del 03/05/1999, Grande, Rv. 214999), in quanto le disposizioni prevenzionistiche hanno la funzione primaria di eliminare o almeno ridurre i rischi per l’incolumità fisica dei lavoratori intrinsecamente connaturati ai processi produttivi dell’attività di impresa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi derivino da condotte colpose dei prestatori di lavoro.
1.4. Precisati i principi che precedono, occorre procedere alla disamina di ciascuno dei motivi di ricorso.
2. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato C.T.R. non può essere accolto.
2.1 Il primo motivo del ricorso, presentato nell’interesse dello stesso, non è fondato.
Nonostante l’esistenza di autorevole giurisprudenza in senso contrario, citata anche nel ricorso della parte, recente giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 49473 del 9/10/2013, Leone, Rv. 257182), per ragioni qui condivise, ha avuto modo di affermare che “l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di cui all’art. 419 cod. proc. pen. non costituisce ipotesi di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. bensì rientra nel regime di cui all’art. 180 cod. proc. pen.. Ciò in quanto, nonostante la L. 16 dicembre 1999, n. 479, abbia operato un avvicinamento dell’istituto all’udienza dibattimentale, permane la funzione di filtro assegnata dall’ordinamento all’udienza preliminare e permane invece la primaria importanza del decreto che dispone il giudizio (art. 429 cod. proc. pen.), atto cui segue il passaggio processuale della presentazione dell’imputato al dibattimento, nel cui ambito avviene la verifica dell’ipotesi accusatoria ed è data all’imputato la facoltà di svolgere compiutamente le sue difese. Ne consegue la diversità del regime delle nullità previste dall’art. 419 c.p.p., comma 7 rispetto a quello riguardante il decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p., comma 2) in relazione alla diversa funzione dell’atto nella dinamica del procedimento. Pertanto, con riferimento all’art. 179 cod. proc. pen., quando la norma parla dell’omessa citazione dell’imputato, essa non può che riferirsi alla notifica del decreto che dispone il giudizio. Al contrario, l’avviso per l’udienza preliminare, pur rientrando tra gli atti che determinano un intervento dell’imputato, non è una citazione, termine per lo più inteso come chiamata in sede dibattimentale in connessione con il giudizio (Cass. Pen, 7523 del 191512000; Cass. 35678 del 281412)”.
La Corte di appello, nella impugnata sentenza, si è attenuta a questo principio, correttamente rilevando (p.21) che la nullità in esame, intesa come vizio afferente gli atti dell’udienza preliminare, non era stata tempestivamente eccepita a conclusione dell’udienza preliminare e si era comunque sanata con la rituale notifica del decreto che dispone il giudizio.
2.2. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato
Le Sezioni Unite, richiamando una precedente pronuncia, hanno chiarito che “per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un ‘incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv. 248051).
Per quanto occorrer possa, si ricorda che, a fondamento del principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza sta l’esigenza di assicurare all’imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell’imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita; e, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l’accusa sia sfuggito alla difesa dell’imputato, non è ravvisabile alcun mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, la lamentata violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza.
E di recente la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “il principio di correlazione tra contestazione e sentenza è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne consegue che la violazione di tale principio è ravvisabile quando il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva” (Sez. 4, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi, Rv. 262802).
Come noto, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che le norme di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. – avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato – non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto da una modificazione dell’imputazione che pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato. La nozione strutturale di “fatto”, contenuta nelle disposizioni in questione, va cioè coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di escludere le effettive lesioni del diritto di difesa. Il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423).
In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che sussiste il mutamento del fatto, quando la fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge subisca una radicale trasformazione nei suoi tratti essenziali, tanto da realizzare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 6, n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756).
Ed è stato precisato (Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902; Sez. 4, n. 7704 del 27/06/1997, Crosara, Rv. 208556) che, in tema di lesioni colpose ai danni di un lavoratore, può ritenersi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando la causazione dell’evento venga contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità venga invece affermata in riferimento ad un’ipotesi differente. Se invece la contestazione concerne globalmente la condotta, addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione suddetta non sussiste: è consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata.
Orbene, la Corte di Appello, in aderenza ai suddetti principi, dopo aver ricordato l’articolato del capo di imputazione, ha ritenuto (p. 22), da un lato, che lo stesso “abbraccia per intero la condotta del C.T.R. nei termini in cui egli è stato condannato dovendo peraltro rammentare che la corrispondenza tra sentenza ed imputazione non va intesa in senso strettamente formale e pedissequo, specie in presenza di condotte così articolate e complesse come quelle in disamina, ma deve essere tale da garantire l’imprescindibile diritto di difesa costituzionalmente garantito”; e, dall’altro, che “l’intera attività difensiva ha posto in evidenza come il C.T.R., nella spiegata qualità di datore di lavoro e di titolare della società appaltatrice, sia stato fin da subito consapevole degli effettivi ambiti della contestazione che certamente esulano da quel parziale riferimento alla regolarità (o meno) nelle fasi di montaggio e posa in opera dell’intelaiatura”.
2.3. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
La Corte di Appello, al riguardo, ha accertato, con motivazione logica ed adeguata, che “il crollo, pacificamente occorso per l’errata manovra di smontaggio consistita nell’appesantire un’unica stilata del ponteggio, non è legato ad un estemporaneo comportamento, abnorme e non prevedibile, di quegli operai reclutati e mandati a lavorare dal A.F. (peraltro in assenza di qualsiasi preparazione specifica in tema di ponteggi), ma ad un inadempimento strutturato conseguente ad un’attività di smontaggio congegnata in modo errato che si è protratto nel tempo” (cfr. p. 24 della sentenza) e che “in merito alla presunta abnormità della condotta degli operai va ancora aggiunto che per accumulare quel carico necessario a far implodere la struttura è stato necessario che lo smontaggio irregolare avvenisse per più giorni diversi muovendo almeno dalla data 13 dicembre 2013, sempre con l’errata pratica di ammonticchiare in quota le parti smontate; sicché il C.T.R., nella sua duplice qualità, di certo non può invocare a sua discolpa l’imprevedibilità della condotta trattandosi, invece, di un errore protratto nel tempo a, per così dire, strutturato oltre che assolutamente visibile qualora fosse stato esperito un minimo di controllo e di coordinamento nei lavori” (cfr. p. 24 della sentenza).
La motivazione che precede – in quanto logica e non contradditoria – sfugge dai limiti di sindacato della Corte di legittimità.
2.4. – Della infondatezza del quarto motivo di ricorso si dirà di seguito.
3. Il ricorso presentato nell’interesse di M.A., affidato ad un unico motivo di doglianza, è infondato.
Entrambi i giudici di merito hanno affermato la responsabilità penale dell’imputato M.A., quale subappaltatore di alcuni dei lavori affidati in appalto al C.T.R., nonostante che lo stesso avesse subappaltato le operazioni di montaggio e smontaggio dell’ impalcatura alla ditta del sig. A.F..
Il Giudice di primo grado ha ritenuto che “nella sostanza, l’andamento dei lavori di ristrutturazione furono regolati fin dall’inizio dall’M.A., che era costantemente presente in cantiere (tanto da esserne considerato il responsabile: v., sul punto, tra le tante, deposizione dell’operaio T.), dava disposizioni in ordine alla divisione del lavoro tra gli operai, perfino spiegando agli stessi il modo di eseguire il lavoro assegnato e provvedeva a pagarli” (p. 71).
La Corte territoriale, investita del gravame, ha a sua volta ritenuto che l’A., nella duplice veste di titolare dell’impresa subappaltatrice e fornitore del ponteggio in forza del contratto stipulato con il A.F. (dunque al contempo subappaltatore dei lavori e subappaltante dei lavori di montaggio e smontaggio del ponteggio) aveva lo specifico onere di verificare che le operazioni di dismissione dell’impalcatura avvenissero mediante l’impiego di maestranze qualificate ed in virtù di una sequenza di smontaggio ordinaria ed ordinata, cioè facendo in modo, anzitutto, che le singole parti dismesse venissero poggiate a terra e man mano portate via”; e che “i lavori di rifacimento della facciata sono stati regolati fin dall’inizio dall ‘M.A. presente in cantiere e che è stato riconosciuto come il responsabile o il corresponsabile che, unitamente al A.F., dettava le disposizioni in ordine alla divisione dei compiti tra i vari operai  con la conseguenza che “in capo all’M.A. sussisteva un obbligo di vigilanza e di coordinamento paragonabile a quello del C.T.R. nei confronti della ditta subappaltatrice” (cfr. p. 27 della sentenza).
La Corte di Appello, dopo aver ricordato che “il giudice di prime cure aveva adeguatamente tratteggiato taluni aspetti che valgono a definire il ruolo di garanzia di questo imputato”, ha rilevato che l’M.A., al pari del titolare della società Eurom Tecnologie, non aveva garantito la presenza di alcun preposto o comunque di un soggetto qualificato, che potesse sovraintendere a quel genere di lavori, e non si era curato delle capacità organizzative e professionali della ditta subappaltatrice A.F.; né, prosegue la Corte di Appello, la sospensione dei lavori per le festività natalizie giustificava l’M.A., il quale doveva assicurarsi che la chiusura fosse osservata anche dall’impresa A.F., anche perché “quei lavori di smontaggio erano iniziati almeno dal 13 dicembre, “ovvero in un periodo in cui il cantiere era anche formalmente operativo” (cfr. p. 28 della sentenza).
La motivazione della Corte territoriale, essendo logica ed adeguata, non è sindacabile nel presente giudizio di legittimità.
4. – Il ricorso presentato nell’interesse di A.F., affidato ad un unico motivo di doglianza, è inammissibile e comunque infondato.
Il motivo è inammissibile, in quanto con esso il ricorrente, riproponendo il medesimo argomento difensivo proposto nell’atto di appello, chiede l’annullamento della sentenza, deducendo che nella impugnata sentenza era stato erroneamente ritenuto che nel cantiere dove si era verificato l’incidente egli aveva ricoperto una posizione di garanzia (mentre, a suo dire, era un semplice manovale).
Orbene, la giurisprudenza di legittimità ha avuto in più occasioni modo di precisare che è inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (cfr., tra le tante, di recente, Sez. 7, ord. n. 12406 del 19/02/2015, Mlcciché, Rv 262948).
Il ricorso, quand’anche fosse ritenuto ammissibile, sarebbe comunque infondato.
La Corte di Appello ha ritenuto che il A.F. non fosse un semplice manovale non solo perché “tutte le fonti processuali fanno riferimento al contratto di nolo per il montaggio e lo smontaggio del ponteggio stipulato nel mese di aprile 2003 tra la ditta M.A. ed il A.F. medesimo” (cfr. p. 28), ma anche perché il progetto di ponteggio era stato predisposto proprio su richiesta dell’impresa A.F.; ha motivato sul punto il proprio convincimento sulla base delle dichiarazioni di alcuni lavoratori (T., A., P., A.D.) che avevano affermato che nel cantiere i loro referenti erano il A.F. e l’M.A. (cfr. pp. 28 – 30 della sentenza); ha ritenuto che “è stato proprio il A.F., nella spiegata qualità imprenditoriale, a dare l’ordine di continuare quella pericolosa pratica che già era iniziata da giorni precedenti ed almeno dal 13 dicembre. Ricostruzione questa, peraltro, compatibile con la quantità di materiale rinvenuto dopo l’evento (oltre 10.000 Kg), ovvero una mole che certamente non poteva essere accatastata nelle poche ore di lavoro della mattina del 27.12.2003” (cfr. p. 30); ha attribuito al A.F. il molo di sub-appaltatore e di noleggiatore del ponteggio, anche per aver richiamato al lavoro le maestranze proprio il giorno precedente alla formale chiusura del cantiere (cfr. p. 31).
In sintesi, la Corte territoriale, ritenuta acquisita la prova che A.F. fosse a conoscenza della situazione di pericolo, venutasi a creare a causa del sovraccarico in relazione alle fasi di smontaggio, ha ritenuto la penale responsabilità del A.F., in quanto lo stesso “non si è preoccupato di intervenire in termini seri e cogenti affinché la dismissione del ‘suo’ ponteggio avvenisse a regola d’arte” (cfr. p. 32).
La motivazione della Corte territoriale – in quanto logica e non contraddittoria – sfugge dai limiti di sindacato della Corte di legittimità.
Quanto poi al profilo concernente il trattamento sanzionatorio, sarà di seguito esaminato.
5. – Neppure il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato F.P. può essere accolto.
5.1.- Il primo motivo è soltanto parzialmente fondato e va respinto.
La giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, sent. N. 28459 del 23/04/2013, Ramella, Rv. 256105) ha avuto modo di precisare che l’omissione dell’avviso all’indagato, alla persona offesa e ai difensori di accertamenti irripetibili integra una ipotesi di nullità generale a regime intermedio, che deve essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado.
Nel caso di specie, dalla sentenza di primo grado risulta che: a) il F.P. con atto 30/12/2003 (depositato presso la Segreteria della Procura della Repubblica il successivo 02/01/2004) aveva nominato difensore di fiducia nella persona dell’Avv. S. ed aveva ribadito detta nomina, in sede di identificazione come indagato (avvenuta il 9/1/2004); b) il successivo 13/1/2004 il F.P. era stato iscritto nel registro delle notizie di reato; c) il giorno 15/1/2004 era stato dato avviso degli accertamenti di cui all’alt. 360 cod. proc. pen. al difensore di ufficio del F.P..
Ne consegue che – poiché, al momento del conferimento dell’incarico al consulente del PM era già stata individuata la persona nei confronti della quale si procedeva e che alla medesima data era già noto al P.M. il suo difensore di fiducia; e poiché nel caso di specie l’eccezione di nullità è stata formulata prima della deliberazione della sentenza di primo grado – sul punto il motivo di ricorso è fondato.
Senonché, come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità (sez. 4, sent. n. 2919 del 26/02/1997, Di Sarno, Rv. 207330) la nullità di un accertamento tecnico non rileva quando il Giudice pervenga all’affermazione di responsabilità con argomenti che non si collegano al giudizio del consulente.
Tanto è per l’appunto accaduto nel caso di specie, nel quale il Giudice di primo grado – dopo aver dato atto in sentenza della richiesta difensiva di declaratoria di nullità della consulenza tecnica del PM per difetto di notifica al difensore di fiducia (p. 2) e dopo aver ricordato (p. 3-4) che all’udienza del 18 aprile 2007 erano stati dichiarati inutilizzabili nei confronti del predetto imputato tutti gli atti processuali fondati esclusivamente su detta consulenza (nella specie consulenze tecniche e rispettive deposizioni dei consulenti che avessero fatto esclusivo riferimento, con riguardo allo stato dei luoghi, alle verifiche svolte dall’esperto nominato dal P.M.) – è tornato nel corso della motivazione sull’eccezione difensiva (p. 78) formulando un duplice rilievo. In primo luogo ha osservato che, se non poteva essere utilizzata nei confronti di detto imputato la consulenza tecnica del PM, potevano invece ben essere utilizzate le relazioni di quei consulenti tecnici che avevano partecipato a tutte le operazioni tecniche fin dal verificarsi dell’evento (come l’ing. LT.). D’altra parte, ha sottolineato che, dovendosi individuare l’evento colposo nella non corretta procedura di smontaggio del ponteggio (evento che, ove detta procedura fosse stata corretta, non si sarebbe verificato), tale situazione di fatto era emersa “in maniera incontrovertibile, anche dalle deposizioni testimoniali assunte e dai rilievi fatti dai Vigili del Fuoco nell’immediatezza del fatto”.
A sua volta, la Corte territoriale, nell’esaminare i motivi di gravame proposti nell’interesse dell’imputato F.P., ha ritenuto (p. 34) che il fatto che la consulenza tecnica irrepetibile svolta per conto del PM dall’ing. M. fosse stata espletata in assenza del necessario e preliminare avviso al difensore di fiducia (all’epoca già nominato) rendeva inutilizzabili nei confronti del predetto imputato gli esiti dell’accertamento tecnico in esame (come già ritenuto dal giudice di primo grado nella sopra ricordata ordinanza), ma non travolgeva tutti gli atti processuali conseguenti, compresa la sentenza di condanna a carico dell’imputato F.P., oggi ricorrente. Al riguardo la Corte motivava proprio sul rilievo che: “le cause del crollo del ponteggio, per implosione dovuta al sovraccarico connesso a quell’operazione di accatastamento di parti in quota nel versante via Omissis, è un dato che emerge in termini certi da tutte le fonti processuali in specie dall’accertamento dei Vigili del Fuoco, dalle fotografie del luogo del sinistro, e dalle testimonianze assunte, in specie quella di A.D. sopravvissuto al crollo”. D’altronde – osservava il giudice di secondo grado – nei motivi aggiunti presentati nell’interesse dell’Imputato era stato ribadito (p. 11) in termini di certezza che il ponteggio era crollato per l’eccessivo peso.
La sentenza della Corte di appello è esente da contraddizione o da illogicità anche laddove ha motivato l’irrilevanza dell’eccezione di inutilizzabilità formulata dalla difesa in relazione ai verbali di sommarie informazioni (acquisiti in primo grado in assenza del consenso dalla difesa) rese da alcuni soggetti poi comunque sentiti nel corso del loro esame testimoniale: invero, la Corte territoriale, da un lato, ha precisato che in questi atti non è contenuto nulla che detti soggetti, esaminati nel dibattimento, non abbiano poi riferito e chiarito nel contraddittorio dibattimentale; dall’altro, ha aggiunto che alcune delle dichiarazioni contenute in questi verbali erano stati utilizzati nell’atto di appello presentato nell’interesse del F.P..
Quanto infine all’asserita inutilizzabilità della documentazione acquisita nel corso degli accertamenti, si osserva che l’acquisizione della documentazione è di per sé atto riferibile al Giudice; inoltre, la relativa eccezione non risulta essere stata oggetto di specifica doglianza né in sede di atto di appello né in sede di motivi aggiunti in quella sede proposti.
5.2. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Il Giudice di primo grado – dopo aver analiticamente indicato gli atti sulla base dei quali ha riconosciuto in capo all’ing. F.P. il ruolo di Responsabile del Servizio di prevenzione e di Coordinatore della sicurezza per l’esecuzione (pp. 8-11) – ha ritenuto la penale responsabilità dell’imputato con articolata motivazione (cfr. pp. 79-85).
In particolare, dopo aver ripercorso la disciplina del d. lgs. N. 494/1996, applicabile nel caso di specie, ha rilevato che: il piano di coordinamento e sicurezza (redatto durante la progettazione dell’opera dal coordinatore per la progettazione) doveva essere applicato nella fase esecutiva sotto la responsabilità del coordinatore per la esecuzione di lavori; che il ruolo del coordinatore per la esecuzione si caratterizza per il ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni ed il coordinamento tra le imprese operanti; che, alla luce della delibera presidenziale n. 92 Enpam, il F.P. era soggetto tecnicamente competente ed aveva tra le sue funzioni quella di segnalare al committente ogni situazione di rischio; che il F.P. aveva accettato l’incarico, senza formulare obiezioni ed era presente alle operazioni di dismissione del ponteggio avvenute successivamente al crollo.
Quindi il Giudice di primo grado ha ritenuto provata la violazione da parte dell’imputato di entrambi i peculiari doveri che sullo stesso incombevano: quello di coordinamento e quello di vigilanza.
Sotto il primo profilo, il Giudice di primo grado ha osservato: “E’ emerso infatti che non furono tenute riunioni per il coordinamento delle lavorazioni e la loro concatenazione riguardanti anche gli aspetti della sicurezza; né furono tenuti a tutti gli operai corsi di formazione d’altronde il P.O.S. redatto dal F.P. era sotto più aspetti “incompleto” e comunque non era stato completato “attraverso una concreta e puntuale azione di controllo”.
Quanto poi alla violazione del dovere di vigilanza, ha rilevato che dall’istruzione dibattimentale era emerso che il F.P. non si recava con frequenza in cantiere, tanto che nessuno degli operai escussi aveva saputo dire chi fosse; e ciò nonostante che nella citata delibera presidenziale era stato previsto che era “opportuno che detto professionista operi in loco al fine di espletare quotidianamente il controllo della sicurezza in cantiere”.
Il Giudice di primo grado sotto altro aspetto ha anche rilevato che il P., pur essendo consapevole della necessità del ponteggio, aveva omesso di porre in essere quella specifica attività di coordinamento e di controllo che avrebbe garantito l’adozione di idonee misure di prevenzione. Egli non poteva ignorare che del ponteggio si avvalevano anche altri, segnatamente il subappaltatore A.F.. Il comportamento, tenuto da quest’ultimo, non poteva essere ritenuto imprevedibile, avendo lo stesso agito nella qualità di subappaltatore dei lavori di smontaggio per svolgere una operazione connessa al subappalto ed essendo lo stesso presente fin dall’inizio dei lavori con le mansioni di pontista. Inoltre, non era risultato provato che il P. si fosse recato sul cantiere successivamente al 13 dicembre 2003, data di verosimile inizio delle errate operazioni di smontaggio.
In sintesi, il P. è stato ritenuto in primo grado penalmente responsabile per non aver adempiuto all’obbligo che su di lui gravava di verificare che le imprese che operavano in cantiere apprestassero le necessarie misure di sicurezza ed antinfortunistiche, anche e soprattutto nel corso delle operazioni di smontaggio.
La Corte di appello, investita di gravame, è pervenuta a confermare il giudizio di penale responsabilità formulato dal Giudice di primo grado, a seguito di articolate argomentazioni (pp. 33-42).
In sintesi la Corte – dopo aver ripercorso gli specifici compiti che l’art. 5 del d. lgs. N. 494/1996 attribuisce al coordinatore per la sicurezza; e dopo aver messo in evidenza che l’ing. F.P. era stato nominato con delibera 92 della Fondazione Enpam quale “professionista con particolare conoscenza delle problematiche inerenti la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro” e con il precipuo compito di segnalare al committente ogni condizione di rischio -ha ritenuto che l’ing. F.P. è venuto meno al suo ruolo di vigilanza e di garanzia, in quanto:
-il F.P., a differenza del P.C., era stato nominato al fine specifico di operare un controllo delle modalità di lavoro in fase esecutiva; e, per delibera presidenziale Enpam, poteva operare in loco al fine di espletare “quotidianamente” il controllo della sicurezza in cantiere; mentre egli non solo non si era recato in cantiere, ma neppure si era attivato per impedire che le attività di smontaggio del ponteggio avvenissero in termini errati;
-il F.P., nella spiegata qualità professionale, doveva rendersi conto dei subappalti a catena che hanno caratterizzato la vicenda per cui è processo; e cioè del subappalto che la società Eurom aveva fatto alla ditta M.A. e dell’ulteriore sub appalto che quest’ultimo aveva fatto alla ditta individuale A.F.; egli, proprio a motivo della spiegata qualità, doveva essere il primo a rendersi conto di quali imprese lavorassero in cantiere ed in virtù di quale titolo contrattuale;
-la circostanza che agivano più imprese subappaltatrici, i cui lavori si incrociavano, imponeva al F.P., nella sua qualità, da un lato, di aggiornare il piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), che era stato redatto dal P.C. in fase progettuale, proprio perché detto piano era stato parametrato a lavori eseguiti da una unica impresa; e, dall’altro, di chiedere l’aggiornamento del piano operativo di sicurezza (POS), che era stato redatto sul presupposto che in cantiere operasse la sola società Eurom;
-dall’istruzione dibattimentale (e in particolare dalle dichiarazioni rese dal teste Pe.) era emerso che “altre” squadre di lavoratori (costituite cioè da soggetti diversi da quelli che operavano per la Eurom) avevano iniziato lo smontaggio dei ponteggi già dalla metà del mese di novembre;
-la tecnica di smontaggio errata (e, quindi, l’accatastamento in quota del materiale) non poteva essere iniziata il 19 dicembre, in quanto, per quella data, secondo quanto riferito dal teste Pe., il A.F. aveva redarguito le maestranze perché avevano lavorato tanto, e, d’altra parte, non vi era prova che i lavori siano proseguiti nei giorni 20,22,23, 24; con la conseguenza che il materiale non poteva essere stato inopinatamente accatastato in quota durante il periodo di sospensione dei lavori (cioè dal 19 dicembre in poi);
-l’ing F.P., nella predetta qualità, non si è avveduto che già da prima del 19 dicembre lo smontaggio era proseguito secondo una tecnica palesemente errata; mentre aveva lo specifico onere di intervenire esercitando i poteri per impedire l’accumulo di materiale in quota che, con l’aggiunta di quei pochi elementi smontati nella mattina del 27 dicembre, aveva portato all’implosione della struttura.
In definitiva, secondo la impugnata sentenza, delle due l’una: o il F.P. non si recava in cantiere (come sostenuto dai testi escussi in giudizio) così da non accorgersi della presenza delle ditte subapplatrici e della caotica alternanza delle maestranze (comandate ora dall’M.A. ora dal A.F.) ovvero si recava in cantiere giornalmente (come ha sostenuto il dichiarante Genovese) e quindi doveva accorgersi della situazione dei subappalti e dell’effettiva e pericolosa realtà lavorativa.
La Corte territoriale, così argomentando, ha adeguatamente motivato, senza incorrere in alcun vizio logico, l’affermazione della responsabilità penale anche del F.P..
A tal proposito giova ribadire che “in tema di prevenzione antinfortunistica, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori non è assegnato esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori” (Sez. 4, n. 27442 del 04/06/2008, Garbacelo, Rv. 240961; Sez. 4, n. 32142 del 14/06/2011, Goggi, Rv. 251177).
Da ciò risulta confermato che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori sia titolare di un’autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 38002 del 09/07/2008, A.D., Rv. 241217; Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, Bongiascia, Rv. 240393), e comprende, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonché il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, nonché, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso dì lavorazione (Sez. 4, n.46820 del 26/10/2011, Di Gloria, Rv. 252139).
Dunque, il coordinatore della sicurezza per l’esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile temporaneo o mobile è titolare di una posizione di garanzia, che non può ritenersi esaurita allorché siano terminate le opere edili in senso stretto, in quanto lo stesso continua a rivestire un ruolo di vigilanza sul generale espletamento delle lavorazioni, che ordinariamente afferiscono ai cantieri, per tutto il tempo necessario per la completa esecuzione dell’opera (Sez. 4, sent. N. 3809 del 07/01/2015, Cominotti, Rv. 261960).
Per verificare se un infortunio coinvolga la responsabilità del coordinatore per la sicurezza, si devono analizzare le caratteristiche del rischio dal quale è scaturito l’evento; occorre, cioè, comprendere se si tratti di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto, o se, invece, l’evento stesso sia riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ultimo ambito è affidato al coordinatore per la sicurezza il dovere di alta vigilanza (Sez. 4, n.18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha logicamente tratto, dalle pericolose modalità seguite per lo smontaggio dell’impalcatura, che poi hanno comportato il crollo della medesima, l’insorgenza di penale responsabilità a carico del coordinatore per la sicurezza, non avendo quest’ultimo adempiuto al generico dovere, riferibile alla sua posizione funzionale, di procedere all’immediata adozione di tutte le cautele concretamente necessarie a impedire che lo smontaggio fosse proseguito seguendo quell’errata modalità di esecuzione.
In definitiva, anche il motivo di ricorso in esame non può essere accolto.
6. – I motivi nuovi, presentati nell’interesse dell’imputato F.P., nella parte in cui introducono il preteso vizio di travisamento della prova dibattimentali, sono inammissibili, in quanto, quand’anche si volesse prescindere dal rilievo che il preteso travisamento non era stato espressamente denunciato tra i motivi originari del ricorso, tentano di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della L. n. 46 del 2006 (che, giova ribadirlo, nel modificare l’art. 606 c.p.p., lett. e), ha lasciato inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito)
7. – Infondati sono il quarto motivo di ricorso presentato nell’interesse dell’imputato C.T.R. ed il terzo motivo di ricorso presentato nell’interesse dell’imputato F.P., che vengono qui esaminati congiuntamente, in quanto entrambi relativi al trattamento sanzionatorio (al quale si riferisce anche l’ultimo profilo dell’unico motivo di doglianza del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato A.F.).
In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di legittimità non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, sent. n. 36382 del 22/09/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”: cfr. Sez. 4, sent. n. 9120 del 4/08/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui aH’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n. 26908 del 16/06/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
Anche questa evenienza non ricorre nel caso di specie.
Al riguardo osserva il Collegio che il Giudice di primo grado (cfr. p. 89) e la Corte territoriale (cfr. p. 43), soffermandosi sulla richiesta concessione delle attenuanti generiche, hanno espressamente considerato le ragioni per le quali le stesse non potevano essere concesse, argomentando diffusamente sulla gravità dei fatti ed, esaminate unitariamente, sono giunte ad una determinazione del trattamento sanzionatorio, che, in quanto non inficiata da alcuna dirompente aporia di ordine logico, sfugge dal sindacato di legittimità.
8. Anche il ricorso presentato nell’interesse della Fondazione Enpam non può essere accolto.
8.1. Infondato è il primo motivo con il quale la Fondazione ricorrente chiede l’annullamento della sentenza impugnata per avvenuta violazione dell’art. 2049 c.c., non potendosi ravvisare la sua responsabilità, in qualità di committente dei lavori, per i fatti contestati agli imputati, non essendo ring,. F.P. dipendente della Fondazione.
Il Giudice di primo grado (pp. 92 -93) ha osservato che l’art. 7 del d.lgs. 19 settembre 1994 impone un obbligo di cooperazione tra datore di lavoro appaltante ed appaltatore, per ciò che concerne la osservanza delle misure di prevenzione e di protezione ed ha ritenuto che detto dato normativo è idoneo a fondare la responsabilità civile dell’appaltante per gli infortuni incorsi a persone che da lui non dipendono, purché, per qualsiasi ragione, esse si siano trovate ad operare sul luogo di lavoro e vi sia stato affidamento delle opere appaltate all’interno dell’azienda (e cioè nell’unità produttiva di pertinenza del committente), giungendo alla conclusione che, poiché le persone offese P.F. ed A.D. si infortunarono nel cantiere allestito nell’edificio di proprietà dell’Enpam, il committente andava ritenuto responsabile civile per i danni cagionati a terzi dagli illeciti commessi dal Coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva.
La Corte di appello, aderendo alle motivazioni poste a fondamento della sentenza di primo grado, ha ritenuto (cfr. pp. 45 e 46) che “la responsabilità della citata fondazione trae origine da quel rapporto istitutorio tra committente (la stessa Fondazione ENPAM) ed il coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva (l’imputato F.P.) con la conseguente applicabilità dell’art. 2049 c. c.”. In effetti, prosegue la Corte, “malgrado non esistesse un rapporto di subordinazione il F.P. era comunque legato alla fondazione committente da un rapporto istitutorio impegnandosi ad assicurare la sua opera professionale analogamente a quanto faceva il Pe.” (cfr. p. 46 della sentenza).
D’altronde, la Corte di cassazione civile (Sez. 3, sent. n. 6325 del 16/03/2010, Rv 612233) ha avuto modo di precisare che: “i presupposti della responsabilità di cui all’art. 2049 cod. civ.: il rapporto di preposizione, che non richiede necessariamente un vincolo di dipendenza, ma è configurabile anche nel caso di mera collaborazione od ausiliarietà del preposto, nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’Impresa gestita dal preponente; l’esercizio di attività di impresa, ed il fine di lucro, su cui si fonda la conseguente responsabilità per i danni a terzi: responsabilità che prescinde dalla colpa del preponente e che è imputabile anche a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta imprenditoriale”.
Al riguardo, occorre aggiungere che, In base all’art. 93, comma 2, del d. lgs. N. 81/2008, la designazione del coordinatore per la progettazione e del  coordinatore per l’esecuzione dei lavori, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 91, comma 1, e 92, comma 1, lett. a), b), c) d) ed e).
In altri termini, il committente, nonostante la nomina del coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, deve verificare che quest’ultimo adempia correttamente:
a) la verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, dell’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 ove previsto e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
b) la verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 100, assicurandone la coerenza con quest’ultimo, ove previsto, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, ove previsto, e il fascicolo di cui all’articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;
c) l’organizzazione tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, della cooperazione e del coordinamento delle attività nonché della loro reciproca informazione;
d) la verifica dell’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali alfine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
e) la segnalazione al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, delle inosservanze alle disposizioni degli articoli 94 95 96 e 97, comma 1, e alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 100, ove previsto, e la proposta della sospensione dei lavori, dell’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o della risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione dà comunicazione dell’inadempienza alla azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competenti”.
Dunque, la Fondazione ENPAM, anche in considerazione del dovere di vigilanza che su di essa gravava in relazione all’operato del Coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva nel corso dei lavori commissionati, è da ritenersi
civilmente responsabile per le violazioni commesse dal Coordinatore da essa nominato e, in quanto tale, è tenuta al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili che hanno partecipato al giudizio penale.
8.2. Infondato è anche il secondo motivo con il quale la Fondazione ricorrente chiede l’annullamento della sentenza nel capo in cui è stata affermata la sua responsabilità civile anche nei confronti dell’Istituto, nonostante che l’Inail non abbia mai chiesto la sua citazione in giudizio.
La giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, sent. N. 3273 del 27/09/2012, 2013, R.C., Rv 255209), ha precisato che:
“Sotto la vigenza del precedente codice di rito è stato affermato che la formalità della citazione del responsabile civile ad istanza della parte civile, prevista dagli arti. 107 e 108 cod. proc. pen., può ritenersi non necessaria allorché la parte intervenga nel giudizio pendente tra altre parti civili ed il medesimo responsabile civile, purché dichiari che gli effetti della sua costituzione sono rivolti nei confronti del responsabile civile già presente nel giudizio e tale dichiarazione sia formalmente espressa non oltre il termine utile per la costituzione di parte civile (Sez. 5, Sentenza n. 5392 del 24/03/1981, Nardiello, Rv. 149166). Il principio posto dal giudice di legittimità, tuttora valevole stante la sostanziale corrispondenza delle norme citate con l’attuale art. 83 cod. proc. pen., si confronta con l’ipotesi del sopraggiungere di una nuova parte civile, in un giudizio che vede già costituite altre parti civili ed il responsabile civile.
“Risultando il responsabile civile già parte del processo per effetto dell’iniziativa delle altre parti civili, una formale vocatio in ius risulta non necessaria, mentre è pur sempre necessario che nei confronti del responsabile civile si formuli quella domanda che è il nucleo della citazione in giudizio del responsabile per il fatto altrui.
“Ma da tale principio si può risalire ad una regola più generale: quella della non necessità che l’Istanza di citazione del responsabile civile provenga da tutte le parti civili già costituite, purché al responsabile civile che divenga parte del processo venga indirizzata la domanda risarcitoria anche da quella parte civile che non ha fatto l’istanza. L’omessa proposizione della domanda”.
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha accertato che la parte civile INAIL aveva formulato già in primo grado specifica domanda risarcitoria anche all’indirizzo della Fondazione Enpam e, in applicazione del suddetto principio, ha correttamente ritenuto che non fosse necessaria una sua formale vocatio in ius, essendo sufficiente che nei confronti del responsabile civile fosse stata formulata quella domanda (risarcitoria) che è il nucleo essenziale della citazione del responsabile civile.
9. Ne consegue che i ricorsi devono essere respinti e che i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, spese che vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, che liquida in complessive euro 3.500 a favore dell’Inail e in complessivi euro 5000 a favore di P.R., C.M. e A.G., oltre, per tutti, accessori come per legge.

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