Cassazione Penale, Sez. 4, 26 novembre 2015, n. 47001

Scarica elettrica ed omissione di cura nella manutenzione degli impianti: è responsabile l’RSPP?


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 12/11/2015

Fatto

C.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe, con la quale, in riforma della sentenza di assoluzione dell’odierno ricorrente in data 15.5.2012, emessa in primo grado dal Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi in composizione monocratica, veniva riconosciuto responsabile del reato a lui ascritto ex art. 590, commi 2 e 3 c.p. e condannato alla pena di mesi tre di reclusione, con concessione dei doppi benefici di legge, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, previo riconoscimento di una provvisionale dell’ammontare di € 20.000 in favore di A.R. e di € 10.000 in favore di C.A., ed inoltre al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili.
Oggetto del processo è un episodio, occorso il 22.11.2008 presso il nucleo ENEL di Caposele (AV), in occasione del quale, durante un’operazione di sostituzione di un fusibile all’interno di una cabina di trasformazione, la persona offesa A.R. – dipendente ENEL – apriva lo sportello dello scomparto IMS ivi posizionato; dopo avere aperto la porta di circa 10-20 centimetri, veniva investito da una scarica elettrica sul fianco sinistro e sul ginocchio destro. Secondo l’A.R., la parte superiore della cella era priva del carter di copertura dello scomparto, da lui non rimosso, nessun rischio gli era stato segnalato, e non vi erano parti attive in movimento scoperte tali da influire sulla sicurezza.
Il C.F. risponde delle lesioni riportate dall’A.R., consistite in ustioni di 11° e II grado dalle quali derivava una malattia superiore a 40 giorni, nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione e dunque soggetto preposto all’attuazione e al rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione degli infortuni presso l’area comprendente Caposele per conto dell’ENEL Distribuzione S.p.A., in quanto ometteva di osservare il disposto di cui all’art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 e comunque la dovuta diligenza nel tenere l’Impianto in buono stato di conservazione e nell’effettuare la manutenzione dello stesso, necessaria per tenere l’apparecchiatura in condizioni idonee ai fini della salute e della sicurezza in relazione al lavoro affidato all’A.R. (sostituzione di un fusibile); tale condotta omissiva, secondo l’imputazione, costituiva la causa dell’incidente occorso al dipendente A.R..
Il quadro probatorio formatosi nel procedimento di primo grado veniva rivalutato dalla Corte territoriale a seguito di ricorso del P.G. presso la Corte di Appello di Napoli. La Corte di merito, nella sentenza impugnata, formava il proprio convincimento difforme rispetto al giudice di primo grado sulla base di una rivalutazione delle risultanze offerte dalle consulenze del c.t. di parte civile, p.i. G., e del c.t. della difesa, ing. M., circa le cause del sinistro, ritenendo in particolare le considerazioni svolte dal c.t. G. più plausibili e logiche in relazione allo stato oggettivo dei luoghi -caratterizzato dalla presenza di eccessiva umidità e di ruggine all’interno e all’esterno della cabina- per come emerso anche alla luce delle rimanenti risultanze probatorie (in particolare dalle deposizioni della persona offesa e degli altri soggetti citati quali testi); in relazione a tali emergenze, la Corte ravvisava la sussistenza di condizioni di degrado manutentivo, giudicate causalmente rilevanti ai fini del prodursi della scarica elettrica (c.d. arco elettrico) che attinse l’A.R.; veniva poi esclusa dalla Corte territoriale l’effettuazione di manovre abnormi da parte di quest’ultimo, tali da interrompere il nesso di causalità; e si individuava nel C.F. il soggetto istituzionalmente deputato al rispetto della normativa di sicurezza e prevenzionistica, nella sua qualità di responsabile della Divisione e Reti macroarea territoriale Sud – zona di Avellino.
Il ricorso presentato dal C.F. si articola in un triplice ordine di motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dinamica dell’infortunio: in particolare contesta la carente motivazione in base alla quale sono state disattese, dalla Corte di merito, le valutazioni tecniche dell’ing. M., consulente tecnico della difesa, il quale ha escluso -con argomenti scientifici riportati anche nel corpo del ricorso- che l’arco elettrico che attinse l’A.R. potesse essersi formato a causa della presenza di umidità nella cabina di trasformazione; si duole in sostanza il ricorrente che la Corte territoriale non abbia sufficientemente illustrato le ragioni in base alle quali abbia preferito la tesi sostenuta dal c.t. di parte civile G. a quella sostenuta dall’ing. M..
Con il secondo motivo di ricorso, il C.F. lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla qualifica soggettiva dell’imputato, in base alla quale è stata ravvisata la sua posizione di soggetto istituzionalmente deputato al rispetto della normativa antinfortunistica che si assume violata: qualifica soggettiva che, deduce il ricorrente, non ha formato oggetto di prova, e che anzi dovrebbe escludersi in quanto il C.F. non ricopriva la funzione di datore di lavoro (tale era infatti, secondo le indicazioni riportate dal ricorrente alla stregua degli atti, l’ing. Antonio Gi.), né aveva da questi ricevuto alcuna delega di funzioni, ma solo quella -affatto irrilevante- di effettuare materialmente il pagamento della sanzione applicata in via amministrativa a seguito di ispezione dell’ASL competente.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’esercizio del potere discrezionale circa l’individuazione e la quantificazione della pena da applicare, pur a fronte di quanto disposto dall’alt. 132 c.p., che fa obbligo al giudice di indicare i motivi che giustificano la scelta della pena (nella specie detentiva anziché pecuniaria).
Il difensore della parte civile A.R., avv. B., ha depositato una memoria, nella quale confuta i motivi di ricorso articolati dal C.F., affermando la completezza della motivazione della sentenza di condanna sia in riferimento alle cause dell’incidente, sia in riferimento alla posizione di garanzia attribuita all’Imputato; e insiste per la conferma della sentenza impugnata. All’odierna udienza, l’avv. B. ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata.

Diritto

Per ragioni di ordine logico, la Corte ritiene di dover assegnare trattazione prioritaria al secondo motivo di ricorso, riguardante la posizione di garanzia in capo al C.F..
La Corte di merito ha invero adeguatamente motivato in ordine al fatto che l’odierno ricorrente, quale responsabile della Divisione e Reti macro area territoriale sud – zona di Avellino, era istituzionalmente deputato al rispetto della normativa in tema di sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro; ed ha all’uopo richiamato quanto al riguardo riferito dal teste R., che ha indicato nel C.F. l’unico soggetto responsabile della manutenzione.
Da ciò è dato evincere, da un lato, la sussistenza in capo al ricorrente della posizione di garanzia in materia antinfortunistica, che implicava l’obbligo giuridico -da lui disatteso, nella prospettiva accusatoria- di curare la manutenzione degli impianti rientranti nella sfera di sua competenza, fra cui la cabina elettrica ove avvenne l’infortunio; e, dall’altro, l’infondatezza dei contrari argomenti formulati dal ricorrente nel motivo in esame.
A questo punto va esaminato il primo motivo di ricorso, che è invece fondato e meritevole di accoglimento.
Nel motivare la propria preferenza per la ricostruzione operata dal c.t. della parte civile G., la Corte territoriale fonda tale convincimento essenzialmente sul dato costituito dalla diffusa presenza di umidità e di ruggine nella cabina ove si determinò l’arco elettrico che colpì l’A.R., presenza accertata anche attraverso le deposizioni testimoniali e che, secondo il c.t. di parte civile, determinò le condizioni per il prodursi della scarica elettrica.
Nel rigettare la ricostruzione operata dall’ing. M., consulente della difesa -il quale aveva viceversa escluso categoricamente l’incidenza dell’umidità e della ruggine sulla causazione dell’arco elettrico-, la sentenza impugnata afferma che essa sarebbe “fondata su una congettura rimasta del tutto indimostrata ossia che l’A.R. abbia proceduto allo smontaggio del carter ponendo in essere una condotta rischiosa e abnorme”; aggiungendo però che tale illazione avrebbe richiesto la prova della disponibilità, da parte della persona offesa, di strumenti ed arnesi dei quali questi non era dotato, “con la conseguenza che la causa della scarica elettrica che lo ha colpito deve ascriversi alle predette condizioni di degrado manutentivo della cabina”.
Orbene, ad avviso di questa Corte, la suesposta motivazione è affetta da illogicità e comunque risulta affatto carente, non prendendo in considerazione elementi valutativi di natura scientifica -introdotti dal consulente della difesa- basati su dati scientifici e tali, se confermati, da inficiare la spiegazione logico-causale dell’evento sostenuta dall’accusa e adottata nella sentenza impugnata.
Dagli atti (trascritti per estratto nel ricorso) risulta infatti che l’ing. M. ha fornito specifici argomenti tecnici in base ai quali, in una cabina in cui -come in quella ove avvenne l’incidente- l’aria si presenta umida e non pura e in cui il valore di tensione fra le fasi era di 20 kV, affinchè potesse prodursi una scarica elettrica avente un valore di tensione di 11,6 kV, sarebbe stato indispensabile che gli elementi tra cui fosse applicata tale tensione distassero fra di loro appena 0,6 cm., e non 22 cm. (distanza intercorrente fra le lame e le ganasce su cui si sarebbe prodotta la scarica).
Sul punto, la Corte non ha però fornito alcun elemento a confutazione, limitandosi a ritenere preferibile -perché fondata su altri elementi emersi in sede di istruttoria, riferiti in particolare alle condizioni di degrado manutentivo della cabina- la tesi sostenuta dal p.i. G., e disattendendo quella dell’ing. M. in quanto la ricostruzione alternativa da questi proposta non sarebbe stata supportata da elementi di riscontro probatorio.
In realtà, le considerazioni introdotte dall’ing. M., nell’escludere che la scarica si fosse potuta produrre nei termini suggeriti dal c.t. di parte civile, non contestano le acquisizioni probatorie riguardanti la presenza di umidità e di ruggine nella cabina, ma nondimeno escludono categoricamente, mediante specifici argomenti scientifici (non affrontati dalla Corte di merito), che tali condizioni abbiano potuto avere un rilievo causale sul prodursi dell’arco elettrico.
Ora, sebbene sia vero che il giudice non è tenuto a rispondere in motivazione a tutti i rilievi del consulente tecnico della difesa (cfr. Cass. Sez. 5, n. 42821 del 19/06/2014 – dep. 13/10/2014, Ganci e altri, Rv. 262111), purtuttavia ciò presuppone che egli abbia indicato le ragioni del proprio convincimento in modo esauriente: il che, in base a quanto appena osservato, non sembra potersi affermare nel caso di specie, non avendo la stessa attribuito in motivazione il dovuto rilievo ad argomenti tecnici in sé astrattamente idonei a privare di fondamento la ricostruzione della sequenza causale fornita dal consulente di parte civile, indipendentemente dalla sussistenza o meno di riscontri probatori ad eventuali decorsi causali alternativi.
Quanto al perimetro valutativo nel presente giudizio di legittimità, si osserva che questa Corte non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (Cass. Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014 – dep. 16/02/2015, C, Rv. 262722). E’ poi costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, purché però la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 45126 del 06/11/2008 Ud. -dep. 04/12/2008- Rv. 241907; cfr. anche Sez. 5, Sentenza n. 686 del 03/12/2013).
Nella specie, l’esame delle ragioni in base alle quali la Corte di merito ha respinto la tesi del consulente della difesa conduce a individuare un vizio nella motivazione della sentenza impugnata, riferibile alla carenza argomentativa su uno specifico, ma potenzialmente dirimente, argomento posto a base dell’elaborato del consulente della difesa in ordine all’efficienza causale delle condizioni di degrado manutentivo in cui versava l’impianto rispetto all’evento lesivo occorso alla persona offesa.
Dal complesso di ragioni fin qui illustrate, consegue la fondatezza del motivo di impugnazione in esame. L’impugnata sentenza va perciò annullata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Napoli cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvìo, per nuovo esame, alla Corte di Appello di Napoli cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12.11.2015

Lascia un commento