Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 26 ottobre 2015, n. 43001

Violazione della specifica prescrizione contenuta nel POS di non far salire persone sulla gru a torre. Infortunio mortale e responsabilità.


Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
Data Udienza: 17/09/2015

Fatto

1. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di A.L. avverso la sentenza emessa in data 17.10.2014 dalla Corte di Appello di Brescia che, in parziale riforma di quella in data 15.5.2010 del Tribunale di Bergamo-Sezione distaccata di Clusone, tra l’altro concedeva al predetto le attenuanti generiche valutate come equivalenti rispetto all’aggravante e riduceva la pena inflitta ad anni uno e mesi tre di reclusione con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione; ciò in relazione al delitto di omicidio colposo in danno del dipendente M.E., con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (fatto del 22.8.2006).
2. Segnatamente, ad A.L., quale amministratore e legale rappresentante della Fratelli A. s.r.l., era contestato di non aver attuato le misure tecniche ed organizzative adeguate a ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro e per non averle utilizzate correttamente; in particolare, per non aver provveduto ad assicurare che tutte le operazioni destinate a sollevare carichi fossero correttamente progettate ed eseguite al fine di tutelare la sicurezza e che gli accessori di sollevamento fossero scelti in modo idoneo; nonché per non aver valutato in concreto nel POS (Piano Operativo di Sicurezza) il rischio correlato al posizionamento di pozzetti entro il cantiere e comunque per non aver adottato nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro e l’esperienza, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica del lavoratore.
3. Il ricorrente deduce, in sintesi:
3.1. che la nomina dell’arch. (e coimputato) Omissis, già progettista e direttore dei lavori, quale responsabile dei lavori avrebbe dovuto escludere, di per sé, la responsabilità di A.L.;
3.2. che, tra l’altro, A.L. aveva previsto nel POS che la “gru a torre” usata dal capo cantiere A.I. (coimputato, fratello e patteggiante della pena), non dovesse essere utilizzata per trasportare persone, nemmeno per brevi tratti”, sicché il rispetto di tale prescrizione da parte di A.I. avrebbe scongiurato il sinistro;
3.3. che la pena irrogata dalla Corte di Appello, benché ridotta rispetto a quella di primo grado, era comunque eccessiva, tenuto conto del l’effettuato risarcimento del danno la cui attenuante specifica avrebbe dovuto essere applicata.

Diritto

4. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
5. Quanto alla prima censura, la Corte territoriale ha già risposto con congrua motivazione alla medesima doglianza prospettale (pag. 20 sent.) ribadendo quanto affermato dal Giudice di primo grado circa la necessità di una espressa delega con indicazione dei poteri, anche di spesa, connessi, secondo l’insegnamento di questa S.C. e che non risultava l’avvenuto conferimento di siffatta delega né rilevava la nomina del Omissis a coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione, funzione che concerneva il coordinamento tra più imprese ma non implicava, al di là dell’alta vigilanza in materia, l’intervento costante e puntuale, per ogni singola operazione, sul rispetto da parte dei dipendenti del rispetto delle norme di sicurezza dettate dai rispettivi datori di lavoro nel POS e tanto meno esonerava il datore di lavoro da responsabilità in tema di sicurezza (pag. 21), come anche confermato dal coimputato A.I. (pag. 23) che ammetteva che l’incarico di responsabile per la sicurezza era ricoperto dal ricorrente.
Inoltre, l’A.L. era tenuto a vigilare che il fratello A.I. osservasse le previsioni del POS e lo stesso A.L. ha riferito che l’attività compiuta in violazione del POS (far salire l’operaio sulla gru insieme agli anelli da collocare nel pozzo) non era infrequente (pag. 22), sicché la violazione della specifica prescrizione contenuta nel POS era ben prevedibile da parte sua e prevenibile con opportuni accorgimenti organizzativi e tecnici.
Quanto alla pena, si rammenta che il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per concreto (da ultimo, Cass. pen. Sez. II, del 19.3.2008 n. 12749, Rv. 239754): e nel caso di specie si è tenuto adeguato conto della condotta dell’imputato e della gravità della colpa ai fini dell’adozione del criterio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche rispetto all’aggravante e motivatamente esclusa la concessione dell’attenuante del risarcimento del danno per preclusione processuale (non essendo intervenuto il risarcimento antecedentemente all’apertura del dibattimento di primo grado).
6. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17.9.2015

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