Cassazione Penale, Sez. 4, 27 settembre 2016, n. 40044

Macchina semovente raccoglitrice di tabacco in cattivo stato di manutenzione. Infortunio mortale.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: BELLINI UGO
Data Udienza: 14/07/2016

Fatto

1. La Corte di Appello di Perugia confermava in punto a responsabilità la sentenza del Tribunale di Perugia che aveva ritenuto P.G. colpevole del delitto di omicidio colposo con violazione di specifiche disposizioni in materia di tutela della sicurezza sul lavoro, in quanto aveva fornito al lavoratore R.S. una macchina semovente raccoglitrice di tabacco in cattivo stato di manutenzione, conservazione ed efficienza, cagionando in tal modo la morte dell’operatore il quale, sceso dal mezzo era rimasto intrappolato e schiacciato dalla stessa macchina. Il tribunale aveva altresì condannato l’imputato al risarcimento del danno a favore delle parti civili liquidando la somma di € 60.000 a favore della vedova F.A., € 40.000 a ciascuno dei due figli e di € 20.000 a favore del fratello della vittima.
2. la Corte di Appello nel confermare la pronuncia di primo grado poneva l’accento sullo specifico presidio che risultava installato sul veicolo dal costruttore, consistente in un interruttore che determinava lo spegnimento del mezzo nella ipotesi in cui il conducente non si trovasse a bordo, rappresentando come tale presidio non aveva funzionato per un difetto del congegno. Al P.G. veniva ascritta la violazione all’obbligo della puntuale vigilanza e verifica del mantenimento degli standard di sicurezza, e pertanto di non essere intervenuto a garanzia del funzionamento del dispositivo e in relazione agli obblighi di formazione e informazione del lavoratore sul funzionamento della macchina, illustrando al lavoratore le varie opzioni per l’arresto in sicurezza del mezzo meccanico.
3. Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo violazione di legge e vizio motivazionale in presenza di evento realizzatosi per caso fortuito in quanto la condotta richiesta al prevenuto non era esigibile, laddove il malfunzionamento dell’interruttore era risultato soltanto all’esito di complessi accertamenti posti in essere dall’Ispesl, ente pubblico incaricato dal Ministero dello Sviluppo Economico di verificare le ragioni del mancato funzionamento del presidio; evidenziava poi che nessuna formazione specifica doveva essere attribuita al R.S. il quale, sulla base delle testimonianze, non solo era un lavoratore esperto dello specifico settore e un abituale utilizzatore di tale macchina, ma era altresì titolare di propria azienda agricola che deteneva delle macchine agricole di sua proprietà; Rilevava infine che le risultanze testimoniali avevano riconosciuto al P.G. la massima cura e il costante controllo dei beni aziendali e del funzionamento delle macchine.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge in relazione alla ritenuta inosservanza da parte del P.G. delle specifiche disposizioni del TU 2008/81 in relazione alla inadeguatezza dei sistemi di sicurezza delle macchine sul lavoro, poiché la macchina era dotata di un comando principale a fungo che determinava lo spegnimento manuale del motore, mentre il sistema automatico di spegnimento di cui si è detto costituiva una garanzia ulteriore, peraltro non espressamente richiesto da nessuna delle specifiche disposizioni Uni En che disciplinavano i componenti delle macchine in questione. D’altro canto non era stato possibile risalire alle ragioni che avevano indotto il R.S. a scendere da mezzo e a non spengere manualmente il motore.
Con istanza successivamente presentata ai sensi dell’art. 612 cod.proc.pen. il ricorrente, premesso che le parti civili avevano fatto notificare atti di precetto ingiungendo il complessivo pagamento della somma di €181.372,10, che risultavano seri motivi per ritenere la fondatezza del ricorso per cassazione avanzato dal P.G., che dalla esecuzione della condanna minacciava grave e irreparabile pregiudizio al patrimonio dell’istante titolare di modesta impresa agricola, chiedeva la sospensione della esecuzione del pagamento dei suddetti importi, fino alla discussione del ricorso.
Il procuratore generale chiedeva rigettarsi il ricorso in quanto non era stata fornita la dimostrazione del grave ed irreparabile danno, tale da mettere in pericolo il patrimonio elidendo in modo estremamente rilevante lo stesso.
4. Depositava una memoria difensiva in data 23.6.2016 la difesa delle parti civili che agivano per la escussione delle somme provvisionali la quale sotto un primo profilo deduceva la inammissibilità della richiesta di sospensione la quale andava formulata con l’atto di gravame e non successivamente a detta impugnazione
Contestava poi la ricorrenza di un pregiudizio grave ed irreparabile quale conseguenza della esecuzione, sia in termini assoluti rispetto all’Importo ingiunto, sia in relazione alle capacità imprenditoriali ed economiche del soggetto onerato titolare di florida azienda agricola. In relazione ai motivi di ricorso si soffermava a replicare alle censure mosse alla pronuncia di secondo grado, assumendo la ricorrenza dei profili di colpa del datore di lavoro sia in relazione alla fase formativa del lavoratore, sia con riferimento alla prevedibilità del non corretto funzionamento del presidio posto sulla macchina e sulla necessità che il titolare avesse provveduto ad una corretta manutenzione e monitoraggio dei presidi antinfortunistici applicati.
5. Depositava memoria difensiva in data 28.6.2016 la difesa del P.G. ribadendo la propria prospettazione difensiva, evidenziando la logicità e serietà dei motivi di ricorso e deducendo il pericolo che nelle more della udienza di discussione il patrimonio della piccola azienda agricola venisse aggredito in forza dei crediti per cui era stato intimato atto di precetto.

Diritto

Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nel formulare la istanza ex art.612 cod.proc.pen. il ricorrente P.G. ha evidenziato che l’entità degli esborsi derivanti dalla esecuzione delle statuizioni civili relative al riconoscimento delle somme provvisionali a favore dei prossimi congiunti dell’offeso, nella misura € 181.372,10, è tale da incidere, per la sua rilevanza, in termini assoluti in una prospettiva di pregiudizio patrimoniale e personale grave e irreparabile, e comunque sullo stato patrimoniale dell’obbligato se commisurato al patrimonio complessivo.
Orbene la circostanza risulta affermata ma nessun elemento, neppure indiziario viene fornito per evidenziare i profili reddituali e patrimoniali del debitore, limitandosi il P.G. ad affermare che risulta titolare di modesta impresa agricola, anche in tal caso omettendo totalmente di specificare flussi reddituali, elementi patrimoniali e ambito di operatività.
Costante è l’insegnamento del S.C. nell’affermare che l’accoglimento della richiesta di sospensione della esecuzione della condanna civile implica la dimostrazione, che incombe sull’interessato, della assoluta necessità della somma stessa per il soddisfacimento di bisogni essenziali altrimenti non fronteggiabili (sez.IV, 15.10.2015, Pautassi Rv 265032) e che comunque l’adempimento della obbligazione pecuniaria nascente dalla pronuncia di condanna abbia incidenza rilevante sul proprio patrimonio, non potendosi ricavare la gravità e la irreparabilità del pregiudizio, che costituisce la condizione per la sospensione, solo sulla base della elevata entità della somma (sez.IV, 24.9.2015, D’Amico Rv 265411; 8.5.2015, Montermini, Rv 264513).
Orbene non solo nel caso in specie il ricorrente non ha fornito alcuna dimostrazione dell’assoluto rilievo dell’Importo dovuto rispetto al proprio patrimonio, ovvero rispetto alle proprie esigenze di vita personale, familiare o imprenditoriale, ma dalle allegazioni introdotte dalla difesa delle parti civili, risulta che il P.G. è intestatario di un vastissimo patrimonio immobiliare a destinazione agricola e di un rilevante patrimonio immobiliare urbano, dalla imponente rendita catastale, che presuppone altresì, in accordo a quanto emerge dall’esame del ricorso e dalla stessa richiesta ex art.612 cod.proc.pen., lo svolgimento su tale compendio immobiliare di una attività economica organizzata in forma imprenditoriale della quale il P.G. non ha offerto alcuna evidenza.
Risultando assente o comunque non dimostrato il grave ed irreparabile pregiudizio indicato dall’art. 612 cod.proc.pen., il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla ridetta declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 Luglio 2016

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