Cassazione Penale, Sez. 4, 28 novembre 2014, n. 49732

Infortunio mortale ad addetto al controllo del riempimento dei silos: società e ruoli.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo G. – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
C.G. N. IL (OMISSIS);
C.S. N. IL (OMISSIS);
T.J. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 922/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 05/11/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SPINACI Sante che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per la parte civile, l’avv. Frosoni Paolo il quale chiede dichiararsi l’inammissibilità e in subordine, il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. Russo Alberto per C.G. e S., anche in sost. dell’avv. Nicolini Daniele, difensore di fiducia della T., che conclude riportandosi ai motivi e insistendo per l’accoglimento.

Fatto

1.La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 5/11/2012, ha confermato quella del giudice di primo grado che aveva giudicato C.G., C.S., C.G. e T.J. responsabili per il reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 589 c.p., commi 1 e 2, con violazione delle norme antinfortunistiche, nonchè del reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 437 c.p., comma 2.

2.A C.S. e a T.J., nella qualità di amministratrici della Immobiliare D. s.r.l., e agli altri imputati, quali titolari di fatto della suddetta impresa e quali occupanti la posizione apicale nell’organizzazione del lavoro e, quindi, tutti quali datori di lavoro di S.A., era addebitato di aver cagionato la morte del predetto lavoratore per colpa, consistita nella plurima violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Era accaduto che il S., addetto al controllo del riempimento dei silos con la sabbia proveniente dal procedimento di lavorazione, a causa del malfunzionamento dell’impianto di produzione di pietrisco per l’edilizia, si poneva sul bordo dell’imbuto di convogliamento della macchina scolatrice e per la scivolosità del predetto bordo e delle pareti dell’imbuto, per la mancanza di appigli e per il movimento della scolatrice, perdeva l’equilibrio cadendo rovinosamente nell’imbocco di essa, rimanendo così con il proprio corpo a contrasto con gli organi in movimento della macchina e riportando grave trauma polifratturativo e lesioni interne che lo conducevano rapidamente a morte.

3.L’istruttoria aveva consentito di accertare che l’impianto presentava numerose inadeguatezze riguardo alla sicurezza: l’accesso alle zone pericolose non era presidiato da ripari; mancavano un dispositivo di fermo, nonchè sistemi sia di segnalazione sonora di avvio sia di protezione contro il contatto accidentale con organi in movimento; era carente la segnaletica di sicurezza e dalla cabina di comando non si poteva tenere sotto controllo visivo quanto accadeva nell’area di cantiere; era stata omessa la predisposizione del documento di valutazione dei rischi, non era stato individuato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e non era stata assicurata adeguata formazione dei lavoratori in tema di sicurezza sul lavoro.

4.La Corte disattendeva gli assunti difensivi delle parti. In particolare, dato per acquisito il ruolo di C.G. in qualità di finanziatore socio occulto e amministratore di fatto, per quanto riguarda le posizioni di C.S., C. G. e T.J. negava l’assunto difensivo fondato sulla inconoscibilità nei loro confronti della posizione di datore e organizzatore del lavoro nel cantiere e teso all’attribuzione in via esclusiva della posizione di garanzia in capo a C.G..

Sottolineava, con riferimento alle due donne, da una parte, che le stesse svolgevano il ruolo di amministratrici della società in luogo degli altri due imputati, a ciò impossibilitati perchè dichiarati falliti, assumendo con la posizione apicale, unitamente ai vantaggi economici, la posizione di garanzia che è propria del datore di lavoro rispetto ai lavoratori, in assenza di delega di funzioni. Con riguardo a C.G. evidenziava che la posizione di garanzia era desumibile dal ruolo svolto di sostanziale direttore di stabilimento, desumibile dall’attività di coordinamento del lavoro dei dipendenti, dall’intrattenimento di rapporti con la clientela;

ruolo dimostrato, nello specifico, anche dalle disposizioni date il giorno dell’infortunio con posizione sovraordinata rispetto agli operai che lavoravano presso il cantiere.

5. Con ricorso per cassazione la T. deduce: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 43 c.p.. Osserva che l’elemento psicologico occorrente per la sussistenza del reato non può essere rappresentato dalla sola consapevolezza della situazione di pericolo derivante dalla violazione di norme antinfortunistiche ma deve essere integrata la volontà di omettere tali cautele. Afferma che la mera inerzia del responsabile di fronte a una situazione di pericolo non è idonea a integrare da sola l’elemento psicologico, tanto più con riferimento alla posizione della ricorrente, la quale si era trovata a governare la società solo formalmente. Osserva che la carenza della volontarietà della condotta omissiva è desumibile dalla cittadinanza straniera, dal sesso, dalla giovane età, dal titolo di studio, dalla condizione vedovile, dall’essere destinatala di violenze psicologiche e fisiche da parte del G.. 2) Mancato riconoscimento della scriminante di cui all’art. 54 c.p.. Rileva che era stata costretta a compiere alcune operazioni illecite stante la perdurante coazione morale e fisica e il costringimento psichico derivanti dal comportamento iracondo e minaccioso di C. G.. 3) Vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento della piena volontà dell’operato e all’esclusione della scriminante ex art. 54 c.p.. 4) Erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p.. 5) Erronea applicazione dell’art. 133 c.p. in ragione della ritenuta particolare intensità del dolo.

6. Con ricorso congiunto C.S. e C.G. deducono: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 43 c.p.. Rilevano che l’elemento psicologico occorrente per la sussistenza del reato non può essere rappresentato dalla sola consapevolezza del rischio derivante dalla mancata dotazione dell’impianto di misure di sicurezza, ma deve essere integrata dalla volontà di omettere le cautele antinfortunistiche. Osservano, quanto a S., che la posizione residuale della stessa all’interno del sodalizio è significativa di carenza della volontarietà della condotta. 2) Carenza e illogicità della motivazione che non ha tenuto adeguato conto del materiale probatorio acquisito. Rilevano che la circostanza che i ricorrenti traessero profitto dall’essere inquadrati nella organizzazione societaria non era dimostrativo che G. fosse titolare dell’impresa e S. avesse una posizione apicale tali da coinvolgerli nelle responsabilità loro attribuite.

3) Erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p.. 4) Erronea applicazione dell’art. 133 c.p., perchè erroneamente nei confronti della predetta parte era stata ritenuta una particolare intensità del dolo.

Diritto

1. In entrambi i ricorsi si contesta con il primo motivo la sussistenza della responsabilità in capo alle due ricorrenti in ragione del fatto, sostanzialmente non controverso, che le due donne si sarebbero limitate a svolgere il ruolo di amministratrici della società solo formalmente, così da consentire a C. G., vero dominus, di gestire l’impresa aggirando i divieti e le preclusioni derivanti dalla legge fallimentare. Nella descritta situazione difetterebbe in capo alle predette l’elemento psicologico occorrente per la sussistenza del reato, non potendo lo stesso essere integrato dalla sola consapevolezza della situazione di pericolo derivante dalla violazione di norme antinfortunistiche, in difetto della volontà di omettere tali cautele.

2. La doglianza non merita accoglimento. Premesso che in tema di omicidio colposo la sussistenza dell’elemento soggettivo non richiede alcun profilo di volontarietà, va rimarcata la ratio sottesa alla disciplina che attribuisce la responsabilità per eventi causalmente riconnessi alla violazione di cautele doverose nell’ambiente di lavoro a colui che riveste la qualità di datore di lavoro e, quindi, ove l’attività d’impresa sia esercitata in forma societaria, in capo all’amministratore della società. Il D.Lgs. n. 242 del 1996, art. 2 stabilisce che per datore di lavoro si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica o soggetto pubblico che è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell’impresa ovvero dello stabilimento”. La giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla citata norma, ha avuto modo di precisare che “in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitale il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda, e quindi con i vertici dell’azienda stessa”, salvo il caso di espressa delega di funzioni (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12370 del 09/03/2005 Rv. 231076; nello stesso senso Cass. Sez. 4, Sentenza n. 49402 del 13/11/2013 Rv. 257673).

2.1.La responsabilità dell’amministratore della società, così come delineata, non può venir meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente e ciò in ragione della posizione di garanzia ad esso assegnata dall’ordinamento. E’ noto che per attribuire a una condotta omissiva umana una efficacia casuale è necessario che l’agente abbia in capo a sè una posizione di garanzia, che, cioè, in ragione della sua prossimità con il bene da tutelare, sia titolare di poteri ed obblighi che gli consentono di attivarsi onde evitare la lesione o messa in pericolo del bene giuridico la cui integrità egli deve garantire in base allo schema di cui all’art. 40 c.p., comma 2 (“Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”). E’ stato affermato che “perchè nasca una posizione di garanzia, è necessario che: vi sia un bene giuridico che necessiti di protezione e che da solo il titolare non è in grado di proteggere; che una fonte giuridica (anche negoziale) abbia la finalità della sua tutela; che tale obbligo gravi su una o più specifiche persone; che queste ultime siano dotate di poteri impeditivi della lesione del bene che hanno “preso in carico” (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010 Rv. 248847).

2.2.La ratio sottesa al sistema va ricercata nella finalità di assicurare a determinati beni giuridici una tutela rafforzata, attribuendo a soggetti diversi dai titolari, in ragione del ruolo che rivestono, l’obbligo di evitarne la lesione mediante l’esercizio di doveri di vigilanza e di controllo e ciò perchè gli interessati non hanno il completo dominio delle situazioni che potrebbero mettere a rischio l’integrità dei loro beni. In tale assetto le posizioni di garanzia, come questa corte ha avuto modo di affermare più volte (per tutte Cass. Sez. 4, Sentenza n. 5037 del 30/03/2000 Rv. 219424), risultano connesse a obblighi di solidarietà di rilevanza costituzionale che l’ordinamento giuridico attribuisce a determinati soggetti sia “per proteggere determinati beni giuridici da tutti i pericoli che possono minacciarne l’integrità” (si pensi alla posizione di protezione dei genitori nei confronti dei figli, che è la posizione di solidarietà per eccellenza), sia per “neutralizzare determinate fonti di pericolo, in modo da garantire l’integrità di tutti i beni giuridici che ne possono risultare minacciati” (come nella posizione di controllo attribuita al datore di lavoro nei confronti dei lavoratori alle sue dipendenze).

2.2. Dal quadro descritto discende che, ove si ritenesse esonerato da responsabilità colui che formalmente assume uno dei ruoli, in ragione della sua apparenza, si consentirebbe attraverso l’interposizione fittizia di vanificare la cogenza della tutela penale per omissione di cautele doverose correlate alla salvaguardia di soggetti ritenuti dall’ordinamento deboli e bisognevoli di protezione. L’esigenza imprescindibile connessa alle norme di salvaguardia nei confronti di terzi, nella specie finalizzate a prevenire gli infortuni sul lavoro, impone, infatti, salva restando la possibilità di cumulo con le responsabilità di altri soggetti, l’attribuzione a colui che si interpone, in prima persona, dei doveri di garanzia che derivano dal ruolo rivestito. Va considerato, d’altra parte, che sulle garanzie connesse alle attribuzioni di ruolo fanno affidamento i garantiti, i quali devono essere esonerati dall’onere di accertare compiutamente il fondamento del potere di colui che formalmente si presenta come titolare di una posizione di garanzia nei loro confronti. La funzione di garanzia, pertanto, non può che derivare direttamente dall’assunzione formale del ruolo, senza possibilità per colui che si presenta come garante di invocare la mera apparenza quale ragione di esonero da colpa (Cass. Sez. 4 n. 35120 del 2013). La responsabilità del titolare apparente della posizione di garanzia si evidenzia ancor più in situazioni in cui, come nella specie, la condizione di pericolo cui il lavoratore si trovi esposto sia connessa a carenze dell’impianto di produzione gravi e molteplici, come tali immediatamente percepibili da chiunque senza particolari indagini.

3.Passando all’esame delle censure sub 2 e 3 del ricorso proposto dalla T., connesse all’applicabilità della scriminante di cui all’art. 54 c.p. e al controllo dell’iter motivazionale che la esclude, giova richiamare il principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “In tema di stato di necessità (art. 54 cod. pen.), l’imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l’operatività dell’esimente” (Cass. Sez. 5, n. 8855 del 30/01/2004 Rv. 228755). Un’allegazione conforme al richiamato principio difetta nel caso in disamina, posto che è rappresentata una generica condizione di soggezione alla quale l’imputata si sarebbe comunque potuta sottrarre rinunciando ai vantaggi che la situazione complessivamente le arrecava, ma non una specifica imposizione connotata dalla minaccia di un pericolo nei termini richiesti dalla norma invocata. Ne consegue che il riferimento agli interessi economici connessi alla posizione nell’azienda di famiglia consentono di ritenere congruamente motivata l’esclusione della scriminante.

4.Sono del pari infondati i motivi di ricorso proposti dall’imputata con riferimento alla negazione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione del trattamento sanzionatorio, correttamente argomentate in ragione della particolare trascuratezza in cui versava l’impianto di produzione, peraltro in presenza di trattamento sanzionatorio pressochè prossimo al minimo edittale.

5.In ordine al ricorso proposto dai fratelli C., ribadita quanto alla posizione di C.S. le argomentazioni già svolte sub 1), si rileva che nell’attribuire a C.G. la posizione di garanzia nei confronti della vittima la sentenza ha fatto corretta applicazione delle norme con argomentazioni logiche adeguate. Al di là dei profili di censura riconducibili a una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella offerta dai giudici del merito, quest’ultima sorretta da congrua motivazione, va rimarcato che la Corte territoriale, sulla scorta delle emergenze processuali, anche specificamente concernenti le incombenze svolte dall’imputato la mattina dell’infortunio, ha individuato il ruolo di direttore di stabilimento di fatto a lui assegnato e, quindi, di responsabile del funzionamento del complesso impianto, nell’ambito dell’attività dell’impresa; ruolo che gli avrebbe imposto di impedire che le lavorazioni continuassero in una situazione di assoluta inosservanza delle norme antinfortunistiche (nel senso che la responsabilità derivante dalle violazioni delle norme antinfortunistiche discenda anche dalla “presa in carico” di fatto di un ruolo cui si riconnette una posizione di garanzia vedi Cass. Sez. 4, n. 35120 del 2013, citata).

6. Per quanto riguarda le censure attinenti all’applicazione delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, si richiamano le argomentazioni già svolte sub 4) con riferimento alla posizione della T.

6. Per tutte le ragioni indicate il ricorso va rigettato. Ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2014

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