Uso del martello per la rottura dei sigilli. Rischi per l’integrità fisica di terzi.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 15/07/2015
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di P.L., giudicato responsabile del delitto di cui all’art. 590, co. 1, 2 e 3 cod. pen. in relazione agli artt. 5 e93 d.lgs. n. 626/1994, ha escluso la contestata aggravante e ridotto la pena inflitta al medesimo.
La vicenda che occupa trae origine dall’infortunio patito da F.P., dipendente della MB Preform, con sede in Ripaberarda, il quale il 7.9.2007, mentre si trovava nei pressi del container trasportato in azienda dal P.L., dipendente della ditta Stran s.p.a., veniva attinto all’occhio destro da una scheggia metallica proiettata da un colpo inferto con un martello dal P.L. sul sigillo del container.
La Corte di Appello, esprimendo un diverso avviso rispetto al giudice di primo grado, ha ritenuto che in capo al P.L. non vi fosse alcuna posizione di garanzia e che neppure potesse trovare applicazione l’art. 5 d.lgs. n. 626/1994 – riferito ai lavoratori che prestano la loro attività alle dipendenze del datore di lavoro ha quindi rinvenuto una violazione del generale obbligo di prudenza imposto dallo svolgimento di un’attività pericolosa quale l’infliggere colpi con un martello sul sigillo, in luogo ove potevano essere presenti terze persone.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 590 cod. pen. e vizio motivazionale. La Corte di Appello non ha valutato se in concreto l’imputato potesse rendersi conto della esistenza di una situazione che imponeva le cautele asseritamente omesse. Nessun rilievo viene dato alla materiale impossibilità di prevedere le manovre o l’incauto avvicinamento degli operai della ditta MB Preform ed il mancato impiego da parte degli stessi dei DPI; parimenti, nessun rilievo viene dato al fatto che la condotta del P.L. fu necessitata dalle contingenze fattuali; è omessa l’indagine sui soggetti competenti a gestire i fattori di rischio rilevanti nella specie.
2.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello abbia inflitto all’imputato una pena pecuniaria superiore al massimo edittale perché, pur avendo giudicato equivalente alle attenuanti generiche la residua aggravante di cui al comma 2 dell’art. 590 cod. pen., ha inflitto una pena pecuniaria superiore a quella massima prevista dal primo comma dell’art. 590.
Diritto
3. Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Il primo motivo non può trovare accoglimento.
I rilievi mossi dall’esponente trovano – per esplicita indicazione di questi – il proprio punto di caduta nell’ambito del profilo soggettivo della colpa: si rammenta l’insegnamento giurisprudenziale per il quale tale profilo richiede che il comportamento dovuto sia concretamente esigibile dal trasgressore.
Su tale versante la Corte di Appello ha formulato una chiara affermazione: i rischi per la integrità fisica di altre persone, connessi all’uso del martello per la rottura dei sigilli erano facilmente prevedibili dal P.L. quali conseguenza della propria azione. Si tratta di un giudizio che sintetizza la valutazione di tutte le circostanze di fatto emerse nel processo e che non é sindacabile da questa Corte se non viziato da manifesta illogicità o da contraddittorietà rispetto ai dati processuali. Orbene, tenuto conto delle circostanze di fatto esposte nella sentenza e non contestate nella loro effettività neppure dall’esponente, tale giudizio non appare in alcun modo illogico, poiché la semplicità dell’operazione ne rendeva immediatamente prevedibili per chiunque i connessi rischi, in specie in considerazione del fatto che essa veniva condotta in un luogo ove erano presenti altre persone, non munite di particolari protezioni rispetto al rischio di proiezione di materiali. Come correttamente sostenuto dalla Corte di Appello, rispetto a ciò non assume alcun rilievo che l’azione del P.L. fosse o meno necessitata perché non disponibile un attrezzo più idoneo; egli avrebbe dovuto comunque assicurarsi che nessun altro fosse a distanza inferiore a quella di sicurezza o astenersi dall’agire.
Quanto al tema della identificazione dei garanti, si tratta di un’indagine del tutto superflua, versandosi in ipotesi di condotta commissiva.
4.2. Per contro, coglie il segno il secondo motivo. La Corte di Appello ha escluso l’aggravante dell’esser stato commesso il fatto con violazione di norme prevenzionistiche ed ha mantenuto fermo il giudizio di equivalenza tra le riconosciute circostanze. Tanto avrebbe determinato la necessità di contenere la pena entro i termini edittali previsti dall’art. 590 al comma 1: quindi la reclusione sino a tre mesi o la multa sino a 309 euro. Il Collegio distrettuale ha ritenuto di dover infliggere la sola pena pecuniaria, ma l’ha determinata in euro 1.000,00 di multa, ovvero in misura illegale. La sentenza impugnata va quindi annullata in parte qua; e la pena può essere determinata da questa Corte in euro 309,00 di multa, apparendo la valutazione del giudice di merito orientata alla inflizione della pena pecuniaria nel massimo (cfr. Sez. 3, n. 20399 del 19/03/2015 – dep. 18/05/2015, Bianco, Rv. 263648, per la quale nel giudizio di legittimità, l’errore del giudice di merito che abbia determinato la pena muovendo da un limite superiore al massimo edittale comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con la sostituzione, al limite di pena-base erroneo, del
massimo della pena irrogablle, al quale evidentemente il giudice del merito intendeva riferirsi).
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena; pena che determina in euro 309,00 di multa.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15/7/2015.