Occorre, in definitiva, approfondire, in punto di fatto, compito precluso alla Corte di legittimità, se vi fu o meno carenza informativa, quanto a formazione ed informazione, sul rischio cui era ipoteticamente esposto l’operaio a proposito delle possibili conseguenze di eventuali, pur gravemente incaute, operazioni sul nastro trasportatore, in particolare, ma non esclusivamente, verificando se il documento di valutazione dei rischi comprendeva o meno quello di smontaggio dello scivolo, e ciò ponendosi nelle, sia pure non sovrapponibili, concrete prospettive dell’appaltante (S.DC.) e dell’appaltatore (S.P.).
Solo una volta approfonditi tali aspetti la Corte di merito potrà affrontare tutti gli altri logicamente successivi, quale, ad esempio, quello della eventuale abnormità della condotta del lavoratore, su cui ha insistito la difesa degli imputati nella memoria depositata, e all’esito, nella sua piena autonomia giurisdizionale, potrà, naturalmente, confermare le conclusioni di innocenza degli imputati ovvero pervenire a diversa conclusione.
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 28/04/2016
Fatto
1. Con sentenza del 26 marzo 2015 la Corte di appello di Milano, riformando integralmente la decisione del Tribunale di Milano del 2 aprile 2014, ha assolto S.P. e S.DC. dal reato di omicidio colposo, contestato come commesso il 2 febbraio 2011, con violazione della normativa antinfortunistica (prescrizione max 2011 + 15 = 2026), con la formula perché il fatto non sussiste, contemporaneamente revocando le statuizioni civili adottate in primo grado.
2. Ricorrono per cassazione il Procuratore generale territoriale e, tramite il difensore, la parte civile, signora A.T., vedova del deceduto M.T..
3. Necessario premettere alla disamina dei motivi di ricorso le informazioni utili alla decisione che si traggono dalle sentenza di merito.
3.1. Gli imputati sono accusati dell’omicidio colposo dell’operaio M.T., nelle seguenti qualità:
S.DC., di presidente del consiglio di amministrazione e di legale rappresentante della s.r.l. “D’.”, ditta appaltante l’attività di selezione, cernita e riciclo di materie plastiche con impianti messi a disposizione dalla ditta appaltante all’appaltatrice mediante contratto di comodato gratuito alla ditta appaltatrice;
S.P., di amministratore unico e legale rappresentante della soc. cooperativa “PS.”, ditta appaltatrice.
I profili i colpa addebitati ad entrambi gli imputati sono di tipo sia generico che specifico. Quanto, in particolare, a quelli specifici, si rimprovera:
a S.DC. di non avere indicato, nel documento unico di valutazione dei rischi elaborato a corollario dell’appalto delle attività relative al reparto “lavaggio ed estrusione” , misure idonee ad eliminare i rischi relativi alle interferenze presenti nella attività di manutenzione della macchine utilizzate dalla società appaltatrice e concesse alla medesima dalla società appaltante con contratto di comodato di uso gratuito in particolare per avere omesso di adottare le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso ed oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza, nella specie per non avere preso le misure necessarie affinché il nastro trasportatore collocato presso il reparto “lavaggio ed estrusione” (al quale, mediante il proprio personale tecnico, forniva periodica manutenzione) fosse installato conformemente a quanto indicato dal produttore e, in particolare, esso fosse munito di ruote provviste di freno di stazionamento nella parte alta della struttura di sostegno;
si rimprovera a S.P. di non avere indicato nel documento di valutazione dei rischi le procedure per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi, di non essersi adeguatamente coordinato con la ditta committente al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra il proprio lavoro ed i lavori di manutenzione eseguiti dal personale della s.r.l. “D’.”, di non avere formato adeguatamente il preposto N.M. con riferimento specifico agli aspetti del rischio nel reparto “lavaggio ed estrusione”, di avere omesso di adottare le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso ed oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza, nella specie per non avere preso le misure necessarie affinché il nastro trasportatore collocato nel reparto “lavaggio ed estrusione” (al quale, mediante il proprio personale tecnico, forniva periodica manutenzione) fosse installato conformemente a quanto indicato dal produttore e, in particolare, fosse munito di ruote provviste di freno di stazionamento nella parte alta della struttura di sostegno.
3.2. In conseguenza, il 2 febbraio 2011 il lavoratore M.T., ordinariamente addetto alla conduzione dei macchinari del reparto “lavaggio ed estrusione” ed al momento dell’infortunio impegnato in un’operazione non rientrante tra le sue mansioni, cioè il ripristino dell’attività produttiva, attività che, durante la fase di movimentazione del nastro trasportatore, aveva subito un blocco momentaneo a causa del malfunzionamento della zona di trasporto e macinazione della plastica, dopo avere sollevato la struttura portante del nastro, veniva schiacciato al suolo e riportava un politrauma da schiacciamento che ne causava la morte dopo due ore; ciò per effetto del prevedibile ribaltamento del nastro trasportatore, ribaltamento che sarebbe stato evitabile:
se il nastro trasportatore fosse stato dotato di ruote provviste di freno meccanico;
se per sollevare il nastro trasportatore si fosse fatto ricorso a modalità operative differenti da quelle impiegate (cioè l’uso di un carrello elevatore piuttosto che il ricorso, come in concreto avvenuto, ad un’attrezzatura manuale di sollevamento che, facendo venire meno la verticalità della base del nastro, strutturalmente munita di ruote, ne determinava inevitabilmente uno sbilanciamento ed il conseguente ribaltamento per effetto della naturale rotazione delle ruote, peraltro sfornite nella parte alta di freno di stazionamento);
se l’operazione fosse stata posta in essere dal personale qualificato della s.r.l. appaltante “D’.”, che vi era contrattualmente tenuta.
3.3. La sentenza di primo grado, riconosciuta la penale responsabilità degli imputati, li aveva condannati alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni, la cui liquidazione era rimessa al giudice civile; con assegnazione di provvisionale alle parti civili Omissis.
4. La Corte di appello, in riforma, della decisione di condanna del Tribunale, ha assolto entrambi gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste,” revocando le statuizioni civili.
Si sintetizza il ragionamento svolto nella sentenza.
4.1. La Corte territoriale, premessa una puntuale ricostruzione dello stato dei luoghi nel reparto “lavaggio ed estrusione” e della dinamica dell’infortunio, anche mediante l’inclusione di numerose fotografie nel corpo della motivazione, ha, in sintesi, ritenuto che, essendosi verificato il malfunzionamento di un “mulino” cioè di una unità di macerazione che serviva a ridurre in granuli riutilizzabili la plastica da riciclare che veniva introdotta nella “bocca” del mulino, collocata a 2,70 metri da terra, mediante il nastro trasportatore che saliva da pochi centimetri sopra il pavimento, appunto, ai 2,70 metri di altezza della bocca del mulino, il lavoratore M.T., dopo avere personalmente chiamato il manutentore incaricato, M,, che vi era contrattualmente tenuto, e pur avendo avuto da questi assicurazione che sarebbe giunto sul posto in qualche minuto, essendo impegnato in altra parte dello stabilimento, sebbene M.T., anziché attendere, come era ragionevole, intraprese da solo, pur non avendo adeguate competenze tecniche, l’attività che di seguito si indica. In pratica, l’operaio, agendo da sotto rispetto al pesante nastro trasportatore, che poggiava su quattro pali verticali telescopici con la funzione di zampe, ovviamente due lunghe e due corte, avendo il nastro la forma di uno scivolo, tutte poggiate su ruote, due delle quali, le più basse, erano provviste di freno, iniziò a smontare il perno di sicurezza di una delle due zampe più alte, con l’intenzione di fare abbassare il nastro per poi andare ad agganciare lo stesso alla bocca di un secondo mulino, che era funzionante. Abbassare il nastro appariva in quel contesto necessario poiché tra le bocche dei due mulini, come si rileva dalle fotografie nn. 18 e 19 (alla p. 17 della sentenza impugnata), vi era un tubo orizzontale che non avrebbe consentito semplicemente di far camminare il meccanismo sulle ruote e di andare a fissarlo alla bocca del secondo mulino per poter proseguire la lavorazione. Una volta che il lavoratore, che si trovava sotto il nastro, ebbe sfilato il perno di sicurezza di una della due zampe lunghe, iniziò a svitare il bullone di serraggio: a quel punto la gamba su cui stava agendo (si trattava, come si è detto, di un tubo telescopico), dopo essere rimasta inizialmente al suo posto, forse per effetto della ruggine, rientrò improvvisamente e, in conseguenza, il nastro, privo di uno dei quattro sostegni, si inclinò di lato e cadde travolgendo il lavoratore.
4.2. Così ricostruita la dinamica del tragico episodio, la Corte di appello ha dato atto che il Tribunale, pur riconoscendo un comportamento gravemente incauto del lavoratore, aveva condannato gli imputati valorizzando:
a) la ritenuta carenza di formazione, ritenuta solo superficiale e non effettiva, e di informazione circa i rischi connessi alle attività lavorative;
b) la circostanza di non avere redatto un D.U.V.R. interferenziale completo, esauriente ed effettivo, in quanto quello presente veniva valutato un atto formale, privo di qualsiasi ricaduta operativa nell’organizzazione dello stabilimento, e specificamente del reparto dove è avvenuto l’infortunio;
c) il non avere cooperato tra di loro e il non essersi coordinati nell’uso delle attrezzature.
4.3. Ha ritenuto la Corte di appello, in difformità dalla valutazione operata in primo grado: che tutte le attrezzature dell’azienda, compreso il nastro trasportatore, sono risultate idonee e senza difetti né costruttivi né operativi; che il nastro trasportatore sarebbe caduto anche se avesse avuto i freni sulle quattro ruote, e non soltanto su due, dato che la caduta non è derivata dal mancato arresto delle ruote, ma dalla manomissione statica, effettuata dalla vittima su uno dei quattro piedi – uno dei due lunghi – di sostegno; che tale è infatti la ricostruzione di ben tre testi oculari (…), giudicati attendibili, mentre la diversa ipotesi dell’ispettore della A.S.L. (C.) deriva da mere supposizioni; che l’azienda aveva tenuto corsi di formazione e informazione a tutti gli operai, compreso M.T., che parlava e comprendeva bene l’italiano, formazione naturalmente relativa alle mansioni proprie di ciascun operaio; che la manutenzione e la riparazione erano affidate ad un apposta squadra di tecnici, tra cui Ma., che quel giorno assicurò che sarebbe intervenuto in breve tempo (pp. 22-23 della sentenza di appello).
Ciò posto, così prosegue la sentenza impugnata, «nel frattempo M.T. decise in via improvvisa, autonoma, non comunicata a nessuno, di spostare da solo il pesante nastro trasportatore con manovre inadeguate e pericolosissime, quali il togliere da sotto il sostegno di un pesantissimo macchinario sovrastante.
Sia lui che il suo compagno di lavoro Omissis sapevano benissimo che quell’attività non doveva essere fatta; e ciò si desume anche dall’interrogatorio di quest’ultimo (del 7 febbraio 2013) in cui egli sottolineava più volte di non avere fatto nulla, di non averlo aiutato, di avere solo guardato.
L’attività posta in essere da M.T. esulava completamente da qualsiasi sua mansione. Nessuno lo aveva mai incaricato di provvedere alla manutenzione o movimentazione dei macchinari: cosa che infatti non era mai accaduta prima.
Si deve, pertanto, riconoscere come essa presentasse i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute.
Data la sua esperienza, gli anni che aveva prestato lavoro nell’azienda, la sua formazione, il suo ruolo di preposto (cfr. teste B. […] e dichiarazioni M. e la scelleratezza intrinseca delle manovre che iniziò a fare (come si è già detto, il togliere da sotto i supporti ad una pesante struttura sovrastante), il suo comportamento era del tutto imprevedibile o inopinabile.
A fonte di tale comportamento risulta inesigibile una qualsiasi attività prevenzionale da parte dei soggetti in posizione di garanzia, difficilmente ipotizzabile persino nella sua materiale esecuzione.
Questo rilievo vale pertanto a porre un ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza del nesso causate tra le omissioni ascritte agli imputati e l’evento infausto occorso alla vittima.
Questa Corte territoriale ritiene che a cagionare l’evento non sia stata l’omissione nel DUVR della previsione dei rischi interferenziali relativi all’attività di manutenzione; né l’assenza di idonea installazione e utilizzazione dei macchinari; né carenza di formazione e informazione, ma l’infortunio discese dall’imprudente, abnorme e improvvisa scelta del M.T. di svolgere un’attività non propria, pur delegata a meccanici presenti in azienda; attività a lui non richiesta, fuori dalle sue competenze, e palesemente pericolosissima.
Proprio questa pericolosità, infine, rendeva veramente impensabile che un qualsivoglia lavoratore potesse mettere in atto una simile manovra; e tanto meno un operaio di lungo corso, come il M.T.» (pp. 24-25 della sentenza di appello).
5. Ciò posto, i motivi di ricorso dei Procuratore generale territoriale e della parte civile sono in larga parte sovrapponibili e richiamano le categorie della violazione di legge e del difetto di motivazione.
5.1. Il ricorso della parte pubblica censura, innanzitutto, per violazione di legge (artt. 37 e 73 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81) l’asserzione della Corte territoriale secondo cui la formazione impartita era completa ed era relativa alle mansioni di ciascun lavoratore, non essendo logico né richiedibile che ciascun lavoratore di un’azienda sia formato e informato in relazione alle mansioni di tutti gli altri operai (cfr. p. 23 della sentenza impugnata), mentre dall’art. 37 e, soprattutto, dall’art. 73, comma 2, del d.lgs. n 81 del 2008 si trae il principio secondo il quale il datore di lavoro deve informare «I lavoratori sul rischi cui sono esposti durante l’uso delle attrezzature di lavoro, sulla attrezzature di lavoro presenti nell’ambiente immediatamente circostante, anche se da essi non usate direttamente […]»; ciò che confuterebbe la concezione, che secondo il P.G. si legge in sentenza, «di ciascun lavoratore, ai fini formativi-informativi, [come] una sorta di monade tenuta a conoscere solo lo stretto occorrente per svolgere le proprie funzioni» (pp. 6-7 del ricorso). Si richiama, al riguardo, una recente pronunzia della S.C. secondo cui «in tema di infortuni sul lavoro, l’attività di formazione prevista dall’art. 38 D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 – ed oggi dall’art. 73 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 – ove si tratti dell’utilizzo di macchine complesse, talune operazioni sulle quali siano riservate a personale con elevata specializzazione, non si esaurisce nell’informazione e nell’addestramento in merito ai rischi derivanti dall’utilizzo strettamente inteso, ma deve tener conto anche dei rischi derivanti dalla diretta esecuzione delle operazioni ad altri riservate» (Sez. 4, n. 44106 del 11/07/2014, Beghi, Rv. 260637).
Sottolinea, dunque, il ricorrente che, per espressa ammissione del giudice di appello, M.T. non avrebbe avuto formazione ed informazione relativamente al nastro trasportatore che lo aveva schiacciato.
Si richiama, inoltre, da parte del ricorrente, il risalente indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale, in materia di infortuni sul lavoro, occorre considerare anche eventuali situazioni che determinino l’affidamento occasionale al lavoratore di mansioni differenti da quelle normalmente svolte.
5.2. Il secondo motivo di ricorso è incentrato sulla ritenuta illogicità della motivazione per avere la Corte di appello aderito ad una nozione di comportamento abnorme del lavoratore atto ad interrompere il nesso causale che sarebbe erronea e fuorviante. La vittima avrebbe, a ben vedere, posto in essere un comportamento assai imprudente e rischioso ma non certo abnorme. Richiama il P.G. a sostegno dell’assunto giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, e sottolinea che la ragione dell’agire così malaccorto di M.T. sarebbe da rinvenire proprio nella mancanza di formazione e di informazione sul nastro ricevuta al riguardo.
6. I due motivi svolti dal P.M., che si sono sintetizzati, sono comuni alla parte civile, che ne propone ulteriori due.
6.1. Anzitutto, violazione di legge da parte della Corte di appello sotto il profilo del convincimento espresso circa il corretto e regolare espletamento dei corsi di formazione per tutti gli operai, essendo invece emerso dall’istruttoria – e correttamente compreso dal giudice di primo grado (p. 11 della sentenza del Tribunale) – che quelli che si erano tenuti erano meramente formali e, per di più, diretti ad operai di varie nazionalità e che parlavano lingue diverse, uno dei
quali, peraltro, Y.I., sentito a dibattimento, non comprendeva nemmeno l’italiano, tanto che si è reso necessario nominare un interprete, ed un altro, N., indicato come responsabile del reparto produttivo, che, in realtà, secondo quanto riferito dal teste ispettore della A.S.L. C., faceva il fattorino e che, inoltre, non aveva riconosciuto la propria firma in relazione ad alcuni corsi di formazione che si assumeva avesse seguito, addirittura qualche mese prima di essere assunto: ciò a dimostrazione della superficialità con cui erano tenuti corsi di formazione e dell’assenza di ogni concreta verifica al riguardo dell’effettivo livello di apprendimento raggiunto.
6.2. Inoltre, si denunzia manifesta illogicità, sino al travisamento della prova, allorché la sentenza afferma che tutte le attrezzature dell’azienda sono risultate idonee e prive di difetti costruttivi ed operativi (p. 22 della motivazione), pur avendo, contraddittoriamente, ammesso poco prima (p. 19) che il palo sul quale agì il lavoratore presentava della ruggine. La stessa pendenza di un tubo orizzontale che impediva un agevole spostamento del nastro trasportatore montato su ruote da un mulino ad un altro era stata, illogicamente, sminuita dalla Corte di appello.
6.3. I ricorrenti domandano, in definitiva, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
7. Con memoria depositata il 18 aprile 2016 il difensore degli imputati ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
Diritto
1. Il ricorso, nella sua struttura essenziale, è fondato e merita accoglimento, per le ragioni che ci si accinge ad esporre.
1.1. Vanno necessariamente premessi alcuni punti fermi, in fatto, emergenti da entrambe le sentenze di merito.
In primo luogo, nessuna rilevanza causale hanno avuto le ruote alle estremità delle zampe dello scivolo (pp. 22-23 della sentenza impugnata; pp. 5-6 della sentenza di primo grado); del pari, nessuna rilevanza causale ha avuto la ruggine pur presente su una delle zampe, quella su cui ha agito la vittima, e tutte le attrezzature ed i macchinari erano in regola (p. 22 della sentenza di appello; non si registra nessun riferimento alla efficacia causale della presenza di ruggine nella sentenza del Tribunale).
Ne consegue che l’ultimo motivo proposto dalla parte civile è privo di fondamento.
1.2. Quanto alle ulteriori doglianze dei ricorrenti, da trattarsi congiuntamente, deve prendersi atto che la, pur pregevole, sotto vari aspetti, sentenza di appello trascura tuttavia di fornire informazioni fattuali sufficienti sotto il profilo della ampiezza e della serietà dell’obbligo informativo sui rischi lavorativi, specialmente per l’evenienza di interferenza con attività diversa, che fu eventualmente fornito al dipendente M.T..
Alla valutazione svolta al riguardo dal giudice di primo grado, che, come si è visto, ha ritenuto non essere stata svolta formazione adeguata con riferimento specifico agli aspetti del rischio nel reparto “lavaggio ed estrusione”, la Corte territoriale contrappone, certo legittimamente, una sua valutazione di adeguatezza circa la formazione, ma non fornisce al riguardo adeguata spiegazione. Il passaggio motivazionale è infatti solo il seguente, peraltro non meglio sviluppato: «ovviamente [la formazione] era stata relativa alle mansioni proprie di ciascun operaio. E’ del tutto evidente come non sia logico né richiedibile che ciascun lavoratore di un’azienda sia formato e informato in ordine a tutte le mansioni di tutti gli operai!» (cosi alla p. 23 della sentenza impugnata).
Tale affermazione, oggetto di serrata critica da parte delle accuse, pubblica e privata, nella sua assolutezza non è condivisibile.
È, al contrario, regola generale ormai sedimentata quella secondo cui è necessario informare il lavoratore circa i rischi propri dell’attività cui è preposto ma anche di quella derivante dalla diretta esecuzione di operazioni ad altri riservate (cfr., ad es., Sez. 4, n. 44106 del 11/07/2014, Beghi, Rv. 260637), naturalmente ove vi sia un ragionevole rischio di interferenza funzionale tra diverse attività. Infatti, l’art. 73, commi 1 e 2, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008 prevede l’obbligo per il datore di lavoro di lavoro di fare sì che, per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d’uso necessaria alla sicurezza, anche se si tratti di attrezzature da essi non usate direttamente; e ciò anche con riferimento alle situazioni anormali purché prevedibili.
Sotto questo profilo, la sentenza impugnata non chiarisce quale sia stato il livello di approfondimento, doveroso nel caso di specie per entrambi gli imputati, del documento di valutazione e della formazione in concreto svolta, a fronte del rischio “smontaggio” dello scivolo cui era addetto il lavoratore, e, una volta approfondito tale aspetto, se lo smontaggio dello scivolo, di certo operazione gravemente imprudente da parte del lavoratore, possa dirsi o meno anomalia prevedibile o imprevedibile, anche tenuta presente la circostanza, risultante dalle fotografie materialmente riprodotte nella motivazione della sentenza impugnata, della presenza di un tubo (seppure non pendente, come – solo – suggestivamente scritto dalla difesa di parte civile alla p. 11 del ricorso) nella
parte alta del reparto “lavaggio e estrusione”, tubo che potrebbe ipoteticamente costituire un ostacolo allo spostamento dello scivolo mediante fisiologico scorrimento, tramite rotelle, sul pavimento senza necessità di ridurre l’altezza dello stesso.
Occorre, in definitiva, approfondire, In punto di fatto, compito precluso alla Corte di legittimità, se vi fu o meno carenza informativa, quanto a formazione ed informazione, sul rischio cui era ipoteticamente esposto l’operaio a proposito delle possibili conseguenze di eventuali, pur gravemente incaute, operazioni sul nastro trasportatore, in particolare, ma non esclusivamente, verificando se il documento di valutazione dei rischi comprendeva o meno quello di smontaggio dello scivolo, e ciò ponendosi nelle, sia pure non sovrapponibili, concrete prospettive dell’appaltante (S.DC.) e dell’appaltatore (S.P.).
Solo una volta approfonditi tali aspetti la Corte di merito potrà affrontare tutti gli altri logicamente successivi, quale, ad esempio, quello della eventuale abnormità della condotta del lavoratore, su cui ha insistito la difesa degli imputati nella memoria depositata, e all’esito, nella sua piena autonomia giurisdizionale, potrà, naturalmente, confermare le conclusioni di innocenza degli imputati ovvero pervenire a diversa conclusione.
2. Consegue dalle considerazioni svolte l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Milano, altra Sezione, per nuovo esame.
Il giudice di merito provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano per nuovo esame cui rimette anche la regolamentazione delle spese di giudizio di questo grado.
Così deciso il 28/04/2016.