Cassazione Penale, Sez. 4, 29 maggio 2014, n. 22246

Preposto di diritto e preposto di fatto.

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente –
Dott. D’ISA Claudio – Consigliere –
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
C.D. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4343/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del 18/06/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/02/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOVERE SALVATORE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. TOSCA Maria Letizia, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha parzialmente riformato quella di condanna pronunciata nei confronti di C.D. dal Tribunale di Aosta, riconoscendo all’imputato le attenuanti generiche come prevalenti sulla contestata aggravante e per l’effetto riducendo la pena inflitta dal primo giudice.

Al C. era stato ascritto di aver assunto di fatto le funzioni di preposto presso la ditta Cogem s.r.l. e di aver in tale veste ordinato al dipendente B.O. di salire su un muro di spina dell’immobile visitato per prendere visione dei lavori di ristrutturazione da compiersi successivamente, senza preventivamente segnalare al datore di lavoro le condizioni di pericolo esistenti; sicchè al cedimento del muro il lavoratore era caduto a terra riportando lesioni personali dalle quali era derivata una malattia della durata di 221 giorni.

Con i motivi di censura l’impugnante asseriva che, non essendo stato formulato il capo d’imputazione anche in capo ai titolari della ditta Cogem, la sentenza di primo grado presentava un salto logico nel definire il C. soggetto preposto; lamentava, poi, che nella specie erano mancanti i requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, ai fini di una valida delega, sicchè il C. – procacciatori di affari della ditta e avente il compito di redigere preventivi -, era stato privo di potere direttivo sul personale.

La Corte di Appello respingeva tali censure rimarcando come il C. avesse assunto il ruolo di preposto di fatto in quanto titolare di adeguata competenza professionale, svolgeva un’ampia gamma di mansioni, sia tecniche che commerciali, con ampi poteri di iniziativa e di impulso, esercitati in piena autonomia, in tale ambito sovrintendeva all’attività lavorativa dei dipendenti dell’impresa, vigilando sulla corretta esecuzione delle opere e delle direttive datoriali o di quelle che egli stesso impartiva, nell’ambito dei sopralluoghi finalizzati al procacciamento di affari o commesse, disponeva direttamente della manovalanza dell’impresa e ne ripartiva i compiti. Pertanto, concludeva la Corte distrettuale, il C. che era tenuto a segnalare tempestivamente al datore di lavoro le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuali, nonchè ogni altra situazione di pericolo verificatasi durante il lavoro, secondo il disposto del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19.

Di conseguenza egli ben poteva essere chiamato a rispondere autonomamente anche in mancanza di una imputazione elevata nei confronti dei titolari della ditta Cogem, per i quali comunque disponeva la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica per le determinazioni di competenza.

2.1. Con il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato dall’avvocato T.M.L., con un primo motivo si deduce violazione di legge. Nella sostanza, si ribadisce che esiste un salto logico nella sentenza di primo grado e quindi si lamenta che la Corte di Appello abbia negato la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ritenendo provata la qualifica di preposto di fatto dell’imputato, senza svolgere indagini in ordine alla struttura aziendale.

2.2. Con un secondo motivo si deduce ulteriore violazione di legge per essere stato limitato il diritto della difesa all’esame dei testi senza adeguata motivazione; tanto in riferimento all’esame del teste D. all’udienza del 27 ottobre 2010. Si ribadisce che il C. era privo di poteri direttivi sul personale e quindi che non risulta provato che egli rivestisse mansioni di preposto di fatto.

2.3. Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale perchè la Corte di Appello da un canto avrebbe ritenuto fondate le censure mosse alla sentenza di primo grado in ordine alla mancata formulazione di addebiti a carico dei titolari della ditta Cogem, dall’altro rigetta l’istanza di rinnovazione del processo di primo grado senza fornire adeguata motivazione.

2.4. Con atto depositato il 14.2.2014, il difensore dell’imputato ribadisce la doglianza concernente l’attribuzione a questi della posizione di “preposto di fatto” e di una posizione di supremazia sul B.; lamenta che con l’appello era stata richiesta l’applicazione della oblazione e che la Corte di Appello non ha reso alcuna motivazione in ordine al rigetto dell’istanza; censura l’eccessività della pena “considerate le motivazioni di fatto e la mancata indicazione delle modalità di calcolo della sanzione applicata”.

Diritto

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Pur proposta sotto forme diverse e non sempre con la necessaria linearità, la censura che il ricorrente muove alle sentenze di merito e quindi a quella impugnata con il ricorso per cassazione, è quella di non aver adeguatamente accertato che il C. fosse preposto di fatto, non avendo verificato che egli fosse “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”, secondo la definizione data dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, che più o meno espressamente si richiama nel ricorso; ovvero persona delegata, ai sensi del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16.

Non appare del tutto congruente che la censura si traduca nel lamentare il diniego della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

A tal riguardo va rilevato che il ricorso non esplicita in relazione a quali richieste istruttorie ravvisa un ingiusto rigetto dell’istanza a suo tempo avanzata. In ogni caso va rammentato che la rinnovazione dell’istruttoria nell’ambito del giudizio di appello è ipotesi fortemente residuale, ad escludere la quale è sufficiente che il giudice dell’impugnazione mostri di aver valutato il tema.

Nel caso che occupa la Corte di Appello ha espressamente affermato che con la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale si svolgeva una critica che già il primo giudice aveva congruamente disatteso.

Quanto al nucleo sostanziale del ricorso, esso mostra di sovrapporre la figura del preposto “di diritto”, quale corrisponde alla ricordata definizione normativa, a quella del “preposto di fatto”.

Se per la prima è necessario, tra l’altro, che egli abbia ricevuto un incarico dal datore di lavoro e che abbia ricevuto direttive per l’esecuzione dei lavori (cfr. art. 2 cit), nel caso di assunzione di fatto del ruolo la derivazione della posizione di garanzia dal concreto espletamento dei poteri tipici del preposto segnala che non vi è alcuna preliminare investitura da parte del datore di lavoro.

Lo si ricava, oltre che da una analisi strutturale del fenomeno, dalla chiara lettera del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299, per il quale “Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.

Correttamente, quindi, è stato escluso dai giudici di merito che assumesse rilevanza, rispetto ad una contestazione che indica chiaramente la “preposizione di fatto”, l’indagine circa la relazione tra il C. e l’organigramma dell’impresa Cogem.

Per gli stessi motivi non è pertinente il richiamo alla disciplina che la delega di funzioni ha rinvenuto nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16. Occorre infatti tener distinta la tematica della delega di funzioni prevenzionistiche, la quale richiede per la sua efficacia – in primo luogo nei confronti del delegante – la ricorrenza dei requisiti esplicitamente elencati dal menzionato art. 16 (tra i quali va rinvenuto anche quello della specificità dell’oggetto: Sez. 4^, sent. n. 11442 del 23.11.2012, Donadon, n.m.) da quella evocata dal “principio di effettività” (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299).

Infatti, in tema di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori può affermarsi che il principio di effettività, se vale ad elevare a garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, non vale a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge; se nonostante tale carenza il delegato verrà chiamato a rispondere del proprio operato sarà in quanto egli ha assunto di fatto i compiti propri del datore, del dirigente o del preposto, e non per la esistenza di una delega strutturalmente difforme dal modello normativo.

Correlativamente, il delegante “imperfettò manterra” su di sè tutte le funzioni prevenzionistiche che l’atto non è valso a trasferire ad altri e i suoi doveri non si ridurranno all’obbligo di vigilanza di cui all’art. 16 D.Lgs. cit..

Come riportato nella superiore parte narrativa, la Corte di Appello ha analiticamente esplicato, con motivazione immune da censure, le ragioni per le quali ha ritenuto che il C. avesse assunto di fatto il ruolo di preposto; sicchè risulta del tutto irrilevante che – come lamentato dall’esponente – non vi sia prova di una delega di funzioni.

3.2. Quanto ai restanti motivi, va rilevato che solo nelle conclusioni dell’atto di appello si legge della richiesta di applicazione dell’istituto dell’oblazione per la pena alternativamente prevista ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 56…”.

Mette conto rammentare che la richiesta di oblazione, ai sensi dell’art. 162 bis c.p., deve essere proposta prima del dibattimento (di primo grado), salvo le eccezioni che la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 530/1995) e di legittimità (Sez. U, n. 7645 del 28/02/2006 – dep. 02/03/2006, Autolitano ed altro, Rv. 233028) hanno individuato per le ipotesi di modifica della imputazione. Alcun elemento permette di ritenere che, nel caso che occupa, sia stata avanzata l’istanza di oblazione in limine al giudizio di primo grado e che essa sia stata disattesa dal Tribunale di Aosta. Non ricorreva quindi per la Corte di Appello alcun onere motivazionale riguardo all’oggetto in parola.

Per ciò che concerne il rilievo concernente il trattamento sanzionatorio, esso è generico oltre che manifestamente infondato, avendo la Corte di Appello ridotto la pena inflitta dal primo giudice ed esplicato che tanto trova giustificazione da un verso nel ruolo di minore spicco svolto dal C., proprio in quanto preposto di fatto, dall’altro nella “indubbia gravità della vicenda nel suo complesso”.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2014

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