La responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude peraltro la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 4^, n. 26247 del 30/5/2013, Rv., 256948; in senso conforme, già, Cass. n. 1216 del 2006, Rv. 233175; n. 2630 del 2007, Rv. 236012; n. 37060 del 2008, Rv. 241020).
Nel caso di specie – come sottolineato dai giudici di merito- la mancanza dell’elemento di protezione era particolarmente evidente, e per molti versi, vistosa, tale, comunque, da non poter sfuggire, senza incorrere in grossolana negligenza.
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Data Udienza: 03/05/2016
Fatto
1. Con l’impugnata sentenza resa in data 20 luglio 2015 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari in data 25 giugno 2014 appellata da F.A.F..
Quest’ultima era stata tratta a giudizio e condannata alla pena ritenuta di giustizia per rispondere, nella sua qualità di A.U. della West Recycling S.r.l., del reato di cui all’art. 590 commi 1, 2 e 3 cod. pen., commesso in Uta il 15 maggio 2008 per aver cagionato lesioni personali gravissime al dipendente M.C., per colpa consistita nella violazione di norme antinfortunistiche.
2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo dei difensore di fiducia la F.A.F. deducendo vizio di motivazione e travisamento della prova nei termini di cui alla successiva parte motiva.
Diritto
3. Come riferito nella impugnata sentenza- il giorno 15 maggio del 2008 M.C., dipendente della società West Recycling S.r.l. – di cui era amministratrice unica l’odierna ricorrente- quale addetto al controllo ed alla pulizia dell’impianto di trattamento dei rifiuti installato sul luogo di lavoro, per rimuovere un pezzo di metallo incastrato tra i cingoli di uno dei nastri trasportatori, infilò il braccio destro tra le parti in movimento della macchina, non munite della protezione prevista negli allegati agli artt. 71 del d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 e 70 D.lgs.vo 9.4.2008 n. 81 per evitare il pericolo di afferramento, presa e trascinamento delle mani o del corpo degli operatori. Il suo braccio fu pertanto agganciato dal nastro trasportatore e schiacciato dagli ingranaggi, perdendo gran parte della originaria funzionalità.
4. Tanto premesso in fatto, osserva la Corte: la ricorrente reitera le censure già proposte innanzi alla Corte territoriale, assumendo l’incompletezza delle risposte a queste fornite dai giudici di appello. Va in linea generale osservato che – contrariamente all’assunto della ricorrente- è immediatamente apprezzabile la logicità e la congruità della sentenza impugnata, che ha espresso il proprio convincimento in modo logico ed argomentato, riscontrato da argomentazioni fattuali compatibili logicamente con la soluzione adottata.
Quanto al merito delle singole censure : la circostanza che il B., costruttore della macchina sia stato assolto, non essendo stato possibile stabilire se la macchina al momento della consegna alla società West Recycling fosse dotata o meno dell’obbligatorio riparo fisso destinato ad impedire l’accesso degli arti e del corpo dei lavoratori è ininfluente sulla posizione della odierna ricorrente. Ciò anche accedendo alla tesi propugnata in ricorso che il nastro in questione fosse ab origine privo della protezione in questione. Ed invero come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite dall’operaio, allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina, la quale, pur astrattamente conforme alla normativa CE, per come assemblata ed in pratica utilizzata abbia esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (cfr. Sez. 4, n. 49670 del 23/10/2014, Rv. 261175). I marchi di conformità CE limitano infatti la loro efficacia (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 6 e 36) a rendere lecita la produzione, il commercio e la concessione in uso delle macchine che, caratterizzate dal marchio, risultano essere rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, “ma la dotazione di tali marchi non da ingresso ad esonero dalle norme generali del codice penale come è specificamente fatto chiaro anche dal testo del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 3, lett. b) e art. 37” (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 36889 del 22/05/2009 Rv. 244984).
La responsabilità del costruttore, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude peraltro la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 4^, n. 26247 del 30/5/2013, Rv., 256948; in senso conforme, già, Cass. n. 1216 del 2006, Rv. 233175; n. 2630 del 2007, Rv. 236012; n. 37060 del 2008, Rv. 241020). Nel caso di specie – come sottolineato dai giudici di merito- la mancanza dell’elemento di protezione era particolarmente evidente, e per molti versi, vistosa, tale, comunque, da non poter sfuggire, senza incorrere in grossolana negligenza. E peraltro che ciò non fosse in concreto sfuggito nel caso di specie, emerge chiaramente ove si consideri che erano state fornite ai lavoratori espresse indicazioni su come intervenire sulla macchina in questione e sulla necessità di procedere prima al fermo della macchina stessa. E’ quindi evidentemente estraneo alla fattispecie in esame il caso del vizio occulto, insidioso o, comunque, non percepibile dall’agente modello.
Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che all’epoca dei fatti l’esercizio di fatto delle funzioni di amministratore della West Recycling S.r.l. era demandato al signor R.F., padre dell’odierna imputata, nelle more deceduto.
Osserva a riguardo la Corte: l’impugnata sentenza ha già sottolineato a riguardo come non risultassero specifiche ed idonee deleghe in favore del padre dell’odierna ricorrente e come comunque quest’ultima risultava aver impartito ai lavoratori istruzioni sull’uso delle macchine e direttive sulle precauzioni da adottare. Non può in ogni caso mettersi in dubbio, senza cadere in contraddizione insanabile, che il direttore generale di una struttura aziendale, e la F.A.F. ricopriva indiscussamente detta carica, costituisce figura apicale nella quale confluisce il carico di responsabilità anche in materia di sicurezza, senza che occorra delega di sorta, essendo destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici in quanto soggetto garante (principio più volte affermato da questo Collegio per il direttore di stabilimento – Sez. 4A, n. 41981 del 7/2/2012, Rv. 255001; n. 19712 del 2009, Rv. 243637; n. 6277 del 2008, Rv. 238749; n. 11351 del 2006, Rv. 233656). Inoltre, costituisce principio ampiamente condiviso quello secondo il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul datore di lavoro e sui soggetti garanti equiparati non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e di formazione dei dipendenti (Cass., Sez. 4A, n. 50605 del 5/4/2013, Rv. 258125; n. 27420 del 2008, Rv. 240886; n. 6277 del 2008, Rv. 238750; n. 47363 del 2005, Rv. 233181). Il responsabile in parola (la cui figura attualmente risulta descritta dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 33), infatti, svolge compiti di consulenza al fine d’individuare i fattori di rischio, la vantazione dei medesimi e indicare le misure di sicurezza e, a tal fine, elabora misure protettive e preventive, procedure di sicurezza, programmi formativi e informativi, partecipa alle pertinenti consultazioni, con la conseguenza che, pur potendo, a sua volta, incorrere in penale responsabilità, per avere omesso d’individuare fattori di rischio o per avere proposto procedure e accorgimenti, a loro volta rischiosi o inadeguati, non solleva dalla responsabilità propria datore di lavoro e dirigenti. Senza fondamento, infine, è del pari la pretesa di assegnare il tragico infortunio ad un’area di esclusiva riserva del datore di lavoro, e perciò, del coimputato E.. Infatti, un conto è il contenuto dell’obbligo non delegabile della complessiva e generale valutazione dei rischi attraverso la predisposizione del documento oggi regolato dall’art. 28 del cit. T.U. ed altro conto non rendersi conto dell’intollerabile ed elettivo rischio derivante dall’adozione di procedura operativa inadeguata e dalla mancanza d’adozione dei necessari presidi.
In ogni caso, come già questa Corte ha avuto modo di chiarire, “non par dubbio che la prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto “modello d’agente”, il modello dell’ “homo eiusdem condicionis et professionis”, ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmáticamente una determinata attività, che importa l’assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l’operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (Sez. 4A, 1/71992, n. 1345, massima; più di recente e sullo specifico argomento qui in esame, sempre Sez. 4A, 1/4/2010, n. 20047). Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di non essere in grado d’incidere sul rischio, l’abbandono della funzione, previa adeguata segnalazione al datore di lavoro (sul punto, Sez. 4A n. 20047 cit.)” (Cass., Sez. 4A, n. 33311del 24/5/2012, Rv. 255585).
Quanto, infine, alla ponderazione del contributo colposo della vittima deve osservarsi quanto appresso. Il rispetto delle norme prevenzionali ha lo scopo di prevenire e ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato dalla reiterazione, dalle fisiologiche cadute d’attenzione nell’arco di tutto il tempo lavorativo ed anche, talvolta da vere e proprie distrazioni od imprudenze. Proprio al fine di scongiurare eventi nefasti evitabili rispettando standard di sicurezza collaudati determinati soggetti sono chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio infortunistico, senza che i primi possano pretendere esonero da responsabilità ove si accerti condotta inadeguata del lavoratore, salvo l’abnormità. Nel caso al vaglio, tuttavia, l’infortunato- come sottolineato dalla Corte territoriale- si è limitato a compiere un gesto istintivo (liberare il macchinario da un frammento di alluminio) del tutto coerente con le sue mansioni. In ogni caso, deve soggiungersi, non può assumere alcun apprezzabile rilievo penalistico la manovra o la condotta del lavoratore, pur, se del caso, scostatasi dal virtuale ideale, che in qualche misura abbia contribuito all’infortunio, trattandosi di circostanza tipica e fisiologica, correlata, come sopra detto, alla ripetizione del gesto, allo stress lavorativo e alle complessive condizioni psicofisiche del soggetto, rientrante nel rischio d’impresa e in quello prevenzionale, posto a base delle norme antinfortunistiche.
Una recentissima decisione di questa Corte (n. 8883 del 10 febbraio 2016), richiamata dalla difesa nel corso della discussione orale, ha precisato come in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore. (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori). In tale decisione si è comunque appunto sottolineato come fosse da ritenersi provato che il datore di lavoro avesse fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, il che, per le ragion i anzidette, è da escludersi nel caso di specie.
5. Il ricorso va pertanto rigettato. All’epilogo consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso nella camera di consiglio del 3 maggio 2016