Omessa manutenzione delle reti poste a protezione dei lavoratori e degli utenti del campo da golf: DVR e tutela dei terzi.
Presidente: Brusco
Relatore: Dovere
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Torino ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.V. per il reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno di F.F. per essere l’azione penale improcedibile per mancanza di querela. A siffatta determinazione il Tribunale è pervenuto escludendo che nella condotta colposa ascrivibile al C. fossero rinvenibili, oltre ad un profilo di colpa generica, anche profili di colpa specifica consistenti in violazioni di norme prevenzionistiche. In sostanza, per il Tribunale il C. aveva determinato le lesioni patite dalla F. omettendo, in qualità di Presidente del Golf Club (omissis), di manutenere adeguatamente le reti presenti a protezione del “campo approcci”, di talché il (omissis) la F. , che era in loco perché impegnata in una lezione di ripasso, veniva colpita all’occhio sinistro dalla pallina da golf che, lanciata da un giocatore dalla vicina buca 3, non veniva trattenuta dalle reti lacerate e forate poste tra il campo approcci e la menzionata buca. Le violazioni prevenzionistiche individuate dall’organo dell’accusa (l’omessa valutazione dei rischi da errori di lancio per lavoratori ed utenti del campo da golf e l’omessa adozione delle misure di prevenzione contro tali rischi nonché il mancato mantenimento degli impianti in condizioni di sicurezza per gli utenti), non escluse dal Tribunale, venivano però giudicate prive di efficienza causale rispetto all’evento, giacché per il giudice questo era stato determinato non già dalla mancata predisposizione delle misure ma dalla loro mancata corretta manutenzione; non già dalle modalità di realizzazione dell’impianto ma dalla sua cattiva manutenzione.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino deducendo violazione di legge. Per l’esponente il Tribunale non ha considerato che la manutenzione è specifica misura di prevenzione e protezione antinfortunistica; come tale, di essa si deve tener conto nel documento di valutazione dei rischi.
Sotto un diverso profilo l’esponente rammenta che le cautele antinfortunistiche si indirizzano anche verso gli estranei al rapporto di lavoro occasionalmente presenti nell’ambiente di lavoro.
Diritto
4. Il ricorso è fondato, per i motivi di seguito precisati.
4.1. La sentenza impugnata evidenzia una incompleta ricognizione del quadro normativo e una lettura parziale dell’imputazione.
La prima asserzione formulata dal giudice è che il sinistro “non è stato determinato da una non corretta installazione dei dispositivi di protezione… bensì da una non corretta manutenzione degli stessi”; e che l’infortunio “non scaturisce da difetti legati alla realizzazione dell’impianto (…) o delle attrezzature ivi presenti, bensì da una cattiva manutenzione delle strutture esistenti”. Dal che viene derivato che la sola colpa ascrivibile all’imputato eziologicamente connessa all’infortunio è una colpa generica, mentre le trasgressioni prevenzionistiche contestategli – la cui sussistenza viene incidentalmente affermata – non avrebbero natura di causa.
Per il giudice tali trasgressioni consisterebbero nella “omessa redazione del documento di valutazione da parte del Presidente del GOLF CLUB”. Ma tanto costituisce una arbitraria revisione del capo di imputazione, che contesta all’imputato non solo l’omessa valutazione nel relativo documento del rischio per lavoratori e terzi costituito dal lancio delle palline da gioco nonché l’omessa indicazione in tale documento delle misure di prevenzione e di protezione adottate contro i rischi di incidenti dovuti a colpi sbagliati ma anche il non aver mantenuto “costantemente in efficienza barriere e ripari naturali e artificiali idonei,…, a trattenere le palline vaganti…”.
Tanto pone a nudo l’errore di diritto nel quale è incorso il giudice territoriale: una volta ritenuto di acquietarsi di fronte alle conclusioni del c.t. del p.m., per il quale l’omessa esecuzione della valutazione dei rischi non permette di valutare la regolarità della messa in opera dei dispostivi di protezione rappresentati da reti e filari di alberi di alto fusto, il decidente non avrebbe potuto comunque operare una indebita scissione tra la manutenzione degli impianti e la valutazione dei rischi, concludendo che la trasgressione agli obblighi in punto di valutazione non rifluisce sul processo causale che è esitato nell’infortunio della F. .
Invero, l’obbligo datoriale di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 28, co. 1 d.lgs. n. 81/2008) non può che ricomprendere anche il rischio derivante dall’utilizzo e dalla vetustà delle cose. E che l’utilizzo degli apparecchi, dei macchinari, degli impianti, dei luoghi di lavoro, delle attrezzature di lavoro, dei DPI determini un progressivo scadimento degli originari livelli di sicurezza è non solo evenienza di comune conoscenza ma è evento specificamente preso in considerazione dal legislatore prevenzionistico. Come già rilevato dal P.m. ricorrente, l’art. 15, che indica le “Misure generali di tutela”, al comma 1, lett. z) menziona “la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti”; l’art. 64, nell’elencare gli obblighi del datore di lavoro rispetto ai luoghi di lavoro, recita che questi provvede affinché “e) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori” e che “e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento”. Altre disposizioni prescrivono gli obblighi di manutenzione delle attrezzature di lavoro (artt. 71 e 72) e dei DPI (art. 77). In sintesi, se nel dettare i contenuti della valutazione dei rischi l’art. 28 non utilizza il termine manutenzione, espressa menzione ne viene fatta diffusamente all’interno del “Codice della sicurezza”. Di talché la stessa valutazione dei rischi deve avere riguardo alle attività di manutenzione necessaria a preservare l’efficienza delle misure di prevenzione individuate.
Peraltro, anche sul piano testuale, il concetto di realizzazione (di “attuazione delle misure da realizzare” si legge appunto nell’art. 28) reca in sé tanto il concetto di attività “creatrice”, ovvero che produce per la prima volta un determinato risultato, sia il concetto di attività di conservazione di quanto prodotto: la realizzazione è insomma anche l’attività permanente che consente il mantenimento nel tempo di quanto realizzato.
Di tale interpretazione vi è traccia in un precedente di questa Corte, che a proposito dell’obbligo di manutenere un impianto anche nel caso in cui del medesimo siano previste revisioni periodiche predeterminate, ha affermato che nel concetto di realizzazione rientra anche quello di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’apparecchio per renderlo conforme alle norme della buona tecnica (Sez. 4, n. 12809 del 01/10/1998 – dep. 05/12/1998, Marchetti D, Rv. 212402).
In conclusione, può quindi formularsi il seguente principio di diritto: “in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, tra le misure che la valutazione dei rischi deve prevedere rientra anche l’attività di manutenzione necessaria a preservare nel tempo l’idoneità e l’efficienza delle misure di prevenzione individuate”.
4.2. Alla luce del principio appena espresso la sentenza impugnata risulta erronea. L’omessa manutenzione delle reti poste a protezione dei lavoratori e degli utenti del campo da golf rispetto al rischio determinato dal lancio di palle da gioco nel corso dell’attività sportiva non contravviene ad una regola di generica prudenza e/o di diligenza, ma va ricondotta – come correttamente fatto dall’ufficio del p.m. – alla violazione degli artt. 17 e 28 d.lgs. n. 81/2008. Ove la valutazione del rischio fosse stata compiuta, sarebbero state identificate le metodiche di rilevamento dei difetti delle reti e degli altri impianti, i turni di manutenzione, le misure da adottare in occasione delle riparazioni o delle sostituzioni delle reti e così seguitando. Il mancato compimento di tale fondamentale attività di analisi e progettazione ha determinato l’assenza o l’inefficienza della manutenzione affermata nella sentenza; con l’esito rappresentato dall’infortunio occorso alla F. .
4.3. Appare opportuno aggiungere, per quanto non posto in discussione né dal giudice né dalle parti, che la ricorrenza di una violazione prevenzionistica nel nucleo della condotta illecita va ribadita pur se la persona che ne ha subito gli effetti non risulta legata al trasgressore da un rapporto di lavoro. Risulta ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale per il quale, in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (Sez. 4, n. 23147 del 17/04/2012 – dep. 12/06/2012, De Lucchi, Rv. 253322; Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009 – dep. 17/11/2009, Morelli, Rv. 245527, in motivazione; Sez. 3, 29/11/2007, Sava; Sez. 4, 10/11/2005, Proc Trento in proc. Sartori).
Con riguardo ai testi previgenti al Codice della sicurezza, e segnatamente all’art. 1 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, espressamente richiamato dal capo 1 d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, si è osservato che quando quello menziona i “lavoratori subordinati e ad essi equiparati” non intende individuare in costoro i soli beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha la finalità di definire l’ambito di applicazione di detta normativa, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all’osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo art. 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perché disciplinate da appositi provvedimenti. Se ne è dedotto che, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati, ex art. 3, comma secondo, dello stesso d.P.R. n. 547 del 1955, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende all’attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dai citati d.P.R. 547 del 1955 e 164 del 1956; obbligo che prescinde completamente dalla individuazione di coloro nei cui confronti si rivolge la tutela approntata dal legislatore. Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art. 43 cod. pen. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, stesso codice, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione (Sez. 4, n. 2383 del 10/11/2005 – dep. 20/01/2006, Losappio ed altri, Rv. 232916).
I principi appena rammentati mantengono inalterata la loro valenza pur dopo l’emanazione del d.lgs. n. 81/2008, il cui articolo 3 riproduce l’opposizione testuale evidenziata dalla massima sopra riportata.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata e gli atti vanno trasmessi al Tribunale di Torino per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Torino per l’ulteriore corso.