Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2017, n. 4706

Le lesioni furono cagionate dal cattivo funzionamento del macchinario, che aveva indotto gli operai ad un lavoro più impegnativo e difficile di quello consueto: essi si dovevano occupare, infatti, anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina.
La considerazione, svolta dai giudici di appello, che tale lavoro fosse oggettivamente più pericoloso del precedente, ed imponesse, come tale, una specifica preparazione sui maggiori rischi connessi al guasto del macchinario e l’adozione di misure di sicurezza adeguate allo scopo, è immune da censure.
Deve in particolare osservarsi che il lavoratore era stato all’epoca del suo ingresso in azienda formato sui rischi inerenti la rifilatura manuale di pannelli già sagomati da una macchina tagliatrice: per fare ciò era stato dotato di un guanto di protezione e di un taglierino di piccole dimensioni.
Il cattivo funzionamento della macchina aveva reso necessaria un’attività manuale più incisiva ed intensa, in quanto doveva essere impressa nel taglio del pannello una forza maggiore da parte del lavoratore addetto, tanto che il guanto antitaglio era risultato uno strumento di protezione insufficiente, circostanza dimostrata da pregressi simili infortuni verificatisi nonostante l’uso del guanto.
La formazione svolta in passato e la scelta dello strumento individuale di protezione era risultata perciò insufficiente, mentre sarebbe stato necessario – come ben evidenziato dalla Corte di merito – valutare il nuovo e maggiore rischio e considerare l’utilizzo di dispositivi di protezione con caratteristiche diverse, idonee a fronteggiare il mutamento e l’aumento di difficoltà del lavoro connessi al guasto del macchinario.
Per la gestione del taglio aggravato dalla macchina non funzionante occorreva una informazione appropriata sullo specifico rischio, doveva essere valutato se l’operazione di taglio dei pannelli (non la semplice rifilatura) potesse essere tutta affidata alla mano dell’uomo e se fossero necessari strumenti diversi dal piccolo cutter in dotazione.
La valutazione del rischio effettuata nel 1998 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro.
Le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno infatti individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto.
Nel caso in esame il rischio nuovo era dovuto al guasto della macchina tagliatrice.

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza: 30/11/2016

Fatto

1. La Corte d’Appello di Napoli, decidendo sull’appello del P.M. e della parte civile avverso la pronuncia con cui il locale Tribunale aveva assolto I.G. dal reato di lesioni colpose ai danni del lavoratore RA.A., dichiarava estinto il reato per intervenuta prescrizione e condannava l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile ed alla rifusione delle spese sostenute in entrambi i gradi di giudizio.
Allo I.G., direttore dello stabilimento R. di Pignataro Maggiore, era stata contestata una colpa generica e la violazione degli artt. 22, 37 e 43, comma 3, D.Lgs.n. 626/94, per omessa informazione del lavoratore in relazione alle fasi lavorative cui era addetto e alle operazioni svolte, per omessa formazione sulle modalità d’uso delle macchine e delle attrezzature utilizzate durante il lavoro, per non aver fornito i mezzi di protezione individuali adeguati ai rischi presenti durante la lavorazione. Era così accaduto che il 10 maggio 2006, a causa del cattivo funzionamento del macchinario per il taglio dei tessuti, il RA.A., insieme ad altri operai, si era dovuto occupare anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina: aveva allora fatto uso di un taglierino che gli era scivolato e gli aveva procurato una lesione al tendine del dito indice della mano sinistra. Diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, lo I.G., dato l’aumento del rischio connesso alle mutate condizioni di lavoro, avrebbe dovuto istruire l’operaio circa la modalità di lavorazione connessa alle maggiori difficoltà determinate dal guasto della macchina ed integrare i mezzi a disposizione del RA.A. con misure adeguate allo scopo, anche perché si erano in precedenza verificati altri simili incidenti che rendevano l’evento prevedibile.
2. Ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, limitatamente al capo della sentenza relativo alle statuizioni civili, articolando tre distinti motivi.
2.1. Con un primo motivo deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non vi era stato alcun mutamento di mansioni del lavoratore, addetto allo stampaggio di pannelli insonorizzati e alla collegata rifilatura manuale dei medesimi; per tali mansioni il RA.A. era stato formato ed anzi era esperto; il mero incremento sul piano quantitativo delle operazioni di taglio manuale non comportava un mutamento qualitativo-tipologico delle mansioni né un’ulteriore difficoltà nelle operazioni di taglio e rifilatura, l’operaio indossava guanti anti taglio ed utilizzava un cutter e la Corte non indica quali sarebbero state le diverse misure precauzionali da adottare.
2.2. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge. Non vi era stato un mutamento delle mansioni che avrebbe comportato una nuova formazione secondo la disciplina giuslavoristica, dunque il sistema di prevenzione già in atto era corretto.
2.3. Con un terzo motivo prospetta ancora violazione di legge a fronte degli artt.2087 c.c. e 42 c.p. La posizione di garanzia del datore di lavoro non è di ampiezza e di natura tali da consentire che il medesimo possa essere ritenuto penalmente responsabile di ogni infortunio che avvenga al lavoratore: nel caso di specie la Corte di Napoli non ha individuato alcuno specifico inadempimento agli obblighi di protezione previsti; l’imputato è stato ritenuto responsabile in base al mero richiamo alla norma di chiusura di cui all’art. 2087 c.c., sostanzialmente qualificando la responsabilità del datore di lavoro in termini di responsabilità oggettiva; era necessario invece esaminare se e come l’infortunio sarebbe stato razionalmente evitabile attraverso l’adozione di un dispositivo di protezione diverso.

Diritto

1. Il ricorso non è fondato.
I motivi possono essere analizzati congiuntamente in quanto volti tutti a dimostrare che non vi era stato un mutamento quantitativo o qualitativo delle mansioni del RA.A., tale da imporre al datore di lavoro una nuova valutazione del rischio e conseguentemente una nuova formazione dei lavoratori e l’adozione di nuovi strumenti di protezione.
2. Il Tribunale aveva motivato la pronuncia assolutoria sviluppando tre principali argomenti: l’avvenuta formazione e informazione del RA.A. nel mese di aprile 1998 sugli specifici rischi (di ustione e di taglio di mani ed avambracci) connessi allo svolgimento delle proprie mansioni di addetto ai reparti di “stampaggio ed accoppiamento” presso la R., nonché sull’uso dei dispositivi di sicurezza e di protezione; l’insussistenza di qualsiasi mutamento di mansioni ovvero di introduzione di nuove attrezzature, che secondo la disciplina dettata in materia antinfortunistica avrebbe comportato il rinnovo nel tempo di tali attività di formazione ed informazione, poiché l’operaio era stato destinato, fin dal suo primo ingresso nello stabilimento nell’aprile 1998, allo stampaggio ed alla collegata rifilatura manuale dei pannelli insonorizzanti, attività per la quale era stato, come detto, debitamente formato ed addestrato e possedeva un’esperienza pluriennale; il dispositivo individuale antitaglio (guanto) che era stato fornito dal datore di lavoro e che l’operaio utilizzava al momento dell’infortunio era adeguato alla lavorazione eseguita, poiché nella scheda tecnica del prodotto era attestato un livello di resistenza al taglio adeguato rispetto al cutter concretamente impiegato nel caso di specie (taglierino con impugnatura di plastica e lama metallica sottile, della lunghezza regolabile di alcuni centimetri).
3. La Corte di Napoli, con argomentazioni del tutto corrette in diritto ed immuni da vizi logici, e facendo buon governo delle specifiche norme in materia di protezione del lavoratore indicate nel capo di imputazione, ha affermato ai fini civili, atteso il decorso della prescrizione, la responsabilità dello I.G. in relazione all’Infortunio occorso al RA.A., sul rilievo che era mutato il livello di pericolosità del lavoro da questi svolto.
In primo luogo è stata esclusa la concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione e, per altro verso, ogni condotta incongrua del lavoratore: quest’ultima infatti – come più volte affermato da questa Corte Suprema (ex multis, Sez.Un., 24.4.2014, n.38343, Espenhahn e altri) – può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento solo quando si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso, mentre nel caso di specie l’evento e la condotta omissiva che vi ha dato causa sono riconducibili proprio all’area di rischio tipica della prestazione lavorativa.
Il datore di lavoro ha dunque l’obbligo giuridico di analizzare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre ad aggiornamenti periodici il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.lgs.n.81/2008, all’interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (così Sez.Un.cit.). Lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l’essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (così, Sez.4, 13.12.2010, n.43786, Cozzini). E ciò perché in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l’evento lesivo deve essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell’omissione all’evento che si è concretamente verificato (Sez.4, 3.3.2010, n.8622).
Tanto premesso, secondo quanto emerso dagli accertamenti in fatto – che vengono ripercorsi nell’impugnata sentenza e che esulano dal vaglio di legittimità e comunque non sono oggetto di specifica doglianza del ricorrente – le lesioni furono cagionate dal cattivo funzionamento del macchinario, che aveva indotto gli operai ad un lavoro più impegnativo e difficile di quello consueto: essi si dovevano occupare, infatti, anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina.
La considerazione, svolta dai giudici di appello, che tale lavoro fosse oggettivamente più pericoloso del precedente, ed imponesse, come tale, una specifica preparazione sui maggiori rischi connessi al guasto del macchinario e l’adozione di misure di sicurezza adeguate allo scopo, è immune da censure.
Deve in particolare osservarsi che il lavoratore era stato all’epoca del suo ingresso in azienda formato sui rischi inerenti la rifilatura manuale di pannelli già sagomati da una macchina tagliatrice: per fare ciò era stato dotato di un guanto di protezione e di un taglierino di piccole dimensioni.
Il cattivo funzionamento della macchina aveva reso necessaria un’attività manuale più incisiva ed intensa, in quanto doveva essere impressa nel taglio del pannello una forza maggiore da parte del lavoratore addetto, tanto che il guanto antitaglio era risultato uno strumento di protezione insufficiente, circostanza dimostrata da pregressi simili infortuni verificatisi nonostante l’uso del guanto.
La formazione svolta in passato e la scelta dello strumento individuale di protezione era risultata perciò insufficiente, mentre sarebbe stato necessario – come ben evidenziato dalla Corte di merito – valutare il nuovo e maggiore rischio e considerare l’utilizzo di dispositivi di protezione con caratteristiche diverse, idonee a fronteggiare il mutamento e l’aumento di difficoltà del lavoro connessi al guasto del macchinario.
Per rispettare lo standard giornaliero di produzione l’operazione di taglio manuale era divenuta più impegnativa e più rischiosa, tanto affermano i giudici di appello con argomentazione di logica evidenza.
A fronte delle mutate condizioni di lavoro lo I.G. è rimasto inerte.
Per la gestione del taglio aggravato dalla macchina non funzionante occorreva invece una informazione appropriata sullo specifico rischio, doveva essere valutato se l’operazione di taglio dei pannelli (non la semplice rifilatura) potesse essere tutta affidata alla mano dell’uomo e se fossero necessari strumenti diversi dal piccolo cutter in dotazione.
La valutazione del rischio effettuata nel 1998 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro.
Le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno infatti individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto.
Nel caso in esame il rischio nuovo era dovuto al guasto della macchina tagliatrice.
4. Per tali considerazioni il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 novembre 2016

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