Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 31 luglio 2015, n. 33779

… “Il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 494 del 1996 vigente all’epoca dei fatti (ora art. 17 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è tenuto, nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi; nel caso in cui i lavori contemplino l’opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, egli è tenuto a nominare il coordinatore per la progettazione e l’esecuzione, il quale, ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. 494 del 1996 (ora artt. 91 e 92 del D.Lgs. 81), deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale (ex plurimis, cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14167 del 12/03/2015, rv. 263150).
Nel caso di specie non vi è dubbio che presso il cantiere lavorassero una pluralità di imprese, anche con contratti in subappalto. Pertanto era doveroso, così come rilevato dal giudice di merito, prevedere nel piano di coordinamento i rischi connessi alle interferenze, come ad esempio l’uso comune di strumenti di lavoro.”

“Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia, che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, con compiti di “alta vigilanza”. Tra tali compiti, oltre al controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori, vi è anche quella della verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento e di adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute.
Pertanto anche a ritenere veritiera la circostanza allegata dal B.D., costituisce certamente una condotta negligente quella di non avere provveduto all’aggiornamento del Piano in presenza di un mutamento della situazione di fatto del cantiere.”


Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IZZO FAUSTO
Data Udienza: 12/03/2015

Fatto

1. Con sentenza del 6\5\2013 la Corte di Appello di Firenze confermava la condanna di B.D., R.A., C.G. e M.S. per il delitto di omicidio colposo in danno del lavoratore C.C. (acc. in Arezzo il 13\11\2006). Agli imputati era stato addebitato, nelle seguenti qualità:
– C.G., amministratore della “O. Costruzioni” S.r.l, società committente dei lavori relativi alla edificazione di una struttura alberghiera in loc. Battifolle di Arezzo;
– B.D., coordinatore dei lavori in fase di progettazione ed esecuzione (per conto della O.);
– R.A., legale rapp.te della “Edil R.A.” s.r.l., impresa subappaltatrice;
– M.S., dipendente della ditta R.A. e operatore della gru;
di avere cagionato la morte del C.C., per colpa consistita in imprudenza, negligenza e violazione di norme di legge e segnatamente in quanto: il C.G. ed il Ci., in violazione del disposto degli artt. 3 D.Lgs. 626/94 e 3 D.L.gs 494/96, avevano omesso di valutare adeguatamente i rischi per la sicurezza dei lavori all’interno del cantiere che peraltro prevedeva la presenza contemporanea di più imprese (posto che la ditta appaltatrice G. s.p.a., di cui il Ci. era unico dipendente, non aveva né il personale né i mezzi tecnici necessari per la realizzazione dell’opera, avuto riguardo all’entità del cantiere superiore ai 200 uomini/giorno ad esecuzione dei lavori comportanti rischi particolari); il Be. ed il R.A. per avere, in violazione degli artt. 35 co. IV ter e V DLgs. 626/94, omesso di provvedere affinché nell’uso di attrezzature destinate a sollevare carichi fossero utilizzati idonei accessori di sollevamento e dispositivi di aggancio e che le attrezzature di sollevamento (gru e torre) fossero riservati a lavoratori all’uopo incaricati; il B.D., per avere in violazione dell’art. 5 D.Lgs. 494/96 omesso di valutare adeguatamente nel P.S.C, i rischi per la sicurezza dei lavoratori all’interno del cantiere, che peraltro presentava le caratteristiche di cui all’art. 3 comma III D.Lgs. 494/96 e cioè presenza contemporanea di più imprese appaltatrici e sub appaltatrici (neanche individuate nel documento – entità del cantiere superiore ai 200 uomini/giorno ed esecuzione di lavori comportanti rischi particolari), con omessa indicazione delle fasi di lavoro assegnate alle imprese operanti nel cantiere e conseguente omessa valutazione dei relativi rischi, omettendo in particolare di indicare il personale qualificato a movimentare la gru a torre e le procedure da seguire per utilizzare in sicurezza tali mezzi meccanici.
A seguito di tali violazioni decedeva C.C., dipendente e socio della “A. Scavi”, ditta sub-appaltatrice di alcuni dei lavori. Infatti quest’ultimo, dovendo movimentare pesanti copri tombini in cemento armato (del peso di kg. 400), aveva provveduto, per mancanza di adeguata preparazione antinfortunistica (dipendente dalle omissioni sopra descritte), a collegare detti copri tombini con il gancio di prelievo della gru a torre mediante un dispositivo precario e assolutamente inidoneo (imbracatura di stoffa con alle estremità due ganci di ferro del diametro di 8 mm). Dal suo canto l’operatore della gru a torre, M.S., provvedendo a spostare detto carico portandolo ad una altezza di circa tre metri dal suolo (quando sarebbe bastata un’altezza di pochi centimetri), arrestando inoltre il braccio della gru al fine di cambiarne la direzione di rotazione, aveva provocato una oscillazione del carico che, combinandosi con la precaria imbracatura, aveva determinato la caduta del carico che aveva colpito in pieno il C.C. provocandone l’istantaneo decesso. In sede di appello venivano confermate le condanne di R.A., B.D. e M.S., veniva dichiarato non doversi procedere a carico del C.G. per morte dell’imputato; venivano infine confermate le statuizioni civili anche in danno dei responsabili civili “O. Costruzioni” s.r.l. ed “Edil R.A.” s.r.l.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati B.D. e R.A. e del Responsabile Civile “O. Costruzioni”, lamentando :
2.1. per B.D.: a) il vizio della motivazione laddove la corte di merito non aveva colto la assoluta abnormità del comportamento della vittima, la quale aveva utilizzato per movimentare un pesante carico un gancio artigianalmente costruito. E’ impensabile che in un cantiere destinato alla erezione di un’opera faraonica, l’Arezzo Park Hotel, non vi fossero ganci a norma, tenuto conto della mole di materiale già movimentato. Inoltre, il lavoratore dovendo indicare al manovratore dove posizionare il copri tombino, non doveva collocarsi sotto al carico, altrimenti non sarebbe stato visibile dal gruista. Tutto ciò portava a ritenere imprevedibile ed abnorme la condotta tenuta dalla vittima; b) il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta inadeguatezza del PSC. Tale piano, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza era stato redatto prima del conferimento dei subappalti, ma in limine al rapporto tra appaltante ed appaltatore. Inoltre, la fattispecie che riguardava il processo, non era inerente alla interferenza tra più imprese, ma la diversa problematica dell’utilizzo comune di attrezzature; c) premesso quindi che il caso in questione non riguardava la interferenza di più imprese, svolgenti contemporaneamente autonomi lavori, ma il fatto che dipendenti di due aziende operavano utilizzando in comune la stessa attrezzatura, il PSC non doveva considerare come rischio di “interferenza” ogni fase in cui doveva essere utilizzata la gru. Nei piani di sicurezza era stato previsto che la movimentazione della gru avvenisse solo ad opera del gruista della Edil R.A. che doveva essere esperto e formato; inoltre la gru doveva essere sempre utilizzata da una impresa alla volta; inoltre vi erano specifiche indicazioni sulle modalità di imbracatura. Non aver rilevato la correttezza della condotta del B.D., costituiva una erronea applicazione della legge prima ancora che un vizio di motivazione; d) il difetto di motivazione in relazione alla totale assenza nella sentenza di una giustificazione in relazione alla prova controfattuale che la pretesa azione doverosa avrebbe, se tenuta, evitato l’evento.
2.2. per R.A. : a) la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta omissione da parte dell’imputato dell’obbligo di adeguata formazione del gruista. Il M.S. aveva partecipato a due corsi : uno il 2\3\2005, sui rischi dell’attività edile; l’altro il 14\3\2006 sull’uso dei mezzi di sollevamento. L’affermazione contenuta in sentenza circa la inadeguatezza della formazione era pertanto apodittica ed incideva in modo errato sulla ritenuta presenza del nesso causale.
2.3. per la “O. Costruzioni” : a) il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta insufficienza del PSC. In tale documento vi erano specifiche indicazioni sul corretto utilizzo della gru; inoltre l’assenza di indicazione della presenza di altre imprese subappaltatrici era irrilevante, in quanto l’incidente non si era verificato per una sovrapposizione di lavorazioni, ma per lo scorretto utilizzo della gru e delle modalità di aggancio del carico. La stessa vittima era stata negligente nel non comunicare, come previsto, al B.D. l’inizio delle operazioni di sollevamento; b) il difetto di motivazione, laddove non era stata riconosciuta al abnormità della condotta della stessa vittima che aveva reciso ogni legame causale con la condotta di soggetti legati alla O..

Diritto

1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
2. La Corte di merito è giunta alla conferma della pronuncia di condanna di primo grado sulla base delle seguenti considerazioni :
– tre cause avevano determinato il sinistro: l’uso di un dispositivo di sollevamento empirico (un ferro piegato) ed inidoneo allo scopo di sollevare un copri tombino in cemento di rilevante peso; l’immotivato sollevamento del carico a tre metri di altezza; l’assenza di specifiche regole di coordinamento tra lavoratori delle plurime imprese;
– di ciò erano responsabili il C.G., amministratore della società committente ed il coordinatore per l’esecuzione B.D., i quali nei piani di sicurezza non avevano previsto il coordinamento delle imprese con specifico riferimento all’utilizzo della gru; inoltre non erano stati previsti i requisiti per l’utilizzo del predetto strumento, poi affidato al M.S., soggetto privo di una specifica qualificazione di “gruista”;
– era responsabile anche il R.A., amministratore della omonima società sub appaltatrice, che aveva dato incarico ad un soggetto privo di qualificazione professionale di utilizzare la gru, peraltro senza controllare che tale utilizzo avvenisse con modalità di sicurezza; del fatto doveva, inoltre, rispondere il M.S. in ragione della sua palese imprudenza.
Quanto ai dubbi sollevati dai difensori degli imputati nei motivi di appello, in ordine all’esatta dinamica dell’incidente, all’abnormità della condotta della vittima e all’assenza di prova certa del nesso causale tra le condotte contestate e l’evento mortale, ha osservato la Corte di Appello che:

– il comportamento del lavoratore non era stato abnorme, tenuto conto che dovendo movimentare i copri tombini, in assenza si imbracature a norma, aveva risolto il problema in modo artigianale, ma prevedibile in considerazione della omessa fornitura degli idonei strumenti di lavoro;
– dall’istruttoria svolta era emerso con certezza che al momento del fatto fosse il M.S. alla guida della gru; peraltro nessuna diversa indicazione era stata data dal M.S. e dal R.A.; il M.S., dipendente della “R.A.”, operava unitamente al C.C., dipendente della “A. Scavi” deputata al posizionamento dei copri tombini;
– il M.S. era privo di specifica qualificazione, avendo svolto solo poche ore di formazione. Di ciò vi era riscontro nel POS della “R.A.” ove era qualificato come carpentiere e nel libro matricola, ove veniva indicato come muratore. Delle conseguenze della sua inidoneità a svolgere le mansioni di gruista, come visto causalmente legata all’incidente, dove rispondere lo stesso M.S. ed il suo datore di lavoro;
– il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) redatto dal B.D. era inadeguato, tenuto conto che indicava solo due imprese presenti in cantiere (la “O.” e la “A. Scavi”) e non erano neanche citate le altre imprese quali la “G.” e la sub appaltatrice “Edil R.A.”. Trattandosi di un appalto da 5 milioni di euro, era prevedibile l’interferenza di pluralità di imprese, ma i connessi rischi non erano stati valutati nel PSC, come ad esempio la regolamentazione dell’uso dei mezzi comuni; di ciò dovevano rispondere sia il responsabile della “O.” (C.G., deceduto) che il coordinatore B.D. : infatti nel piano non era prevista alcuna direttiva sulle modalità d’uso della gru, la predisposizione dei carichi, la pretesa della idoneità professionale dell’operatore e sull’interferenza delle pluralità di imprese presenti. Sulla base di tali valutazioni, la corte di merito confermava le condanne.
3. Ciò premesso, va in primo luogo esclusa l’abnormità della condotta della vittima. Questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 21587\07, rie. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il C.C. ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro di movimentazione dei copri tombini. Pertanto la circostanza che questi abbia malamente imbracato un carico, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra le condotte degli imputati e l’evento, condotte connotate da colpa, tenuto conto che le cautele omesse erano proprio preordinate ad evitare il rischio specifico (caduta del carico e schiacciamento del lavoratore) che poi concretamente si è materializzato nell’infortunio in danno del C.C..
Ne consegue che tale motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
4. Quanto alla ulteriore doglianza del B.D. e del responsabile civile, relativa alla erronea valutazione della presenza nelle lavorazioni di un rischio interferenziale, va ricordato che il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 494 del 1996 vigente all’epoca dei fatti (ora art. 17 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è tenuto, nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi; nel caso in cui i lavori contemplino l’opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, egli è tenuto a nominare il coordinatore per la progettazione e l’esecuzione, il quale, ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. 494 del 1996 (ora artt. 91 e 92 del D.Lgs. 81), deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale (ex plurimis, cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14167 del 12/03/2015, rv. 263150).
Nel caso di specie non vi è dubbio che presso il cantiere lavorassero una pluralità di imprese, anche con contratti in subappalto. Pertanto era doveroso, così come rilevato dal giudice di merito, prevedere nel piano di coordinamento i rischi connessi alle interferenze, come ad esempio l’uso comune di strumenti di lavoro.
Né a giustificare il B.D. è utile la circostanza che al momento della redazione del Piano, non fossero stati ancora stipulati i contratti di appalto e subappalto di altre ditte. Infatti è pacifico in giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 44977 del 12/06/2013, rv. 257167) che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia, che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, con compiti di “alta vigilanza”. Tra tali compiti, oltre al controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori, vi è anche quella della verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento e di adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute.
Pertanto anche a ritenere veritiera la circostanza allegata dal B.D., costituisce certamente una condotta negligente quella di non avere provveduto all’aggiornamento del Piano in presenza di un mutamento della situazione di fatto del cantiere.
5. La difesa del B.D. e del responsabile civile “O. Costruzioni” hanno sostenuto che il PSC era idoneo a realizzare gli scopi di sicurezza cui era preordinato.
Sul punto il ragionamento contrario esplicitato dalla Corte di merito è ampiamente convincente. Ha evidenziato il giudice di merito che il PSC redatto da B.D. il 25\3\2005 (quindi ben un anno e mezzo prima dell’incidente mortale), prendeva in considerazione la presenza in cantiere di sole due ditte : la committente “O.” e la “A. Scavi” s.n.c. Il piano non prendeva atto che: a) la “O.” aveva appaltato l’intera opera alla “G.” s.p.a., la quale a sua volta aveva sub-appaltato i vari settori della lavorazione alla “A. Scavi” s.r.l. ed alla “Edil R.A.” s.r.l.; b) che quest’ultima aveva effettuato ulteriori sub-appalti con altre cinque imprese.
Ora, tenuto conto che la gru era movimentata dal M.S. dipendente della “Edil R.A.”, ne viene di conseguenza che il PSC non prendeva proprio in considerazione la presenza di tale azienda in cantiere, la sua adeguatezza in tema di sicurezza e la qualificazione del personale. Vero è che il PSC dettava regole generali sul buon utilizzo degli strumenti di lavoro comuni, ma la sicurezza dei lavoratori non può essere affidata a clausole di stile, ma deve tener conto della effettiva situazione di fatto del cantiere e dei lavori in corso. Il fatto che il B.D., in un anno e mezzo, non avesse apportato alcun adeguamento al Piano, pur in presenza di radicali modificazioni della realtà del cantiere e delle imprese coinvolte, correttamente è stata ritenuta una condotta gravemente negligente, in relazione causale con l’infortunio, considerato che la indicazione specifica di regole di sicurezza alle nuove imprese, il preventivo controllo dell’adeguatezza delle stesse e dei requisiti di professionalità dei dipendenti, avrebbe evitato l’evento, non consentendo ad un soggetto non qualificato di svolgere le funzioni di gruista.
6. Quanto ai motivi di ricorso del R.A. essi sono infondati e ripetono le doglianze già formulate innanzi alla Corte di appello che, sul punto, ha fornito adeguata motivazione.
Come già esposto, l’incidente è avvenuto perché il carico del copri tombino (del peso di 400 kg) era stato imbracato malamente e con mezzi di fortuna; inoltre era stato sollevato eccessivamente da terra (così consentendo alla vittima di trovarsi al disotto della sua traiettoria) ed era stato movimentato con pericolose oscillazioni.
Tali fattori causali del sinistro erano addebitabili al M.S. che aveva movimentato la gru.
Questi, però, come segnalato nelle sentenze di merito, non aveva alcuna specializzazione come gruista tanto vero che nel POS era stato indicato con la qualifica di carpentiere e nel libro matricola, come muratore.
Ne consegue che il suo datore di lavoro, il R.A., ha consentito colpevolmente che la gru fosse utilizzata da un soggetto non idoneo alla funzione, per la movimentazione di carichi di rilevante peso.
La difesa dell’imputato ha documentato che il 14\3\2006 il M.S. aveva partecipato ad un corso sui mezzi di sollevamento. Tale circostanza, come osservato dal giudice di merito, non prova che il M.S. avesse la idoneità a svolgere le funzioni di gruista, tanto vero che nei documenti ufficiali tale qualifica non gli era stata riconosciuta e del resto non bastavano poche ore di corso in una giornata per fare acquisire una professionalità per un incarico delicato quale quello di gruista.
I motivi di ricorso sul punto sono, pertanto, infondati.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Le spese in favore delle parti civili si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché a rimborsare, in solido, a favore delle parti civili le spese dalle stesse sostenute per il presente giudizio che liquida in complessivi euro 4.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 12 marzo 2015

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