Art. 136, VI c., D.lgs. 81/08: tutti gli addetti ai ponteggi devono aver ricevuto una formazione adeguata e mirata. Responsabilià dell’impresa affidataria per la caduta del lavoratore.
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 11/05/2016
Fatto
1. La Corte di Appello di Brescia, pronunciando nei confronti di P.R., con sentenza del 14.4.2015, in parziale riforma della sentenza emessa in data 18.12.2013 dal Tribunale di Bergamo, riduceva la pena inflitta a mesi 3 di reclusione, confermava nel resto, con condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza di parte civile.
2. Il giudice di primo grado, a seguito di giudizio dibattimentale svoltosi nella contumacia dell’imputato, aveva dichiarato il P.R. responsabile del reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1, 2 e 3 c.p. perché, in cooperazione colposa con B.N.D. (giudicato separatamente), nella sua qualità di Presidente del Cda della ditta P. srl, da ritenersi “ditta affidataria” ai sensi dell’art. 89 Dlgs. 81/08, cagionava per colpa lesioni gravi a Z.F., dipendente con la qualifica di operaio comune della ditta T. srl, che operava sul cantiere di via degli Alpini in regime, di subappalto, il quale, mentre stava svolgendo attività di costruzione di un ponteggio (con castelli di salita/discesa) utilizzando dei telai prefabbricati per l’accesso e la risalita degli operatori dalla vasca interrata in corso di realizzazione ed in particolare, mentre proseguiva nella realizzazione del castello mediante il posizionamento del telaio prefabbricato superiore, non riuscendo a raggiungere la posizione dalla quale il collega F.G. gli stava fornendo i telai, si disancorava dal dispositivo anticaduta che indossava (composto da un solo cordino in nylon dotato di dissipatore di energia, ma non anche del sistema retrattile) e si sporgeva perdendo l’equilibrio, così cadendo sul piano di lavoro da un’altezza di circa 1,95 metri, riportando lesioni personali consistite in “cervicalgia da trauma, contusione ginocchio destro ed avulsione dentaria” dalle quali derivava una malattia di durata superiore a 40 giorni con prognosi certa sino al 23.10.2012. Colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché nella violazione dell’art. 2087 cod. civ. e di specifiche norme di legge ed in particolare: nella violazione dell’art. 97 comma 1 D.Lgs. nr.81/08 per non avere verificato le condizioni dei lavori affidati e realizzati dalla T. srl in regime di subappalto in applicazione delle disposizioni e prescrizioni del PSC “Piano di sicurezza e coordinamento” ed in particolare per non avere verificato che la realizzazione del ponteggio avvenisse in conformità delle disposizioni del PIMUS come previsto a pag. 23 del PSC, nonostante il coordinatore della sicurezza per la fase esecutiva dei lavori ing. S.M., all’esito dei sopralluoghi effettuati sul cantiere, avesse in più occasioni invitato la ditta P. srl al rispetto delle prescrizioni volte a prevenire i rischi di caduta dall’alto e a ripristinare le necessarie protezioni. Con le aggravanti di avere commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e di avere cagionato lesioni gravi. In Cenate Sotto (BG) il 29 agosto 2012
L’imputato veniva condannato in primo grado alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali; con condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, Z.F. da liquidarsi in sede civile e al pagamento di una provvisionale di € 8.000, oltre alla rifusione delle spese processuali in favore della stessa parte civile; con sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, della somma liquidata a titolo di provvisionale.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, P.R., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’alt. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Erronea applicazione delle norme relative agli obblighi del datore di lavoro dell’impresa affidataria.
Il ricorrente riepiloga gli obblighi normativi a carico del datore di lavoro, rilevando, in relazione alla contestazione sull’omessa verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati e sull’applicazione delle disposizioni e prescrizioni del piano sicurezza e coordinamento, che per adempiere a tale obbligo necessita la predisposizione di un programma di lavori concordato con la direzione lavori, il coordinatore per l’esecuzione e i datori di lavoro delle imprese esecutrici, ossia le imprese cui l’affidatario ha subappaltato.
La Corte di appello non avrebbe valutato la portata della modifica legislativa del DL 107/90 con la quale l’obbligo di vigilare sulla sicurezza dei lavori, è stato modificato nell’obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza, disponendo un obbligo di mezzi e non di risultato.
La sentenza impugnata non opererebbe alcun riferimento al coordinatore per l’esecuzione, affermando così di fatto che gli obblighi dello stesso ricadrebbero sul datore di lavoro dell’impresa affidataria.
L’attività di quest’ultimo, invece non deve essere sostitutiva di quella del coordinatore, ma solo parallela, in quanto, in caso contrario, verrebbe violato il livello minimo imposto dallo standard comunitario che individua in un soggetto qualificato professionalmente, il coordinatore per l’esecuzione, colui che concretamente deve attuare tale attività.
Il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice deve verificare la congruenza dell’impresa affidataria, nel caso in cui il piano operativo di sicurezza di un’impresa esecutrice fosse incongruo rispetto al piano operativo di sicurezza dell’impresa affidataria, ma coerente con il piano di sicurezza coordinata, prevarrà la posizione del coordinatore della sicurezza e non certo quella del datore di lavoro.
Inoltre rileva il ricorrente che le non conformità al PSC e al POS rilevate dal S.M., coordinatore per la sicurezza, non hanno un nesso di causalità efficiente rispetto all’evento avvenuto. Nessuna delle mancanze di conformità – si sostiene- ha portato il CSE ad attuare gli ulteriori compiti di proposta al committente di sospensione dei lavori, allontanamento delle imprese o addirittura risoluzione del contratto. Né vi sono mai state situazioni di pericolo grave e imminente che avrebbero richiesto al CSE l’immediata sospensione delle lavorazioni.
L’attività della P., si sarebbe svolta nel pieno rispetto delle norme, come documentato dagli atti relativi alle visite del CSE, e non corrisponderebbe al vero quanto affermato dal provvedimento impugnato sulla mancata verifica delle condizioni di sicurezza da parte del datore di lavoro.
Il P.R. sarebbe intervenuto, quando necessario, per adempire i suoi obblighi e ripristinare le eventuali non conformità rilevate dal CSE. E proprio a tal fine aveva nominato il preposto al cantiere B..
La corte di appello avrebbe interpretato tale circostanza nel senso che la P. avesse mantenuto il controllo dei lavori con la nomina della figura del capo cantiere, mentre a quest’ultimo sarebbe stato attribuito l’incarico per l’assolvimento degli obblighi dell’alt. 97, che prevede la possibilità di attribuire tale incarico ad altre figure all’Interno dell’organizzazione dell’impresa affidataria per ciascun cantiere.
Tale scelta – si sostiene- era necessitata dall’impossibilità per il P.R. di attuare direttamente gli obblighi visto il suo ruolo di datore di lavoro per tutti i cantieri dell’azienda.
b. Contraddittorietà della motivazione nella parte in cui individua la responsabilità del legale rappresentante di P. per non aver verificato che la realizzazione del ponteggio avvenisse in conformità al PIMUS.
La corte di appello avrebbe ritenuto responsabile il P.R. per non aver verificato le condizioni dei lavori affidati e realizzati dalla T. srl in regime di subappalto in applicazione delle disposizioni e prescrizioni del PSC e, in particolare per non aver verificato che la realizzazione del ponteggio avvenisse in conformità delle disposizioni del PIMUS (piano di montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi).
La stessa corte di appello ribadisce più volte che, nel caso in questione, il PIMUS non fosse stato redatto correttamente in conformità alla normativa del 2003.
Di conseguenza risulterebbe illogico ritenere il P.R. responsabile per non aver verificato che la realizzazione del ponteggio avvenisse in conformità alle disposizioni del PIMUS, quando la stessa corte ritiene il PIMUS non idoneo agli standard adeguati.
Il PIMUS era stato redatto dalla T. e nulla è stato contestato dal CSE e dalla Asl né prima né dopo l’evento. Questo dimostrerebbe che il documento era adeguato al lavoro e conteneva tutte le informazioni necessarie per garantire la sicurezza.
Il PIMUS contiene l’elenco dei lavoratori addetti alle operazioni di Montaggio del ponteggio. Nell’elenco vi è il nominativo del solo S.D., preposto al montaggio.
Nel cantiere al momento dell’Incidente vi erano il F.G., il S.D., il Z.F. e il K.. Il S.D. e il K. si trovavano vicino la gru di cantiere per preparare il materiale necessario e non erano direttamente coinvolti nel montaggio. Sia il S.D. che il K. avevano frequentato il corso per gli addetti al montaggio e smontaggio dei ponteggi.
Quindi nel cantiere vi erano due addetti competenti, ma l’attività veniva in concreto svolta dal Z.F., privo dei requisiti formativi richiesti.
Secondo la tesi sostenuta in ricorso non può, pertanto, essere il P.R., legale rappresentante della P., né il B., dallo stesso incaricato di attuare i compiti previsti dall’art. 97, tenuto a dover rispondere del perché la T. Srl abbia ritenuto di impiegare nel montaggio del castello il Z.F., pur avendo a disposizione nel cantiere degli addetti adeguatamente formati.
Il P.R. aveva il dovere di verificare che l’organizzazione della T. fosse in grado di eseguire il lavoro del montaggio del castello in modo corretto, ma non aveva l’obbligo di vigilare o far vigilare con continuità l’operato dei dipendenti del subappaltatore.
Il P.R. ha verificato che la ditta subappaltatrice fosse in grado di eseguire i lavori, tanto che la verifica aveva permesso di individuare la presenza sul cantiere di operai abilitati.
Il soggetto su cui grava l’obbligo della corretta applicazione del PIMUS è il datore di lavoro della società subappaltatrice e la vigilanza continua deve essere attuata dal preposto della stessa impresa.
In caso contrario l’obbligazione dell’impresa appaltatrice diverrebbe un’obbligazione di risultato e non di mezzi, con violazione del principio per cui nessuno può essere chiamato a rispondere di reati commessi da terzi.
c. Erronea applicazione delle norme relative all’autonomia dell’impresa esecutrice.
L’impresa subappaltatrice – si sostiene in ricorso- operava in piena autonomia nell’ambito del contesto affidatole, e dunque la scelta di impiegare il Z.F., privo dei requisiti richiesti dalla legge, pur avendo la disponibilità di personale formato, sarebbe imputabile solo alla stessa impressa nell’ambito della sua autonomia organizzativa e non può essere imputata al P.R., o al suo incaricato B..
Il ricorrente richiama un precedente della seconda sezione di questa Corte che esclude la responsabilità dell’appaltatore, nel caso in cui il subappaltatore operi in autonomia organizzativa e dirigenziale (sent. 22032/2015).
d. Erronea applicazione delle normative relative ai lavori in quota.
Si ricorda in ricorso che il testo unico 81/2008, agli artt. 105 e segg., definisce il lavoro in quota, stabilendo che si intende per lavoro in quota l’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da un’altezza di m.2 rispetto ad un piano stabile.
Nel caso di specie la caduta è avvenuta da un’altezza di m. 1,95.
Pertanto, essendo il lavoro posto a meno di m. 2 di altezza, il lavoratore non doveva essere in possesso di specifica formazione.
Sulla base di tale considerazione nessuna responsabilità può essere addebitata al P.R., dal momento che nel cantiere vi era personale in possesso dei requisiti per il lavoro da svolgere e in numero adeguato.
Il ricorrente chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente provvedimento.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è in larga parte limitato, nella sostanza, a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.
La Corte territoriale, in primis, ha ricordato che dalla documentazione prodotta davanti al Tribunale e acquisita all’udienza del 30 ottobre 2013 emerge innanzitutto che i lavori furono appaltati dalla committente Uniacque S.p.a. al Consorzio Nazionale cooperative di produzione e lavoro “Ciro Menotti” in data 20 gennaio 2011. Il Consorzio, successivamente e cioè i’8 maggio 2012, comunicò alla committente che l’esecuzione dell’appalto era stata assegnata a SERIO SOCIETÀ’ COOPERATIVA. Per effetto di tale atto, quest’ultima venne ad assumere la veste di “affidataria” ai sensi del disposto dell’alt. 89, lett. i), dlgs. n. 81 del 2008. Di questa società cooperativa faceva peraltro parte, dal 29 aprile 2011, P. S.r.l., di cui era Presidente del CDA l’odierno ricorrente.
Orbene, è indiscusso che i lavori di realizzazione della vasca furono appunto eseguiti da quest’ultima società, operante quale socia della Cooperativa Serio, e la stessa P., nei successivi atti contrattuali con le imprese esecutrici, si qualificò sempre come appaltatrice dei lavori. D’altra parte -come viene ricordato nella sentenza impugnata-, l’arch. S.M., nominato responsabile per la sicurezza dalla committente Uniacque, ha riferito al dibattimento che egli ebbe a che fare sempre con P. e che a questa rivolgeva osservazioni e rilievi in relazione alle mancanze in tema di sicurezza eventualmente riscontrate.
P. agiva, dunque, in luogo e per conto della Cooperativa formale affidataria e che quindi venne a trovarsi titolare di tutti gli obblighi previsti, in capo all’affidataria stessa, in tema di sicurezza sul lavoro.
P. con contratto in data 26 agosto 2011, premesso appunto di avere “assunto per conto della Serio Società Cooperativa” i lavori di realizzazione di ampliamento e di ristrutturazione delle vasche idriche, stipulò con SO.G. S.r.l. contratto di appalto avente a oggetto le “opere di carpenteria” (in realtà tutti i lavori di getto di calcestruzzi, casseratura e realizzazione di solai) relativi alla realizzazione dell’opera commissionata alla prima. Il primo agosto 2012, a sua volta, SO.G. S.r.l. stipulò contratto di subappalto con T. S.r.l. relativamente alle opere di muratura. In realtà, ha specificato il legale rappresentante di T. B.N.D., si trattava dei lavori di “armo, disarmo e getto” di talché, come dallo stesso riconosciuto, quanto commissionato alla sua società praticamente assorbiva l’intero arco delle lavorazioni necessarie per la realizzazione della struttura delle vasche.
Sulla ripartizione dei lavori tra le varie società la sentenza impugnata ricorda che era stato più chiaro G.R., impiegato tecnico di P., il quale aveva precisato che quest’ultima, dopo avere appaltato le opere di palificazione a ditta specializzata, eseguì direttamente le opere di demolizione del precedente bacino, gli scavi, le impermeabilizzazioni e i reinterri e che le opere di carpenteria vennero invece appaltate a T..
G.R. ha dichiarato invece di non ricordare alcun appalto conferito a SO.G. S.r.l.. Viene ricordato che anche L.B., altro dipendente di P. e capocantiere per conto di questa a Cenate di Sotto, ha ammesso che gli era affidato anche il compito di controllo sulle opere eseguite da T. e che tale compito egli svolgeva sia pure saltuariamente attesa la sua prevalente presenza in un cantiere confinante in cui la stessa P. stava costruendo una villa.
Sulla base di questi elementi di fatto, la Corte territoriale ha logicamente desunto che l’aderenza alla realtà dell’apparato documentale predisposto dai vari soggetti economici che si interessarono del cantiere di Cenate Sotto apparisse assai dubbia. Più aderente al reale è stata, perciò, ritenuta essere la prospettazione di un rapporto diretto, quantomeno sul piano operativo, tra P. e T., quest’ultima risultando essere stata sottoposta ai potere di vigilanza e di controllo esercitato dalla prima.
3. Ribadito che P. doveva considerarsi effettiva affidataria dei lavori e constatato che essa come tale agiva nei confronti delle imprese esecutrici, la Corte condivisibilmente ritiene del tutto corretto il richiamo, effettuato prima nel capo di imputazione e poi in sentenza, al disposto dell’art. 97 d.lgs. n. 81 del 2008 che, al primo comma, pone in capo al “datore di dell’impresa affidataria” l’obbligo di verificare “le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento”.
La Corte bresciana risponde con motivazione logica e congrua, e corretta in punto di diritto, alla doglianza già prospettata in quella sede dalla difesa che, proprio fondandosi sulla lettera della disposizione da ultimo richiamata e sottolineando la modifica che essa ha subito per effetto dell’articolo 65, I comma, lettera a), del d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, aveva inteso contestare la pronuncia di responsabilità di P.R.. Così come nel ricorso che ci occupa, già in appello, infatti, l’odierno ricorrente aveva sottolineato la differenza rispetto alla originaria formulazione dell’articolo (“Il datore dì lavoro dell’impresa affidataria vigila sulla sicurezza dei lavori affidati e sull’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento”) per inferirne che l’obbligo incombente a quel soggetto, originariamente “di risultato”, si configurerebbe ora come obbligo “di mezzi”.
In sostanza, secondo la tesi oggi riproposta, proprio in virtù di quella modifica legislativa l’impresa affidataria dovrebbe semplicemente verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e non già — e non più – vigilare sulla sicurezza dei medesimi; per quest’ultimo aspetto risponderebbe solo l’impresa esecutrice nell’ambito della sua autonomia di impresa sancita nel contratto di appalto.
In questa prospettiva perderebbero dunque di significato i rilievi censori formulati in sentenza contro l’operato di P.R. e dunque l’addebito di non avere assicurato la presenza di alcun addetto della società P. sul cantiere e quindi di non avere controllato che le operazioni di montaggio del ponteggio avvenissero in conformità a quanto previsto nel Piano di Sicurezza e di Coordinamento.
Ebbene, già la Corte territoriale aveva correttamente confutato tali conclusioni pur dando alla lettera della norma il significato preteso dallo stesso appellante. Secondo i giudici del gravame del merito, infatti, affermare che P.R. dovesse verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento significa che quegli, nell’affidare i lavori a T. doveva verificare, in primo luogo, che quest’ultima avesse una struttura operativa idonea a eseguire, in condizioni di sicurezza, quelle operazioni di “armo, disarmo e getto” oggetto del subappalto. Se questa verifica si fosse compiuta con un minimo di diligenza (e non limitandosi alla mera acquisizione cartacea di documenti che appaiono formati più per burocratico e formale ossequio alle leggi che per autentica sollecitudine per il tema della sicurezza sul lavoro) ci si sarebbe immediatamente avveduti che il Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio dei ponteggi che, a come richiesto dal Piano di Sicurezza e di Coordinamento, era stato redatto da T. contemplava la presenza di un solo addetto abilitato a montare e smontare il ponteggio e dunque di una forza lavoro assolutamente inadeguata alla bisogna.
4. All’odierno ricorrente, in altri termini, è contestato di non avere tenuto conto della complessiva inadeguatezza di mezzi dell’impresa cui aveva affidato il montaggio dei ponteggi a realizzare i lavori nel rispetto del PIMUS.
Corretto e logico, sul punto appare anche il rilievo che, poiché P. seguiva con un proprio capocantiere (B.) anche i lavori delle vasche di Cenate Sotto era comunque nelle condizioni di verificare, nell’immediatezza, la palese violazione della norma che impone, per quelle mansioni, solo operai aventi adeguata e riscontrata formazione,
B., capo cantiere di P., vide infatti gli operai di T. intenti a montare i ponteggi (tre) e non ritenne di intervenire perché, a suo dire, ce n’era uno (il capo) abilitato a quelle operazioni di talché egli più non si preoccupò della cosa e si recò nel cantiere finitimo.
Come si rileva nella sentenza impugnata, effettivamente, gli operai T. impiegati nell’operazione di montaggio del ponteggio erano in numero di tre; però, contrariamente a quanto sostenuto da B., nessuno di costoro era abilitato a quelle operazioni: infatti, come ha ricordato la persona offesa Z.F., oltre a lui vi erano, come detto, F.G. e, inoltre, un certo “A.C.” che, comunque, non risulta sia stato un operatore specificamente formato. Z.F. ha parlato per il vero anche di S.D. (il soggetto inserito nel Pi.M.U.S.) ma l’ha indicato come la persona che ordinò loro di effettuare quella specifica operazione.
E’ dunque condivisibile l’assunto del provvedimento impugnato secondo cui è ben possibile che B. abbia constatato la presenza in loco del capo cantiere (T.) S.D., e cioè di una persona effettivamente abilitata, ma le sue stesse parole consentono di ritenere come la precisa e cogente disposizione data dall’art. 136, VI comma, d.lgs. n. 81 del 2008 secondo la quale tutti gli addetti ai ponteggi devono essere muniti di apposito attestato di formazione fosse assolutamente ignorata dall’Impresa affidataria; B. reputava evidentemente sufficiente che la speciale abilitazione fosse richiesta solo al preposto alla squadra di montaggio e non già a tutti gli addetti.
5. Logico appare anche che l’aver ritenuto che questa evidente sottovalutazione della portata e dello scopo di quella norma sulla sicurezza fosse propria non del solo capocantiere ma dell’intera struttura dirigenziale di P. e quindi anche del suo legale rappresentante: solo ignorando questa norma, infatti, l’impresa affidataria avrebbe potuto ritenere soddisfacente e rispondente ai criteri di sicurezza peraltro evocati dal Piano di Sicurezza e di Cordinamento un Pi.M.U.S. che prevedeva un solo addetto abilitato alle operazioni di montaggio e smontaggio dei ponteggi.
Corretta è dunque la conclusione che il datore di lavoro dell’Impresa affidataria, odierno ricorrente, non verificò adeguatamente le condizioni di sicurezza dei lavori affidati così contravvenendo al preciso obbligo previsto dalla norma sopra richiamata. Obbligo cui peraltro poteva adempiere senza la necessità di una presenza costante sul posto. Ed infatti la Corte territoriale giustamente evidenzia che la circostanza che P., nonostante il subappalto, avesse mantenuto il controllo, esercitato a mezzo del capocantiere B., sui lavori affidati a T, non consente comunque di ritenere confinato quell’obbligo di verifica nella sola fase di affidamento dei lavori; esso doveva infatti necessariamente estendersi anche nel corso dell’esecuzione dei medesimi appunto perché l’affidataria si era posta nelle condizioni di constatare in modo assiduo e continuativo il rispetto delle regole sulla sicurezza nel cantiere e di pretendere il recupero di situazioni di pericolo. B., in altri termini, constatò direttamente e personalmente che all’opera sul ponteggio vi erano lavoratori non muniti della speciale abilitazione (egli sapeva che solo il capo lo era) e si disinteressò della cosa; può ammettersi che lo fece per ignoranza della regola di sicurezza ma, se così è stato, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la responsabilità circa l’inadeguatezza del preposto non possa che farsi risalire al datore di lavoro e dunque a P.R..
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma rii maggio 2016