Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, 31 ottobre 2016, n. 45786

Silos privo di carter di protezione e infortunio del dipendente della cooperativa.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 11/10/2016

Fatto

1. Con pronunzia resa il 10 aprile 2015, la Corte d’appello di Salerno riformava la sentenza con la quale il Tribunale di Salerno -sezione distaccata di Eboli- in data 21 giugno 2007 aveva assolto I.A. dai reati a lui ascritti ex artt. 590 cod.pen. e 55, 68 e 81 del D.P.R. 547/1955, commessi in Battipaglia il 24 giugno 2002; la Corte salernitana, ritenuta la responsabilità dell’I.A., dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo per essere i reati estinti per maturata prescrizione, dichiarandolo responsabile ai fini civili e condannandolo al risarcimento del danno e delle spese di giudizio in favore della costituita parte civile V.A..
Oggetto del giudizio é un infortunio sul lavoro occorso all’V.A., dipendente della cooperativa C. che operava presso la società A. s.p.a., della quale l’I.A. era legale rappresentante; l’operaio, addetto alla pulizia dei locali della società, mentre stava espletando le proprie mansioni introduceva la mano destra nella catena di trasmissione di un silos utilizzato per raccogliere scarti di lavorazione, catena di trasmissione che, secondo la tesi accusatoria, era priva del carter di protezione; ciò provocava l’amputazione della falange del dito mignolo, dell’indice e del medio della mano destra del lavoratore.
Secondo la Corte di merito, doveva ritenersi comprovato che la catena di trasmissione fosse priva del carter e che ciò abbia cagionato l’infortunio, sulla base delle dichiarazioni rese per iscritto dall’isp. DS. dell’ASL, dei rilievi fotografici e della deposizione della persona offesa; della carenza di detto mezzo di protezione, sempre secondo la Corte territoriale, deve rispondere l’I.A., quale datore di lavoro e titolare di una posizione di garanzia e dei connessi doveri di vigilanza e controllo.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre l’I.A., per il tramite del suo difensore di fiducia.
Il ricorso consta di due motivi, più un motivo nuovo, contenuto in atto depositato in Cancelleria in data 22 settembre 2016.
2.1. Con il primo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità dell’I.A. e, in specie, alla circostanza che il silos fosse sprovvisto di mezzi di sicurezza: circostanza in ordine alla quale il primo giudice non aveva ritenuto raggiunta la prova e che invece la Corte, riformando in peius la pronunzia di primo grado, ha ritenuto accertata senza confrontarsi con la difforme decisione del Tribunale e senza adeguatamente motivare il suo diverso convincimento; ripercorrendo la versione accolta dal giudice di primo grado (secondo la quale l’V.A., scivolato presso il silos, si aggrappava all’imbocco del macchinario venendo accidentalmente a contatto con l’elemento ruotante dello stesso), il ricorrente denuncia la ricostruzione della Corte di merito come ipotesi meramente alternativa, basata sulle iniziali dichiarazioni del DS. (peraltro da questi corrette nella sua deposizione dibattimentale) e non suffragata dalle stesse dichiarazioni dell’V.A..
2.2. Con il secondo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione in riferimento alle statuizioni civili a suo carico e alla condanna alle spese di giudizio in favore della parte civile: la persona offesa non era dipendente della società di cui l’I.A. era legale rappresentante, ma di una cooperativa che operava presso detta società in regime di appalto; in base al contratto vi era un responsabile di cantiere per l’appaltatore (alternativamente A.P. o G.F.), ed inoltre non é stato esaminato l’aspetto riguardante la dotazione dei dispositivi individuali di protezione per l’V.A., dipendente – si ripete – da altra ditta, né é stata scrutinata la posizione del datore di lavoro dell’V.A. per verificarne il contributo causale nella produzione dell’evento.
2.3. Con il motivo nuovo da ultimo depositato l’esponente lamenta, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità formatasi a seguito dell’orientamento espresso dalla Corte di Strasburgo con le note sentenze Dan c. Moldavia e Manolachi c. Romania, che la Corte di merito abbia condannato l’imputato agli effetti civili, dichiarando prescritti i reati, dopo la pronunzia assolutoria di primo grado, basandosi esclusivamente o in modo determinante su una differente valutazione delle fonti dichiarative escusse nel precedente grado di giudizio e senza procedere a nuova assunzione delle stesse.
3. All’odierna udienza il difensore della parte civile V.A. ha rassegnato conclusioni scritte e depositato nota spese.
 

Diritto

 
1. Il primo motivo di ricorso é fondato ed assorbe ogni altra questione.
Si premette che il controllo di legittimità della sentenza d’appello che abbia riformato quello di primo grado non si estende, in caso di diversità di valutazioni tra i due giudici di merito, alla decisione di primo grado, ferma restando la regola per la quale la decisione d’appello difforme da quella di primo grado deve fornire adeguata confutazione delle ragioni poste a base di quest’ultima (Sez. 6, Sentenza n. 26810 del 07/04/2011, Velia, Rv. 250470). Ne consegue che, nel giudizio di legittimità, anche a seguito della riforma introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non potendo l’esame estendersi oltre i limiti istituzionali, la
valutazione degli elementi probatori rimane sempre affidata esclusivamente all’apprezzamento del giudice d’appello (Sez. 6, n. 27061 del 27/05/2008, Donno, Rv. 240583).
2. Venendo al caso di specie, la motivazione resa dalla Corte salernitana nella rivalutazione degli elementi di prova in ordine alla presenza o meno del carter di protezione (la cui mancanza avrebbe, secondo la tesi accusatoria, cagionato il ferimento dell’V.A.) appare affatto carente e contraddittoria: il convincimento della Corte di merito risulta infatti fondato, nell’essenziale, sulle dichiarazioni rese per iscritto dall’isp. DS. nell’Informativa e sulle dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa. Tuttavia, sulla base delle deposizioni dibattimentali dei due dichiaranti – riportate per estratto in allegato al ricorso – non é dato pervenire ad alcuna certezza in proposito, atteso che il DS., sentito in aula, dichiara di avere in un primo tempo ritenuto che mancasse la protezione, ma di avere successivamente verificato che essa era presente; l’V.A., dal canto suo, riferisce unicamente di essere andato ad aggrapparsi con la mano a una piastra (una sporgenza) del silos, e di avere successivamente saputo che “c’era una vite senza fine, una cosa che mantiene per non fare accumulare la plastica”, senza in alcun modo riferire in ordine alla presenza o meno del carter.
2.1. Con particolare riguardo alle dichiarazioni rese dall’isp. DS. e dall’V.A. in dibattimento, la stessa Corte territoriale dà peraltro atto che il convincimento assolutorio era stato motivato in primo grado sulla base del fatto che il DS. non era riuscito ad individuare la causa dell’accaduto e aveva dichiarato di avere ritenuto che il carter fosse mancante “per mera deduzione”; mentre la persona offesa, dal canto suo, “non era stata in grado di riferire le modalità di verificazione dell’incidente”.
2.2. Su tali basi, il succinto incedere argomentativo della Corte territoriale si appalesa invero insufficiente e per certi versi contraddittorio, non avendo fornito una chiara e certa confutazione del convincimento del primo giudice ed essendosi limitato ad attribuire alle dichiarazioni dei testi DS. ed V.A. un contenuto probatoriamente univoco, laddove esso non risulta essere stato tale, né alla stregua del dato testuale delle dichiarazioni rese in aula dai due testi, né alla stregua di quanto riportato per estratto dalla stessa Corte di merito in ordine al contenuto delle loro deposizioni valutato in primo grado.
In tale, non esaustivo quadro probatorio ben avrebbe potuto la Corte territoriale procedere anche in via officiosa a nuova audizione delle suddette fonti di prova ex art. 603, comma 3, cod.proc.pen..
3. Pertanto l’impugnata sentenza va annullata con rinvio, ex art. 622 cod.proc.pen., al giudice civile competente per valore in grado d’appello, che é tenuto a valutare la sussistenza della responsabilità dell’imputato secondo i parametri del diritto penale e non facendo applicazione di regole proprie del diritto civile: ciò in quanto, poiché l’azione civile é esercitata nel processo penale, il suo buon esito presuppone l’accertamento della sussistenza del reato. A tal fine, detto giudice potrà, ove lo ritenga opportuno, esercitare i poteri officiosi di cui al combinato disposto degli artt. 257 e 359 c.p.c., considerato che vi é stata assoluzione dell’imputato in primo grado e tenuto conto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo in varie pronunce (Dan v. Moldavia, Corte Edu, 5 luglio 2011; Manolachi v. Romania, Corte EDU, III sez., 5 marzo 2013; Flueras v. Romania, Corte Edu, III sez., 9 aprile 2013; Corte Edu, III Sez., sent. 4 giugno 2013; Hanu v. Romania, rie. 10890/04; più recentemente Moinescu v. Romania, Corte Edu, III sez. 15.9.2015; Nitulescu v. Romania, Corte Edu, III sez. 22.9.2015) a proposito del ribaltamento dell’assoluzione fondato sulla rivalutazione cartolare della attendibilità delle testimonianze decisive.
Al giudice del rinvio va demandato altresì il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio davanti al giudice competente per valore in grado d’appello cui demanda pure la regolamentazione delle spese tra le parti quanto al presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’11 ottobre 2016.

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