Lavorazione di lastre di marmo ed emissione di polveri. Responsabilità del committente.
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA
Data Udienza: 09/03/2016
Fatto
1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 18.06.2014, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Civitavecchia il 12.03.2012, nei confronti di V.M., dichiarava non doversi procedere in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., perché estinta per prescrizione e rideterminava la pena originariamente inflitta con riguardo al delitto di cui all’art. 590 cod. pen., pure ascritto al prevenuto. Al V.M., si addebita di avere provocato lesioni personali in danno di G.G., effettuando la lavorazione di lastre di marmo, in prossimità della finestra della parte offesa.
2. Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo vizio motivazionale e violazione di legge, in relazione all’affermazione di penale responsabilità.
L’esponente osserva che i giudici di merito hanno omesso di verificare l’attendibilità della persona offesa la quale, costituitasi parte civile, era portatrice di un preciso interesse economico.
Ciò posto, il ricorrente evidenzia che, anche ritenendo accertata la sussistenza di una emissione di polveri proveniente dal cortile di proprietà del V.M. e che detta emissione abbia arrecato la lesione corneale subita dalla parte offesa, la Corte di Appello ha omesso di motivare in ordine alle ragioni per le quali di tale evento debba essere ritenuto penalmente responsabile l’odierno imputato, posto che nella stessa sentenza pronunciata dalla Corte territoriale si chiarisce che il taglio delle lastre di marmo era stato effettuato da terzi soggetti, non identificati nell’ambito del presente procedimento.
3. E’ stata versata in atti la remissione di querela effettuata da G.G. il 5.03.2016 e la relativa accettazione formalizzata in pari data V.M..
Diritto
1. Il ricorso impone i rilievi che seguono.
Riferisce la Corte di Appello che l’evento lesivo in danno della G.G., vicina di casa del V.M., ebbe a verificarsi per effetto della lavorazione di lastre di marmo, intervento che era stato commissionato dal medesimo V.M. a terzi soggetti, i quali stavano operavano all’interno della proprietà dell’imputato anche il giorni in cui ebbe verificarsi il sinistro.
Ciò posto, la Corte territoriale rileva che l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato deve essere confermata, atteso che V.M. ha violato la norma cautelare che gli imponeva di adottare misure idonee ad impedire che le polveri sollevate dalla lavorazione dei materiali impiegati nella esecuzione delle opere commissionate, provocassero danni a terzi. La valutazione espressa dai giudici del gravame, rispetto agli obblighi gravanti sul committente, risulta conforme alle considerazioni già svolte dal primo giudice, il quale ebbe a fondare l’affermazione di responsabilità penale sulla omessa adozione, da parte del committente, delle necessarie cautele volte ad evitare l’incontrollata emissione di polveri derivanti dalla lavorazione.
E bene, le valutazioni espresse dai giudici di merito, conducenti all’affermazione di responsabilità penale dell’odierno imputato, per i danni arrecati a terzi soggetti estranei all’attività di tagliatura del marmo di cui si tratta, prescindono del tutto dalla analisi della figura del committente dei lavori, come delineata dal d.lgs. n. 494/96 e quindi dall’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008. E’ poi appena il caso di considerare che il principio definito dalla giurisprudenza di legittimità, sul versante della responsabilità del committente per le violazioni antinfortunistiche in danno dei lavoratori del soggetto appaltatore, riposa sull’assunto che il committente non riveste una autonoma posizione di garanzia a tutela della salute e della vita dei lavoratori dipendenti dal soggetto appaltatore; il che comporta la possibilità di ascrizione del fatto quando il committente abbia in concreto assunto una diversa posizione, discendente dall’esercizio di poteri di ingerenza, per impegno assunto e ciò in ragione del principio di effettività che da sempre si è riconosciuto valevole in subiecta materia (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 44131 del 15/07/2015, dep. 02/11/2015, Rv. 264975). Nella giurisprudenza di legittimità si è infatti affermata teorica in base alla quale la responsabilità del committente può derivare dalla violazione di alcuni obblighi specifici, quali l’informazione sui rischi dell’ambiente di lavoro e la cooperazione nell’apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, ritenendosi che resti ferma la responsabilità dell’appaltatore per l’inosservanza degli obblighi prevenzionali su di lui gravanti (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008 – dep. 18/02/2009, Rappa, Rv. 242735).
E bene, nel caso di specie, i giudici di merito sono giunti ad affermare la responsabilità penale del V.M., per il reato di lesioni colpose verificatosi in danno di soggetto estraneo all’attività di cui si tratta, come chiarito, sulla base di un generico obbligo impeditivo, rispetto alla emissione di polveri derivanti dal taglio di marmo, che si è ritenuto gravante sull’imputato, quale committente.
L’ordine di considerazioni che precede induce, allora, conclusivamente a rilevare – con valutazione di ordine dirimente rispetto ad ogni altro profilo di doglianza – che il delitto di lesioni colpose per il quale si procede non risulta aggravato, neppure rispetto al fatto come ritenuto in sentenza, dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Pertanto, a fronte della intervenuta remissione di querela da parte di G.G., ritualmente accettata dall’imputato V.M., il reato risulta estinto e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con spese a carico del querelato, in mancanza di diverso accordo tra le parti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza per essere il reato estinto per remissione di querela e condanna il querelato al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 9 marzo 2016