Cassazione Penale, Sez. 4, ud. 18 giugno 2015, n. 48376

Scontro treno e carro gru: muore il macchinista e il capotreno. Responsabili il dirigente, il direttore dell’esercizio e l’RSPP. Effettive misure di controllo avrebbero evitato prassi pericolose.


Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: IZZO FAUSTO Data Udienza: 18/06/2015

Fatto

1. Con sentenza del 8\4\2014 la Corte di Appello di Roma confermava la condanna di M.U., M.G.A. e C.C. per i delitti di cui agli arti. 449 e 589 c.p. Riconosciuto tra i delitti il vincolo di cui al primo comma dell’art. 81 c.p., la pena veniva ridotta ad anni 2 e mesi 4 di reclusione. Venivano, inoltre confermate le statuizioni civili.
Osservava la Corte di merito che la dinamica del disastro poteva essere ricostruita nel modo che segue. Il giorno 18\12\2003 il treno 705 percorreva la tratta Viterbo-Roma condotto dal macchinista P.A., scortato dal capotreno F.A.. Alle ore 12.45 il treno era entrato nella stazione di Piano Paradiso, anziché sul corretto tracciato, su di un binario tronco in cui sostavano due carri ed un caricatore tipo “Colmar” con il braccio gru parallelo alle rotaie. Nel conseguente urto tra il treno e il Colmar, il braccio gru era entrato nella cabina guida e nel corridoio centrale passeggeri per metri 5.40, determinando un politraumatismo ai due ferrovieri che li aveva condotti alla morte. L’incidente era stato determinato dal fatto che il deviatore azionato a mano, che indirizzava la circolazione verso il binario morto di stazionamento, non era stato riposizionato per la ordinaria circolazione; accortosi di tale errata posizione il macchinista aveva cercato di ridurre la velocità del treno azionando i freni, ma non aveva potuto far altro che ridurre la velocità di impatto a 30 km\h.
In particolare il disastro ferroviario si era verificato, in quanto il ferroviere C. dopo aver azionato sulla tratta ferroviaria Civita Castellana-Roma Flaminio, all’altezza della stazione denominata Pian Paradiso, uno scambio per l’immissione dei mezzi su rotaia in un binario morto, ove si trovavano già parcheggiati due carri merci, ed aver ivi parcheggiato un terzo mezzo strada-rotaia gommato (modello COPULAR T 4300 FS), dimenticava di ricollocare il cambio sull’originaria posizione, tanto che successivamente, come detto, il predetto treno di linea nr. 705, in transito sulla tratta Civita Castellana-Roma Flaminio, condotto dai citati P.A. (macchinista) e F.A. (capotreno), veniva immesso sul predetto binario morto e collideva con i mezzi ivi parcheggiati, deragliando; il sinistro determinava la morte del personale viaggiante del treno nr.705 (P.A. e F.A. : acc. in Civita Castellana il 18.12.2003).
La corte, così ricostruito il sinistro, in conformità a quanto già fatto dal giudice di primo grado, dopo avere premesso una analisi della differenza tra le funzioni dei dirigenti aziendali e dei preposti ed avere riaffermato la applicabilità al fatto delle disposizioni generali delle norme di prevenzione infortuni di cui al d.P.R. 626 del 1994, vigente all’epoca dei fatti, confermava la affermazione della penale responsabilità degli imputati, ritenendo sussistente la condotta colposa descritta nei capi di imputazione. In particolare :
– a M.U., in qualità di Dirigente del Servizio ferroviario tratta Roma-Viterbo, con compiti di direzione e coordinamento delle attività demandate al Servizio Ferroviario Roma-Viterbo (art. 91 D.P.R. 753/80), veniva addebitato di avere, in violazione di quanto previsto dall’art. 4 comma 5 lett. f) d.lgs. 626 del 1994 ed art. 41 del Regolamento di Esercizio (approvato con nota nr. 11205 del 20.07.1949 dal Ministero dei Trasporti) omesso di predisporre e/o comunque segnalare la necessità di far predisporre, procedure operative atte a verificare la corretta osservanza da parte dei subalterni addetti al controllo del traffico ferroviario dell’ordine di servizio nr. 81 del 04.05.2001, punto 4 lett. c), che testualmente imponeva che “Nelle stazioni impresenziate – fermata prima di impegnare lo scambio e ripresa della marcia dopo che il capo treno si è assicurato della integrità e della corretta posizione dello scambio medesimo”; nonché dell’Ordine di Servizio nr.49/93 E.F. datato 19.04.1993 a firma del Direttore dell’Esercizio Ing. Corrado S., il quale nell’ultima disposizione prevedeva testualmente nelle “Disposizioni dì carattere generate” che ” le zone ed i dischi tachigrafia’ sostituiti dovranno essere inviati ai Capi deposito (qualifica attualmente rinominata in “Assistente Coordinatore”), che provvederanno ai controlli di competenza…”) più specificamente: a) ometteva di predisporre e comunque di segnalare la necessità di far predisporre procedure operative inerenti l’acquisizione da parte degli Assistenti Coordinatori delle zone tachigrafiche HASLER (strumento di cui era dotata la motrice del treno nr. 705 del 18.12.2003);
b) ometteva di predisporre e comunque di segnalare la necessità di far predisporre procedure operative inerenti il controllo da parte degli Assistenti Coordinatori delle zone tachigrafiche HASLER, controllo funzionale alla verifica della corretta osservanza da parte del personale viaggiante (macchinisti e capi treno) dell’Ordine di Servizio nr. 81 del 04.05.2001 (da parte della Direzione MET.RO. S.p.a. a firma del Direttore di Esercizio Angelo  CURCI) avente ad oggetto “Ferrovia Roma-Viterbo – Velocità Massima dei treni “, che prevede, tra l’altro, al punto 4 lett. a) e b) le precise velocità che debbono mantenere i treni prima di impegnare le diverse tipologie di scambi, e punto 4 lett. c) che “…c) Nelle stazioni disabilitate ed impresenziate – fermata prima di impegnare io scambio e ripresa della marcia dopo che il Capo treno si è assicurato della integrità e della corretta posizione dello scambio medesimo…”) procedure che non essendo state predisposte e/o di cui non era stata segnalata la necessità, avevano determinato:
a) l’omessa verifica da parte degli Assistenti Coordinatori tramite controllo delle zone tachigrafiche HASLER in ordine al fatto che il personale viaggiante dei treni (compreso il nr. 705 del 18.12.2003) in transito sulla tratta ferroviaria nella stazione di Pian Paradiso (stazione disabilitata ed impresenziata) non aveva mai ottemperato alla prescrizione di cui all’Ordine di Servizio nr. 81/2001 ovvero non aveva mai fermato il convoglio prima di impegnare lo scambio riprendendo poi la marcia solo dopo che il Capo treno si fosse assicurato della integrità e della corretta posizione dello scambio medesimo;
b) l’omessa verifica da parte della Dirigenza della MET.RO. S.p.a. in ordine al fatto che tale prassi era ormai diventata consuetudine, tanto che l’Ordine di Servizio nr.81/2001 era sistematicamente disatteso da tutto il personale viaggiante della MET.RO S.p.a. linea Roma-Viterbo e quindi, in definitiva, la costante inosservanza dell’Ordine di Servizio sopra richiamato e, in particolare, il mancato rispetto, da parte dei dipendenti P.A. e F.A. (rispettivamente macchinista e Capo treno del convoglio nr.705 del 18.12.2003) dell’obbligo di fermare il treno prima di impegnare lo scambio nella Stazione di Pian Paradiso e la mancata tempestiva percezione da parte degli stessi del fatto che il deviatoio era stato lasciato in posizione cosiddetta “rovescia” ovvero in posizione tale da indirizzare il treno verso il binario tronco.
– A M.G.A., in qualità di Direttore di Esercizio Ferroviario (attesa la sua qualifica ai sensi dell’art. 91 D.P.R. 753/80) con compiti di responsabilità dell’esercizio da cui dipendono la Divisione Movimento Ferroviario e la Divisione Infrastrutture (art. 91 D.P.R. 753/80), veniva addebitato che, in violazione di quanto previsto dall’art. 102 comma 2 del D.P.R. 753/1980, aveva omesso di richiedere il controllo della corretta esecuzione delle norme regolamentari e degli ordini di servizio in vigore, anche mediante la predisposizione di appropriati sistemi di controllo e verifica dell’osservanza delle misure adottate, con particolare riferimento alle violazioni di cui ai punti che precedono.
– A C.C. in qualità di Dirigente Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Aziendale della MET.RO. S.p.a. (istituito ai sensi dell’art. 8 del D.Lvo 626/94), veniva addebitato che, in violazione di quanto previsto dall’art. 8 del D.Lvo 626 del 1994, aveva omesso di assicurare la funzionalità e l’integrazione dei sistemi di sicurezza nonché la conformità alla normativa di legge valutando i rischi operativi e sviluppando piani di sicurezza o procedure di lavoro tali da garantire l’applicazione del D.Lvo 626 ovvero ogni norma in materia di sicurezza sul lavoro, anche mediante la predisposizione di appropriati sistemi di controllo e verifica dell’osservanza delle misure adottate, con particolare riferimento alle violazioni di cui ai punti che precedono.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati e del responsabile civile, lamentando :

2.1. per l’ATAC (responsabile civile):
a) la nullità della sentenza per mancanza grafica della motivazione in relazione all’appello proposto dal responsabile civile che aveva articolato specifici motivi in ordine alla assenza di solidarietà della responsabilità e sull’eccessività della provvisionale liquidata;
b) in subordine, la erronea applicazione della legge laddove il giudice di merito aveva ritenuto applicabile al trasporto ferroviario le norme del d.lgs. 626 del 1994, mentre nell’ordinamento sono presenti specifiche norme relative alla sicurezza in tema di trasporti;
c) la erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione ove il giudice di merito non aveva escluso il rapporto causale tra le condotte degli attuali imputati e l’evento, a fronte di due fattori sopravvenuti eccezionali, costituiti dalle gravi negligenze dell’addetto all’attivazione dello scambio e dello stesso macchinista, i quali avevano violato specifiche e conosciute norme di sicurezza.

2.2. Per M.U.:
a) la erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione in relazione al ritenuto nesso causale tra la condotta omissiva contestata e l’evento. Invero il giudice di merito non aveva in alcuna modo motivato circa l’effetto salvifico della condotta omessa, a fronte di fatti sopravvenuti da soli ed in sinergia, idonei a produrre l’evento. In particolare la grave negligenza della squadra di operai che avevano lasciato aperto lo scambio e dando la notizia del suo corretto riposizionamento; la grave negligenza delle due vittime le quali, in qualità di macchinista e capotreno, non avevano rispettato l’ordine di servizio 81\2001 che li obbligava a fermata al segnale di ingresso e marcia a vista, ordine che se rispettato avrebbe consentito di arrestare il treno in tempo utile. In sostanza la motivazione della corte distrettuale era carente in ordine alla valutazione della operatività del secondo comma dell’art, 41 dettato in tema di concorso di cause;
b) Il difetto di motivazione ove la corte di merito, a fronte della risposta dei consulenti del P.M. circa la sufficienza per fini di sicurezza del Regolamento di esercizio e del Documento di valutazione dei rischi, avevano ritenuto il M.U. gravato dall’ulteriore obbligo di attivazione di procedure di vigilanza. Peraltro ai tre imputati condannati erano state elevate pressoché le stesse omissioni, per cui lo stesso giudice di merito non aveva saputo indicare lo specifico destinatario di tale ulteriore dovere di vigilanza. In particolare illogico era ritenere che dello stesso obbligo fossero destinatari sia il Direttore dell’Esercizio, che il subordinato Direttore della Tratta; certamente compiti di innovazione circa le procedure di controllo non potevano gravare sul M.U., che quale direttore di tratta era subordinato al direttore di esercizio, titolare dei detti poteri.

2.3. Per M.G.A.:
a) la erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione in relazione in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso causale. Invero l’incidente si era verificato per due uniche cause concorrenti; la prima, il mancato riposizionamento dello scambio nella corretta posizione; la seconda, riconducibile alla negligenza delle due vittime, per non essersi accorti il macchinista ed il capotreno, per tempo, dell’errato istradamento. In ordine a tale circostanza, il fatto che non fosse stato rispettato l’ordine nr. 81\2001 era irrilevante, in quanto come evidenziato dai C.T. del P.M., l’errato istradamento del treno era visibile per tempo anche senza che il treno effettuasse la fermata. La sentenza sul punto era immotivata, laddove non aveva verificato che il richiamo al rispetto degli ordini di servizio da parte dei dirigenti non avrebbe con certezza eliminato il rischio dell’errore umano, peraltro commesso da personale qualificato;
b) Il vizio della motivazione laddove la corte di merito, a fronte di specifiche contestazioni contenute nell’atto di appello, non aveva risposto alle censure relative alla violazione dell’art. 41 del Regolamento di Esercizio, ed in particolare che la violazione era stata il frutto di una condotta dolosa dei tre addetti allo scambio. Infatti attraverso un meccanismo complesso ma sicuro, il fatto che la chiave di manovra fosse nella rastrelliera era garanzia del corretto posizionamento dello scambio. Il giorno dei fatti detta chiave era nella rastrelliera, ma lo scambio non era stato riposizionato nel giusto instradamento, in quanto gli operatori avevano utilizzato un duplicato falso della chiave, per cui nessun controllo era stato possibile svolgere in quanto la presenza della chiave nella rastrelliera, come detto, determinava affidamento sul corretto posizionamento dello scambio. La condotta dei tre operatori era stata pertanto abnorme ed imprevedibile e causa determinante, del tragico evento. Pertanto l’esistenza e l’utilizzo di una chiave falsa (di cui nessuno aveva conoscenza a parte i tre operatori) aveva dato allo sviluppo causale della vicenda connotato in termini di eccezionalità;
c) La mancanza di motivazione ed il travisamento della prova in ordine alla documentata attività di vigilanza e controllo delle norme di sicurezza. Invero agli atti erano stati prodotti documenti da cui si rilevava che in prospettiva di controllo e sicurezza era stato previsto:
1) la doppia guida a bordo (macchinista e capotreno); 2) la verifica delle zone tachigrafiche, affidate ad un apposito ufficio per il controllo delle violazioni nella conduzione dei treni; 3) l’analisi e diffusione di documenti elencanti possibili ipotesi di rischi per la sicurezza; 4) la presenza di un corpo ispettivo con finalità di controllo sull’operato dei dipendenti Met.Ro. Su tali punti la corte non aveva offerto alcuna motivazione circa l’assolvimento da parte dell’imputato dei suoi doveri di controllo e vigilanza.

2.4. per C.C.:
a) la erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione laddove la corte di merito aveva omesso di pronunciarsi sulle specifiche doglianza formulate nell’atto di appello. In particolare il giudice di merito non aveva tenuto conto che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione non è titolare di un’autonoma posizione di garanzia, essendo mero consulente del datore di lavoro, senza facoltà sostitutive e non dotato di poteri impeditivi e di spesa; pertanto non può essere chiamato a rispondere di delitti di evento. Né la posizione di garanzia può essere radicata in suo capo per essere un “dirigente”, essendo questa, nel caso di specie, una qualifica contrattuale e retributiva, ma che non è idonea ad incidere sulla limitazione dei poteri connessi alla sua funzione di R.S.P.P. Pertanto non era configurabile un partecipazione concorsuale ai delitti, ex art. 113 c.p., in quanto in tal caso, in assenza di operatività di una condotta omissiva causalmente efficiente ai sensi del secondo comma dell’art. 40, lo condurrebbe a rispondere di fatti altrui, in contrasto con il disposto dell’art. 113 c.p. laddove il contributo del coagente deve essere quello di “cagionare” e non può essere ridotto ad una mera condotta agevolatrice. Pertanto solo la violazione di specifici obblighi di impedimento poteva essere idonea a fondare una responsabilità a titolo di cooperazione colposa, inesistente nel caso del C.C.;
b) La erronea applicazione della legge, considerato che la responsabilità del R.S.P.P. per i reati di evento è ipotizzabile solo in caso di condotta attiva, quali un suggerimento errato o la mancata segnalazione di un rischio oggettivamente rilevabile. In tali casi, pertanto la condotta del R.S.P.P. diventa rilevante per avere determinato una condotta omissiva di altro soggetto, il datore di lavoro, titolare della posizione di garanzia, dotato di poteri impeditivi, non esercitati. Pertanto aveva errato la corte di merito quando aveva identificato il contributo causale offerto dal C.C. nella omessa elaborazione di procedure di controllo tali da interrompere un processo causale preesistente ed in atto (comportamento passivo), mentre invece si sarebbe dovuta identificare ed attribuire una condotta attiva generatrice del rischio;
c) La erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione sulla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa. Invero al C.C. era stato addebitata la negligenza nel non avere elaborato ed indicato al datore di lavoro alcun “sistema” di controllo del rispetto delle procedure di sicurezza. Non era stato valutato che, non avendo il R.S.P.P. alcun potere di controllo (onere questo gravante sul datore di lavoro), nessun obbligo di elaborare uno specifico sistema di controllo gravava su di lui, essendo limitati i suoi compiti alla valutazione della efficacia delle misure di prevenzione adottate in azienda ed il loro aggiornamento. In motivazione, inoltre, la sentenza non indicava quale condotta diligente avrebbe dovuto tenere il C.C., tale da essere idonea ad evitare l’evento verificatosi;
d) La erronea applicazione dell’art. 9 del d.lgs. 626 del 1994. Invero la corte di merito, nel rispondere a precise eccezioni formulate, aveva affermato che nel caso che ci occupa ben potevano trovare applicazione sia le norme generali sulla prevenzione infortuni del d.lgs. 626 del 1994, che le norme sulla sicurezza del trasporto ferroviario di cui al d.P.R. 753 del 1980 : le prime disposizioni regolanti la materia con norme generali; la seconda con norme specifiche della sfera operativa. In modo illogico, però, era poi stata addebitata al C.C. la violazione dell’art. 9 della 626 proprio con riferimento ad un momento operativo, contraddicendo la delineate linea di confine delle due discipline;
e) La mancanza di motivazione in ordine alla indicazione delle procedure di controllo che sarebbero state omesse. Infatti la disciplina regolamentare in vigore prevedeva una rigida procedura di gestione delle chiavi degli scambi; inoltre la presenza di un corpo di ispettori che controllava i comportamenti non conformi alle regole. Inoltre, quanto alla marcia a vista, la sicurezza era garantita dalla presenza del “doppio uomo a bordo” (macchinista e capotreno);
f) Per tutte le considerazioni esposte, la motivazione era carente in punto di identificazione del nesso causale in ragione della sottovalutazione della gravi mancanze commesse dal personale viaggiante e dagli addetti allo scambio; ciò con riferimento alla colpa, quanto all’evitabilità dell’evento così come in concreto realizzatosi,
g) La erronea applicazione della legge e la mancanza di motivazione in ordine allo specifico punto già segnalato nell’appello della non configurabilità dei delitto di disastro colposo, in assenza del rinvenimento nel fatto concreto accaduto di un evento connotato da forza distruttiva e di dimensioni rilevanti,
h) Il difetto di motivazione sulla ritenuta mera equivalenza delle attenuanti generiche con le aggravanti dell’omicidio, considerato il ruolo meramente consultivo e non operativo dell’imputato,
i) La erronea applicazione della legge per non essere stata rilevata la intervenuta prescrizione dei delitti di omicidio colposo e disastro. Quanto all’omicidio, una volta riconosciuta la prevalenza delle attenuanti generiche, gli omicidi erano prescritti (anni 7 e mesi 6). Prescritto era anche il delitto di disastro di cui al secondo comma dell’art. 449 c.p., figura autonoma di reato.
l) Il difetto di motivazione sulla istanza di revoca della provvisionale.

Diritto

1. Il ricorso del responsabile civile ATAC s.p.a. è fondato.
Invero, dispone il terzo comma dell’art. 125 c.p.p. che “Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità”. Nel caso in esame la motivazione in ordine ai motivi di appello svolti dal responsabile civile, a seguito della condanna in primo grado, è graficamente mancante e pertanto impone l’annullamento della sentenza, con rinvio al giudice civile competente in grado di appello ai sensi dell’art. 622 c.p.p.
2. Infondati sono, invece i ricorsi degli imputati.
Va premesso che è indubbio che la causa immediata del sinistro vada individuata nella condotta della squadra che avrebbe dovuto rimettere lo scambio nella corretta posizione, nonché nella condotta delle stesse vittime, le quali non si sono attenute alle disposizioni le quali prevedevano che, nelle stazioni impresenziate, era necessario fermare il treno prima di impegnare lo scambio e di riprendere la marcia dopo essersi assicurati della integrità e della corretta posizione dello scambio.
Ciò che è stato addebitato agli imputati condannati è stato di non avere attivato i controlli necessari atti ad evitare che si consolidassero prassi disapplicative delle misure di sicurezza.
Sul punto questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che in tema di prevenzione infortuni, è configurabile la responsabilità del dirigente per l’infortunio occorso al lavoratore in esecuzione di prassi lavorative pericolose non conformi alle regole di sicurezza, venute in essere a causa di carenze organizzative di ordine generale (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 13858, dep. 01/04/2015, Rv. 263287); che pertanto è obbligo dei responsabili della sicurezza attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche nella ordinaria prassi di lavoro (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27738, dep. 14/07/2011, Rv. 250697; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6486, dep. 03/06/1995, Rv. 201706).
In sostanza, i soggetti responsabili della sicurezza dei lavoratori, in quanto garanti dalla integrità fisica del lavoratore, non devono limitarsi alla mera informazione circa l’esistenza di norme di sicurezza, pubbliche o aziendali, da rispettare, ma devono attivarsi e controllare tali disposizioni siano assimilate dai lavoratori e rispettate nella ordinaria prassi di lavoro. Ne consegue che la per la effettività del rispetto delle norme di prevenzione è necessario che l’attività di informazione sia sempre accompagnata a quella di controllo.
3. Quanto alla applicabilità delle disposizioni contenute nel d.lgs. 626 del 1994 (vigente all’epoca dei fatti; ora d.lgs. 81 del 2008), vanno condivise le osservazioni svolte dalla Corte di Appello sul punto.
Invero nelle disposizioni del d.lgs. 626 (riguardanti “Il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”) non si rinviene alcuna norma che escluda la sua applicazione per i lavoratori delle Ferrovie o che dichiari la sua incompatibilità con le disposizioni dei d.P.R. 753 del 190 (“Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell’esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto”).
Anzi nell’art. 1 della 626 è esplicitamente previsto che le sue disposizioni si applicano “in tutti i settori di attività privati o pubblici”.
Inoltre, il secondo comma dell’art. 1 cit., nel prevedere che la normativa contenuta nel decreto debba essere applicata, per taluni settori, tenendo conto “delle particolari esigenze connesse al servizio espletato”, vi include il settore “dei mezzi di trasporto aerei e marittimi”, escludendo quindi dalle eccezioni, il trasporto ferroviario.
Del resto le norme cautelari previste dal d.lgs. 626 (ora d.lgs. 81 del 2008), costituiscono pur sempre codificazione di regole di diligenza, prudenza e perizia e non vi sono ragioni per ritenerle inapplicabili al settore ferroviario.
4. Fatte queste premesse, venendo all’analisi delle singole posizioni, va osservato quanto al M.U. (dirigente della tratta Roma-Viterbo, teatro dell’incidente) che questi ha contestato la riconosciuta sussistenza del nesso causale tra la sua condotta omissiva e l’evento, ritenendo che il comportamento della squadra addetta allo scambio e delle stesse vittima, siano stati fattori causali da soli idonei a produrre l’evento.
In proposito va ricordato che questa Corte di legittimità ha più volte precisato che “In tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente” (ex plurimis, Cass. Sez. 4, Sentenza n. 7364, dep. 17/02/2014, Rv. 259321).
Nel caso in esame al M.U., dirigente del settore e, quindi, gestore del rischio infortuni sulla tratta Roma-Viterbo, è stato addebitato di non avere attivato controlli onde verificare il rispetto da parte del personale viaggiante dell’obbligo di rallentamento e fermata nelle stazioni impresenziate, prima di imboccare uno scambio. Tale controllo era facilmente attuabile attraverso l’esame delle zone tachigrafiche Hasler, strumento di cui il treno era dotato. Invero la zona tachigrafica è costituita da un rotolo di carta suddivisa in settori di velocità su cui vengono incise la traccia della velocità reale di condotta del convoglio e la traccia della distanza percorsa.
Il controllo di tali zone avrebbe permesso al dirigente di rilevare la prassi seguita dal personale viaggiante di non rispettare l’ordine di servizio relativo alle stazioni impresenziate, così da consentire di adottare tutte le misure necessarie a richiamare i dipendenti (con “pedanteria”) al rispetto delle regole.
Va ribadito, come già detto, che la mera predisposizione di misure di sicurezza (regolamento di esercizio; tachigrafo sul treno, ecc.) non è sufficiente a garantire l’adempimento dell’obbligo di sicurezza, se non viene esercitata una specifica attività di controllo, onde disvelare e rimuovere prassi disapplicative.
Quanto all’effetto salvifico della condotta omessa, come rilevato dal giudice di merito, il rispetto delle regole avrebbe evitato l’evento, in quanto i macchinisti, arrestando il treno come da regolamento, si sarebbero accorti dell’erroneo posizionamento dello scambio, così evitando di imboccare il binario morto ove era presente il carro gru. Del resto di tale circostanza essi effettivamente si accorsero, tanto da azionare una frenata di emergenza senza però esito in ragione della velocità di marcia del convoglio.
Né ad escludere la responsabilità del M.U. rileva la circostanza che egli fosse un dirigente in posizione gerarchica subordinata al M.G.A. (direttore dell’esercizio ferroviario). Va rammentato infatti che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, un dirigente è destinatario “iure proprio”, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41981, dep. 25/10/2012, Rv. 255001).
Ne consegue che correttamente il giudice di merito ha ritenuto l’imputato responsabile dell’accaduto in quanto, quale gestore del rischio poi effettivamente concretizzatosi, con la sua colpevole condotta omissiva non ha impedito l’evento.
Sono pertanto infondati i motivi di ricorso articolati dal M.U..
5. Quanto al M.G.A., direttore dell’esercizio, la sua posizione di garanzia è scandita dall’art. 91 del d.P.R. 753 del 1980, laddove è affermato che “Il direttore o il responsabile dell’esercizio rappresenta l’azienda presso gli organi di vigilanza dello Stato, delle regioni e degli enti locali territoriali, secondo le rispettive attribuzioni, e risponde dell’efficienza del servizio ai fini della sicurezza e della regolarità. A tali effetti, in particolare, Il direttore o il responsabile dell’esercizio cura l’osservanza delle leggi e dei regolamenti….”.
Anche per tale imputato valgono le considerazioni svolte per il M.U. in tema di efficacia casuale della condotta omissiva.
Nei motivi di ricorso sono svolte due ulteriori considerazioni idonee, secondo la difesa, a disinnescare l’efficacia causale della condotta del M.G.A.:
– il cattivo posizionamento dello scambio era visibile e pertanto l’incidente era stato cagionato dalla disattenzione delle vittime;
– il giudice di merito aveva sottovalutato la efficacia causale della condotta degli addetti allo scambio che, usando una chiave falsa, senza pertanto prelevare quella presente in stazione (per mera comodità di evitare un andirivieni), non aveva consentito di rilevare che lo scambio non era stato riposizionato in modo corretto.
Orbene, quanto al primo argomento, va evidenziato che la visibilità dell’erroneo posizionamento dello scambio è affermata in entrambe le sentenze di merito, tanto vero che i macchinisti tentarono senza esito di frenare il convoglio. Ma ciò che è contestato agli imputati è di non avere attivato concrete ed efficaci misure di controllo del rispetto della regola di arrestare il treno nelle stazioni impresenziate, in modo tale da accorgersi dell’errore a treno fermo e non in velocità.
Quanto al secondo rilievo, non vi è dubbio che la condotta della squadra addetta allo scambio sia stato un ineliminabile antecedente causale dell’evento. Ma tale antecedente ha determinato l’erroneo posizionamento dello scambio che sarebbe stato rilevato senza danni se, nel rispetto dei regolamenti, il personale viaggiante avesse arrestato il treno prima di impegnarlo. Come osservato dal giudice di merito tale omissione (anch’essa causalmente rilevante), poteva essere evitata con effetto salvifico, se i dirigenti dell’esercizio e della tratta avessero, come già detto, attivato i controlli sulle zone tachigrafiche così da rilevare la prassi disapplicativa delle cautele previste negli ordini di servizio.
L’imputato ha, infine, lamentato che in azienda erano previsti sistemi di controllo ed appositi uffici al fine di verificare il rispetto delle norme di prevenzione e, quindi, egli aveva adempiuto al suo obbligo di sicurezza.
Va nuovamente ribadito che ciò che viene addebitato agli imputati e attestato nelle sentenze di merito, non è l’assenza di predisposizione di misure di prevenzione e di sicurezza, ma la omessa vigilanza sull’effettivo esercizio dei controlli che hanno consentito il consolidarsi di prassi che avevano condotto al verificarsi del sinistro.
Ne consegue da quanto detto la infondatezza dei motivi di ricorso articolati dal M.G.A..
6. In relazione al C.C., va premesso che questi era investito della funzione di dirigente responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Aziendale della METRO s.p.a.
Ha osservato il ricorrente che come mero “consulente” del datore di lavoro non poteva essere chiamato a rispondere dei fatti verificatisi in forma concorsuale.
Sul punto va rammentato il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo il quale il R.S.P.P., pur svolgendo all’Interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343, dep. 18/09/2014, Rv. 261107; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 2814, dep. 27/01/2011, Rv. 249626; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32195, dep. 20/08/2010, Rv. 248555).
Nel caso in esame la contestazione rivolta al C.C., e su cui si è diffusa con ampia motivazione la Corte di merito nelle pagine 15-17, è proprio quella di non avere elaborato mezzi e procedure idonee a controllare in modo efficace ed effettivo il rispetto delle misure di sicurezza. Pertanto la sua responsabilità è stata affermata sulla base di una posizione di garanzia propria gravante sull’imputato.
In tale prospettiva diventa rilevante, contrariamente a quanto affermato nei motivi di ricorso, non solo la condotta attiva del R.S.P.P. che abbia indotto in errore il datore di lavoro con erronei consigli, ma anche quella omissiva e di inadempimento dei suoi obblighi, avendo egli poteri di iniziativa in ordine al rilievo dei rischi ed alla elaborazione dei sistemi di controllo (cfr. art. 9 d.lgs. 626 del 1994).
Quanto al profilo della colpa, richiamato quanto già detto in tema di applicabilità della normativa del d.lgs. 626 al settore ferroviario e quindi anche dell’art. 9, va osservato che tale norma esplicitamente affida al R.S.P.P. il compito di provvedere “all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e i sistemi di controllo di tali misure”.
Pertanto il R.S.P.P., nello svolgimento delle sue funzioni, non deve limitarsi al controllo dell’esistente, ma deve svolgere una funzione dinamica anche di elaborazione delle misure di controllo per verificare la effettività dell’applicazione e rispetto delle misure di prevenzione. Pertanto la condotta omissiva del C.C., correttamente è stata ritenuta connotata da colpa in ragione dell’inadempimento di specifici compiti su di lui gravanti.
Anche per tale imputato, come per il M.G.A., vale quanto già detto per quest’ultimo in ordine alla presenza in azienda di sistemi di controllo ed appositi uffici al fine di verificare il rispetto delle norme di prevenzione. Si ribadisce che ciò che viene addebitato agli imputati, nei rispettivi ruoli, non è l’assenza di predisposizione di misure di prevenzione e di sicurezza, ma la omessa vigilanza sull’effettivo esercizio dei controlli che hanno consentito il consolidarsi di prassi che avevano condotto al verificarsi del sinistro. La predisposizione di effettive misure di controllo avrebbe evitato il consolidarsi di prassi disapplicative delle misure di sicurezza, con efficacia salvifica rispetto agli eventi verificatisi.
Le omissioni contestate al C.C., in relazione al compimento di condotte esigibili considerato il ruolo rivestito ed in relazione ad eventi non imprevedibili, ben sono state considerate condotte colpose causalmente rilevanti in ordine al verificarsi degli eventi.
Quanto al rilievo causale delle condotte delle vittime e degli addetti allo scambio, come già detto analizzando la posizione degli altri imputati, si tratta di concause che però non escludono, ai sensi dell’art. 41, comma primo, c.p. la efficacia causale della condotta dell’imputato.
6.1. In relazione alle censure riguardanti la configurabilità del delitto di disastro colposo, va ricordato che a tal fine è necessario e sufficiente che si verifichi un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità di numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 15444, dep. 20/04/2012, Rv. 253500; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14859, dep. 10/04/2015, Rv. 263146).
Nel caso in esame, come evidenziato dal giudice di merito l’accadimento verificatosi ha determinato lo scontro tra un treno ed un carro gru su rotaie, con il conseguente decesso del macchinista e del capotreno ed esposizione a pericolo delle altre persone presenti sul treno, considerato che il braccio della gru si è incuneato per alcuni metri nel vano passeggeri. Sussistono pertanto tutti i requisiti della tipicità del fatto contestato.
6.2. Quanto alla censura relativa al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche, è insegnamento di questa Corte che “in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5579, dep. 04/02/2014, Rv. 258874).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha valutato la gravità delle violazioni commesse e degli eventi verificatisi per ritenere di non poter andare oltre un giudizio di mera equivalenza.
La non manifesta illogicità della motivazione rende insindacabile la sentenza impugnata sul punto.
6.3. I delitti non sono prescritti.
Invero, quanto all’omicidio, sia con l’applicazione del previgente art. 157 c.p. (pena edittale non inferiore a cinque anni), che in base al nuovo testo (tenuto conto dell’aggravate della violazione delle norme di prevenzione: il comma sesto prevede il raddoppio del termine ordinario), il termine di prescrizione comprensivo di interruzione è di anni 15, non ancora maturato.
Quanto al delitto di disastro ferroviario, secondo comma dell’art. 449 c.p., figura autonoma di reato (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 15444, dep. 20/04/2012, Rv. 253501), considerato che la pena edittalmente prevista è anni 10, valutato l’efficacia dei periodi interruttivi, non si è maturata ancora alcuna prescrizione, né con l’applicazione del previgente art. 157, nel con l’applicazione delle disposizioni riformate.
6.4. Infine, quanto al difetto di motivazione in ordine alla liquidazione della provvisionale, considerato il concorso di colpa delle vittime, il giudice di merito ha ritenuto di richiamare la statuizione del giudice di primo grado. Va ricordato che in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 49877, dep. 30/12/2009, Rv. 245701).
Nel caso in esame, tenuto conto che si tratta del decesso di due lavoratori che hanno privato le famiglie della loro fonte di reddito, non può dirsi che le somme liquidate (peraltro solidalmente tra gli imputati ed il responsabile civile) siano di entità sproporzionata rispetto al danno prevedibile.
Alla infondatezza dei motivi, consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali, nonché delle spese sostenute dalle parti civili, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti del responsabile civile ATAC S.p.A. con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda il regolamento delle spese tra le parti anche per il presente giudizio.
Rigetta i ricorsi di M.U., M.G.A. e C.C., che condanna al pagamento delle spese processuali ed, in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi € 3.500,00, oltre accessori come per legge, sia in favore delle parti civili assistite dall’Avv. Omissis, sia in favore di quelle assistite dall’Avv. Omissis.
Così deciso in Roma il 18 giugno 2015

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