Cassazione Penale, Sez. 4, ud. 21 aprile 2016 (dep. maggio 2016), n. 22229

Omicidio colposo con violazione di norme in materia di infortuni. Termine di prescrizione.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 21/04/2016

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di S. M. C. Vetere ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di P.R. e di S.F. in ordine al reato di omicidio colposo in danno C.M., commesso con violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il 29.9.2004, perché estinto per prescrizione.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso ii Tribunale di S. M. C. Vetere, deducendo la violazione degli arti. 157, 160, 161 cod. pen. e 125 cod. proc. pen. Il giudice ha errato nel ritenere che il raddoppio dei termini di prescrizione per taluni reati, tra i quali l’art. 589 co. 2 cod. pen., sia stato introdotto dal d.l. n. 92/2008, convento con modificazioni nella legge n. 125/2008; tale errore lo ha indotto a calcolare erroneamente in dodici anni e sei mesi il termine massimo di prescrizione applicabile nel caso concreto. Diversamente da quanto ritenuto dal giudice territoriale, il menzionato raddoppio é stata introdotta dalla legge n. 251/2005; ne deriva che il termine massimo di prescrizione per il reato che qui occupa é quello di quindici anni, non ancora decorso. Né era decorso quello ordinario al tempo della pronuncia della sentenza impugnata, perché il 7.12.2010 era intervenuta sentenza di condanna in primo grado nei confronti di un coimputato; pertanto si era verificata l’interruzione del corso della prescrizione, poiché questa ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato, secondo la previsione dall’art. 161 co. 1 cod. pen. In ogni caso, soggiunge il Procuratore ricorrente, il 14.7.2014 era stato notificato al P.R. l’invito a presentarsi al P.M. per rendere interrogatorio e quindi un atto interruttivo; mentre il S.F. era risultato temporaneamente irreperibile.
3. Ricorrono altresì, con unitario atto, le parti civili costituite OMISSIS, in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul minore S.M., nonché GI., L., B. e CH. M..
I ricorrenti deducono la violazione dell’art. 161 cod. pen. Assumono che la sentenza pronunciata nei confronti del coimputato C.C. ha determinato l’interruzione della prescrizione anche nei confronti del S.F. e del P.R., ai quali viene contestato di aver commesso il reato in cooperazione colposa con il C.C..
Deducono la violazione degli artt. 157 e 160 cod. pen. per aver il giudice ritenuto che il raddoppio dei termini é stato introdotto dal d.l. n. 92/2008, invece che dall’art. 6 della legge n. 251/2005.
In conclusione, la prescrizione non é ancora maturata.

Diritto

4. I ricorsi sono fondati, nei termini di seguito precisati.
4.1. A fronte delle diverse ricostruzioni che emergono dalla sentenza e dai ricorsi appare opportuno fornire una elencazione dei referenti normativi che assumono prioritario rilievo nell’analisi del tema proposto dai ricorrenti.
Il reato ascritto agli imputati viene contestato come commesso il 29.9.2004. Al tempo l’art. 589 cod. pen. constava di tre commi. Nel primo era descritta l’ipotesi ‘base’, caratterizzata dal cagionare la morte di una persona; la pena prevista era quella della reclusione da sei mesi a cinque anni. Il secondo comma prevedeva un inasprimento del trattamento sanzionatorio, limitato al minimo edittale (la pena, infatti, si elevava al minimo di un anno di reclusione, fermo il massimo di cinque anni) se il fatto era commesso con violazione delle norme sulla disciplina stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il terzo comma considerava l’ipotesi della morte di più persone e quella delle morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, definendo la pena per il concorso formale di reati che così veniva a profilarsi.
Con l’art. 2 della legge 21.2.2006, n. 102 si intervenne, per quel che qui occupa, sul secondo comma dell’art. 589 cod. pen., elevando la pena minima prevista per il caso che il fatto fosse commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; tale pena venne fissata in due anni di reclusione, ancora fermo il massimo di cinque anni di reclusione.
Con l’art. 1 d.l. n. 23.5.2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2008, si elevò invece la pena massima prevista dal secondo comma dell’art. 589 cod. pen., fissandola in sette anni di reclusione. Inoltre, si introdusse un ulteriore comma dopo il secondo, con il quale si articolò l’aggravante incentrata sulla violazione delle norme in materia di circolazione stradale, prevedendo la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lett. c) Cod. str.; 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Con tecnica normativa non esemplare (si era contestualmente introdotto un nuovo terzo comma), il menzionato comma 1 del d.l. n. 92/2008 stabilì che la pena prevista dal terzo comma dell’art. 589 cod. pen. (quello originario, disciplinante il concorso formale di morti e di lesioni) divenisse, nella sua espressione massima, di quindici anni di reclusione. In sede di conversione si introdusse all’art. 1 del d.l. un comma c-bis), con il quale si ripristinò la correttezza dei rinvìi previsti dall’art. 157 cod. pen., nel frattempo modificato dalla legge n. 251/2005, e che presentava il seguente tenore: “all’articolo 157, sesto comma, le parole: “589, secondo e terzo comma”, sono sostituite dalle seguenti: “589, secondo, terzo e quarto comma”.
Per effetto della successione degli interventi sin qui rammentati l’art. 589 cod. pen. consta dall’entrata in vigore del d.l. n. 92/2008 di quattro commi. Ai limitati fini della presente trattazione basta ripetere che il primo comma stabilisce che chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni, mentre il secondo comma prevede che se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
Sin qui gli interventi del legislatore sulle comminatorie edittali.
In parallelo si sono registrate le note modifiche in materia di prescrizione.
Il primo termine di riferimento é ovviamente la legge n. 251/2005 (cd. ex- Cirielli), che nel contesto di una articolata disciplina da un canto ha riscritto l’art. 157 cod. pen. ponendo la regola per la quale la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. Dall’altro – limitando per ora la ricognizione a quel che più rileva – ha inserito per la prima volta (come esattamente rimarcano tutti i ricorrenti) la regola del raddoppio dei “termini di cui ai commi che precedono … per i reati di cui agli articoli 449 e 589, secondo e terzo comma,…” cod. pen. (così l’originario comma 6 del novellato art. 157 cod. pen., come visto modificato dall’art. 1 del d.l. 92/2008, che ha inserito il richiamo del quarto comma dell’art. 589 cod. pen., che si legge nel testo oggi vigente). Non é inutile segnalare che alla data dell’8.12.2005, di entrata in vigore della legge cd. ex Cirielli, l’art. 589 cod. pen. constava ancora di tre commi e che l’ipotesi aggravata dalla violazione delle norme prevenzionistiche era prevista dal comma 2.
4.2. Così delineato un primo quadro normativo cui fare riferimento, si può passare a considerare che al tempo in cui venne commesso il reato ascritto al P.R. e al S.F. la pena massima prevista per l’omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme prevenzionistiche era quella di cinque anni di reclusione. Come noto, il succedersi di differenti discipline della prescrizione impone di ricercare ed applicare quella più favorevole al reo, tenendo ben presente il divieto di realizzare soluzioni combinatorie (ex multis, Sez. 4, n. 7961 del 17/01/2013 – dep. 19/02/2013, Pg in proc. Capece, Rv. 255103). Orbene, secondo la disciplina della prescrizione vigente al 29.9.2004, l’estinzione del reato di cui ci si occupa si determinava in dieci anni, trattandosi di delitto per cui la legge stabiliva la reclusione non inferiore a cinque anni; dovendosi considerare, per determinare il tempo necessario a prescrivere, il massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo della pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti (assenti nella contestazione elevata agli imputati).
Le regole sulla interruzione del termine di prescrizione conducevano poi a individuare in quindici anni il termine massimo di prescrizione.
Nel nuovo regime instaurato dalla legge n. 251/2005 – la cui applicazione al caso in esame non viene esclusa dallo stato del procedimento (cfr. art. 6) – il termine di prescrizione per reati che prevedono la pena massima di cinque anni di reclusione – come quello contestato agli imputati – non é quello corrispondente al massimo della pena prevista bensì quello fissato in via sussidiaria dal legislatore con valenza generale, pari ad anni sei di reclusione. Tuttavia per il reato previsto dall’art. 589, co. 2 cod. pen. tale termine é raddoppiato, secondo la previsione del comma 6 dell’art. 157 cod. pen.
Qui si pone una prima puntualizzazione. La regola del raddoppio attiene al regime della prescrizione e non certo a quella del reato di omicidio colposo aggravato ai sensi del comma 2 dell’art. 589 cod. pen. Sicché non si pone neppure il dubbio se questa regola possa applicarsi o meno ad un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 251/2005. La questione della lex mitior si pone nei diversi termini del raffronto delle soluzioni cui conduce l’applicazione dell’una e dell’altra complessiva disciplina della prescrizione.
La seconda puntualizzazione concerne la identità della regola del raddoppio: la quale non incide sulla pena edittale bensì sul termine di prescrizione che a quella é coordinato (e che, come visto, può essere corrispondente oppure no al massimo della pena prevista). Ed inoltre, poiché i commi che precedono il sesto nell’art. 157 cod. pen. attengono unicamente al termine ‘ordinario’, ovvero quello che non tiene conto di eventuali sospensioni o interruzioni del medesimo, la regola del raddoppio si applica su tale termine e non su quello massimo (che infatti risulta dalla regola posta dall’art. 161, co. 2 cod. pen.). Per esemplificare, ove il termine ordinario sia quello di sei anni e quindi quello massimo di sette anni e sei mesi, il raddoppio del termine concerne la misura di sei anni, non quella di sette anni e sei mesi. Ove si determini una causa interruttiva o di sospensione del termine, la previsione dell’art. 161, co. 2 cod. pen., secondo la quale in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, condurrà a calcolare l’aumento sul termine raddoppiato, ovvero su dodici anni (e non sul termine di sette anni e sei mesi).
Orbene, applicando la più recente disciplina della prescrizione risulta che il termine massimo di prescrizione é di quindici anni, esattamente come nel diverso contesto normativo previgente; per contro, il termine ‘ordinario’ di prescrizione secondo la disciplina previgente é di anni dieci; secondo quella attualmente vigente é di dodici anni.
4.3. A questo punto ci si può avviare rapidamente alle conclusioni. Il Giudice dell’udienza preliminare ha certamente errato nel calcolare il termine massimo di prescrizione in dodici anni e sei mesi. L’errore trova origine nell’aver individuato nel d.l. n. 92/2008 la fonte della regola del raddoppio; ciò ha portato il giudice a concludere che in forza delle disposizioni introdotte dalla legge n. 251/2005 il termine massimo di prescrizione era pari a sette anni e sei mesi.
Di contro, il termine massimo di prescrizione é in ogni caso di quindici anni.
Quanto al termine ordinario, sulla scorta di quanto sin qui esposto appare evidente che risulta più favorevole agli imputati nel presente procedimento la disciplina più risalente.
Occorre quindi verificare se si siano prodotti atti interruttivi della prescrizione prima del 29.9.2014.
4.4. L’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio previsto dall’art. 375 cod. proc. pen. spiega l’effetto interruttivo del corso della prescrizione ai sensi dell’art. 160 cod. pen. (ex multis, Sez. 2, n. 35202 del 02/07/2013 – dep. 21/08/2013, La Pietra, Rv. 257093); e a tal fine assume rilievo il solo fatto della emissione dell’atto, restando ininfluente sulla manifestazione della volontà di perseguire il reato la mancata notifica del medesimo al destinatario. Le parti civili ricorrenti non hanno però documentato l’asserita interruzione del termine di prescrizione con l’atto costituito dall’invito a comparire ex art., 375 cod. proc. pen. inviato agli imputati. Pertanto il ricorso non é per tale profilo autosufficiente.
Tuttavia, le ricorrenti parti civili hanno documentato con la produzione della sentenza emessa il 7.12.2010 dal Tribunale di S. M. C. Vetere, sezione distaccata di Marcianise – così soddisfacendo il principio dell’autosufficienza del ricorso – che il 18.11.2008 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di di S. M. C. Vetere emise decreto che dispone il giudizio nei confronti di C.C., per aver cagionato la morte del C.M.. Il decreto di citazione a giudizio rientra gli atti interruttivi del termine di prescrizione, con effetto dalla data della sua emissione, coincidente con quella in cui l’atto si è perfezionato con la sottoscrizione del P.M. e dell’ausiliario che lo assiste, e non già da quella, successiva, della sua notificazione all’interessato (Sez. 1, n. 13554 del 26/02/2009 – dep. 27/03/2009, P.G. in proc. Mihaiu, Rv. 243137).
Inoltre, nel caso di specie il Civicchioni ha riportato il 7.12.2010 condanna per l’omicidio colposo in danno del C.M., sia pure non descritto come commesso in cooperazione colposa con altri. La sentenza sopra menzionata dà atto che inizialmente il P.R. era stato coindagato del Civicchioni e che la sua posizione era stata archiviata. Ed é proprio quel giudice che, dopo aver escusso come testi tanto il P.R. che il S.F., ha trasmesso gli atti all’ufficio di Procura ravvisando elementi di reità a carico dei medesimi.
Si pone quindi il tema dell’applicabilità della regola di cui all’art. 161, co. 1 cod. pen.
La giurisprudenza di questa Corte si é espressa con molteplici formulazioni per la irrilevanza delle specifiche vicende processuali. Si é così affermato, in anni ormai lontani ma con statuizioni ancora persuasive, che la interruzione della prescrizione, a mente dell’art. 161 cod. pen., ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato e quindi anche nei confronti di chi, partecipe del reato, non abbia assunto la veste di imputato all’epoca del verificarsi della causa della interruzione (Sez. 6, n. 1190 del 30/08/1968 – dep. 17/10/1968, Pacifico, Rv. 109341); che la prescrizione ha natura oggettiva, nel senso che colpisce il reato prescindendo dal suo autore; e che la stessa natura hanno gli atti che ne interrompono il corso, la cui efficacia é estesa a tutti coloro che hanno commesso il reato. Se ne é quindi dedotto che, interrotta la prescrizione nei confronti di chi ha già assunto la veste di imputato, gli effetti interruttivi si riflettono anche nei confronti di chi tale veste potrà assumere nel corso dello stesso procedimento (Sez. 3, n. 4691 del 21/01/1974 – dep. 04/07/1974, Vecchione, Rv. 127325; e non v’é ragione per escludere che tanto valga anche per l’ipotesi di procedimenti separati). Si é aggiunto che la regola secondo cui l’interruzione della prescrizione verificatosi nei confronti di un imputato non richiede che gli imputati siano concorrenti nello stesso reato ai sensi dell’art. 110 codice penale, ma è sufficiente l’imputazione per lo stesso reato (Sez. 3, n. 5551 del 22/02/1982 – dep. 03/06/1982, Franchino, Rv. 154087). Più di recente si é ribadito che la regola secondo cui l’interruzione della prescrizione verificatasi nei confronti di un imputato ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato (art. 161 cod. pen.) si applica anche agli imputati dello stesso reato nei cui confronti l’imputazione sia stata elevata in un momento successivo e formi oggetto di un separato giudizio (Sez. 1, n. 47153 del 27/11/2009 – dep. 11/12/2009, Burgio, Rv. 245726).
Deve quindi concludersi per la ricorrenza di atti interruttivi della prescrizione, con effetti anche nei confronti degli odierni imputati non ricorrenti, intervenuti prima dello spirare del termine ordinario di prescrizione.
Risulta quindi la fondatezza dei ricorsi e la sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di S. M. C. Vetere per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di S. M. C. Vetere.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/4/2016.

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