Caduta mortale dall’alto. Responsabilità del datore di lavoro e del coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori.
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 21/01/2016
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Monza, con la quale M.I., quale legale rappresentante della “M.I. di M.A. & I. s.r.l.”, e DS.M., quale coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori nell’ambito del cantiere corrente in P.D., relativo alla realizzazione di un edificio residenziale i cui lavori di carpenteria erano stati affidati alla predetta ditta M.I., erano stati ritenuti responsabili dell’infortunio occorso al lavoratore G.B., dipendente della ditta del M.I., che a causa del medesimo veniva a morte.
Secondo la ricostruzione operata nei gradi di merito il G.B. era intento al montaggio del cassero per armatura di una trave della terza soletta dell’edificio in costruzione, ad una quota dal terreno di 2,87 metri, quando precipitava al suolo a causa della mancanza di qualsiasi dispositivo atto ad evitare la caduta dall’alto.
Al M.I. é stato ascritto di non aver dato esecuzione a quanto previsto dal piano operativo di sicurezza circa l’utilizzo di misure di prevenzione del rischio di caduta dall’alto dei lavoratori e nel piano di sicurezza e di coordinamento circa l’utilizzo di ponti su cavalletti per l’esecuzione dei lavori di casseratura in legno delle strutture orizzontali; al DS.M. di aver omesso di verificare l’applicazione da parte dell’impresa esecutrice delle disposizioni contenute nel PSC.
2. Ricorre per cassazione personalmente il M.I., che deduce:
– violazione di legge in relazione alle disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 e all’art. 40 cod. pen.: la Corte di Appello ha omesso di considerare la struttura organizzativa attiva nel cantiere, la quale contemplava un direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza nella persona del DS.M. ed un capocantiere e preposto nella persona di A.P.. Pertanto ha ritenuto sussistente in capo al datore di lavoro un non previsto obbligo di presenza in cantiere; in particolare, é il capocantiere ad essere istituzionalmente preposto al controllo della materiale esecuzione dei lavori e nel caso di specie non ha rilevanza che questi non fosse dipendente della ditta M.I.. Inoltre, nel cantiere in parola tale impresa era esecutrice dei lavori di carpenteria per subappalto fatto dalla Immobiliare S. Michele, sicché era a questa che competeva, in quanto impresa affidataria, di promuovere la cooperazione ed il coordinamento tra le diverse imprese operanti e verificare le condizioni di sicurezza e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni sia del PSC che dei POS. L’addebito al M.I. di non aver delegato le funzioni di controllo e vigilanza attribuite al datore di lavoro non tiene conto che la delega era stata attribuita direttamente dall’impresa S. Michele al A.P. e al DS.M.;
– vizio motivazionale per aver la Corte di Appello ignorato quanto dichiarato dal teste A. a riguardo della presenza in cantiere di tutti i materiali necessari per l’approntamento dei presidi, come era stato evidenziato anche nell’appello; ed altresì la previsione contrattuale che poneva a carico dell’Impresa affidataria la fornitura dei ponteggi necessari all’esecuzione dell’opera. Inoltre la Corte di Appello ha ritenuto necessaria una vigilanza assidua e continuativa da parte del datore di lavoro, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, quando si tratti di attività caratterizzate da semplicità ed affidate ad operai altamente specializzati, come nel caso di specie;
– la sentenza é nulla perché nel dispositivo si statuisce la conferma di sentenza emessa dal Tribunale di Lecce, anziché dal Tribunale di Monza.
3. Ricorre per cassazione l’imputato DS.M., con atto sottoscritto dal difensore, avv. Omissis.
Con unitario motivo denuncia violazione di legge e vizio motivazionale per aver la Corte di Appello affermato la responsabilità del DS.M. in forza di una indefinita attribuzione al coordinatore per l’esecuzione di obblighi di vigilanza, senza una precisa definizione dei confini delle diverse posizioni di garanzia previste dalla legge; rammenta, al riguardo, che al coordinatore spettano compiti di alta vigilanza, che non possono essere confusi con la vigilanza operativa demandata al datore di lavoro, al dirigente ed al preposto. Nel caso di specie il PSC aveva previsto, in relazione ai lavori ai quali attendeva il G.B., l’uso di ponti su cavalletti, presenti in cantiere; non vi era al momento la contestuale presenza in cantiere di più imprese e non risponde al vero che il DS.M. non si fosse recato in cantiere da lungo tempo, diversamente attestando i verbali di sopralluogo. Piuttosto fu del tutto anomala la condotta del G.B., che decise di lavorare alla trave omettendo l’uso dei ponti e camminando su travetti di legno non fissati.
Diritto
3. Il ricorso del M.I. é infondato.
L’assunto principale é che essendo presente in cantiere un capocantiere, sia pure dipendente da altra ditta, vi era un soggetto preposto a controllare che il lavoratore utilizzasse i presidi apprestati.
Sul punto occorre far chiarezza: l’imputazione ascrive la mancata attuazione del POS e del PSC; quindi le misure erano previste ma non erano state attuate. Il primo giudice rammenta che “in cantiere non vi erano i mezzi necessari per garantire la sicurezza: i cavalletti erano accantonati e inutilizzati; non vi erano i trabattelli, l’operaio non aveva le cinture di sicurezza”; da qui l’affermazione che il M.I. non aveva predisposto i necessari presidi antinfortunistici e non aveva controllato che questi fossero effettivamente utilizzati.
L’affermazione della Corte di Appello, sulla base delle dichiarazioni di R.R., é stata che non vi erano parapetti e non vi erano i ponti dei cavalletti. Appare quindi chiaro che al M.I. si ascrive di non aver posto in essere ciò che pure era previsto in linea programmatica. Si tratta di un adempimento che la legge pone direttamente in capo al datore di lavoro; non si versa nell’ipotesi di vigilanza sull’uso da parte del lavoratore di un dispositivo di sicurezza consegnatogli, ma della concreta adozione della misura prevista in via preventiva. Se pure si tratta di attività materialmente non eseguita dal datore di lavoro, é pur sempre operazione che la legge riconduce proprio alla figura datoriale. Quindi il rilievo circa la presenza di un preposto non é pertinente. E peraltro, non si può convenire con il ricorrente sul principio che la presenza di un capocantiere dipendente da altra impresa valga a sopperire l’assenza di un capocantiere nell’organigramma di altra impresa. Diversamente da quanto asserito dall’esponente, la regola é esattamente quella della previsione di un preposto in ciascun organigramma, se ciò é richiesto dalle esigenze prevenzionistiche. D’altra parte é sin troppo evidente la ragione di ciò: solo sul proprio dipendente il datore di lavoro esercita quei poteri decisionali che sono alla base della sua assunzione di responsabilità per le attività dell’organizzazione. Ove la struttura dell’impresa non preveda la figura del preposto, il datore di lavoro mantiene su di sé gli obblighi di vigilanza sull’esecuzione delle attività; e se tali obblighi sono stati assegnati ad un comune preposto, ciò va specificamente provato.
Pertanto, quando la Corte di Appello afferma che il datore di lavoro “sarebbe dovuto andare in cantiere e verificare di persona l’attivazione dei presidi antinfortunistici … apprestando tutte le attrezzature necessarie” pone un’affermazione nella fattispecie corretta, perché il M.I., come aggiungono i giudici distrettuali, non aveva delegato alcuno ad operare in sua vece in cantiere, né formalmente né di fatto; e correttamente la Corte di Appello ha aggiunto che era irrilevante vi fosse il A.P., capocantiere della impresa appaltatrice perché questi “non era un suo dipendente, né gli aveva affidato alcun incarico in proposito”.
4. Parimenti infondato é il ricorso del DS.M..
A riguardo del quale il primo giudice ha ritenuto che non avesse compiuto quell’alta vigilanza che gli é affidata, “non avendo controllato la corretta osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, né vigilato sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’Incolumità dei lavoratori”. Affermazione invero generica.
La Corte di Appello ha convenuto, affermando che il DS.M. avrebbe dovuto verificare in loco come fosse attuato il piano di sicurezza da lui approntato; ed ha aggiunto: “non risulta così, perché é stato dimostrato che capo carpentiere B.G. lavorava in condizioni di ‘rischio’ per l’avverarsi di infortuni, ed occorreva che sul posto vigilasse qualcuno, esperto in materia antinfortunistica”. Anche tale affermazione non appare incontestabile, poiché il tema posto dal processo non può certo essere svolto e compiuto facendo riferimento alla necessità che ‘qualcuno’ vigilasse. Il quesito posto dall’appellante concerneva proprio la attribuibilità allo stesso dell’obbligo di vigilanza.
Tuttavia, nonostante la segnalata incongruenza, la Corte di Appello ha ritenuto accertato che nel cantiere non fossero presenti i trabattelli (e l’operaio non aveva cintura di sicurezza), i quali – a differenza dei cavalletti, presenti ma inutilizzati pur avendo la funzione di consentire la lavorazione dal basso – hanno la funzione di permettere la lavorazione in quota in condizioni di sicurezza.
Pertanto il DS.M. era tenuto ad accorgersi che non era stata operata la necessaria dotazione delle attrezzature necessarie per l’esecuzione dei lavori in quota in condizioni di sicurezza per i lavoratori addetti.
E’ esattamente questo il profilo di colpa che gli viene ascritto (non la mancata vigilanza circa l’uso dei trabbattelli).
Pertanto, il ricorso del DS.M. è infondato, perché all’enunciazione da parte della Corte di Appello del principio dell’alta vigilanza è seguita una sua corretta applicazione. L’alta vigilanza implica non la presenza continuativa, ma nelle fasi più rilevanti, quando si iniziano le varie lavorazioni, intervengono fattori che implicano una possibile revisione delle misure previste, particolari difficoltà di attuazione e così via. Vanno quindi chiarite le premesse in fatto che valgono a determinare l’obbligo del coordinatore di essere presente in cantiere: inizio dell’attività, segnalazione di violazioni prevenzionistiche, infortuni, modifiche procedurali. Nella specie, per quanto non sia noto se i lavori di approntamento della trave fossero appena iniziati o fossero risalenti e quando fosse avvenuta l’ultima visita in cantiere del coordinatore, é pur certo che era mancata la vigilanza in ordine all’apprestamento dei trabattelli necessari a svolgere in sicurezza i previsti lavori in quota.
5. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 gennaio 2016.