Cassazione Penale, Sez. 4, ud. 21 gennaio 2016 (dep. maggio 2016), n. 19145

Produzione di porte blindate: attività di movimentazione manuale di materiali e obblighi del datore di lavoro. Esclusa la condotta abnorme del lavoratore.


Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 21/01/2016

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catania ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, nei confronti di S.E.A., tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’articolo 590 commi 1, 2 e 3 cod. pen., per aver cagionato lesioni personali colpose con violazione di normativa prevenzionistica al lavoratore S.D., in qualità di datore di lavoro del medesimo. All’imputato i giudici di merito hanno addebitato di non aver disposto – sia mediante l’adozione del documento di valutazione dei rischi sia con attività di formazione ed informazione del lavoratore – affinché l’accatastamento dei pannelli utilizzati nella lavorazione (l’impresa dello S.E.A. produce porte blindate) avvenisse con modalità idonee ad evitarne lo scivolamento e altresì di non aver disposto che la loro movimentazione avvenisse con mezzi meccanici; sicché il lavoratore, nel reggere i pannelli impilati mentre un collega tentava di prenderne uno, veniva investito da alcuni di essi, riportando gravi lesioni personali.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis, il quale articola una pluralità di motivi, di seguito indicati.
Violazione dell’articolo 168 del decreto legislativo n. 81 del 2008, dell’articolo 41, comma 2 cod. pen., vizio motivazionale e travisamento del fatto, in relazione alla ritenuta violazione da parte dell’imputato del predetto articolo 168. È infatti emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale che l’imputato aveva regolarmente predisposto un documento di valutazione dei rischi in cui erano contenute tutte le norme di sicurezza per evitare la verificazione dei rischi per i lavoratori in relazione all’attività di produzione, e che egli aveva indicato le modalità operative con le quali il lavoro di assemblaggio dei pannelli doveva essere eseguito, mettendo a disposizione tutti gli strumenti di sicurezza ed i mezzi necessari. Seppure nel predetto documento mancavano indicazioni quanto alle misure specifiche per la movimentazione di carichi, pure ciò era dovuto al fatto che la movimentazione dei pannelli doveva essere necessariamente fatta spostandone uno per volta; in tal senso lo S.E.A. aveva dato direttive ai propri dipendenti come, rammenta l’esponente, riferito dal teste G.. Peraltro, nell’attività di assemblaggio delle porte blindate non vi è alcuna necessità di predisporre particolari procedure specifiche per la movimentazione di carichi. Risulta quindi errato l’argomento della Corte territoriale secondo cui i pannelli avrebbero dovuto essere accatastati orizzontalmente l’uno sull’altro piuttosto che appoggiati sulla base in verticale. In entrambi i casi, infatti, se il lavoratore si fosse attenuto alle disposizioni ricevute al datore di lavoro, l’infortunio non si sarebbe verificato. Né avrebbe avuto utilità al fine di prevenire la caduta dei pannelli la collocazione dei medesimi in appositi elementi metallici che ne consentissero il bloccaggio. Infatti, l’infortunio è certamente da ricondurre al comportamento abnorme del lavoratore.
Parimenti errata – aggiunge l’esponente – é l’affermazione che sia stata trasgredito il precetto dell’articolo 167 d.lgs. n. 81/2008; infatti il dato probatorio attesta l’ampiezza dell’ambiente di lavoro, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, secondo la quale non vi era la possibilità di operare movimentando ad uno ad uno i pannelli per la mancanza di spazi vitali. L’esponente censura, poi, le affermazione della Corte d’appello a riguardo del nesso di causalità, evidenziando il comportamento abnorme del lavoratore.
Deduce ancora il ricorrente la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il richiamo della Corte territoriale alla gravità delle lesioni subite dal lavoratore al fine di escludere la concedibilità delle richieste circostanze attenuanti, appare integrare una motivazione apparente e comunque illogica; infatti non ha assolutamente valutato la Corte di appello che nella determinazione dell’evento lesivo grandissima responsabilità fosse da ricondurre al lavoratore medesimo e non la condotta omissiva di controllo del datore di lavoro.
Ulteriore vizio motivazionale si segnala in relazione al rigetto del motivo di appello che lamentava la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinatamente al pagamento della somma prevista a titolo di provvisionale. La Corte di appello non ha inteso esplicitare le ragioni di tale statuizione, nonostante la persona offesa avesse avuto un ristoro immediato attraverso la concessione della provvisionale.
Infine si censura il vizio motivazionale ravvisato in relazione al diniego della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria perché la Corte d’appello avrebbe utilizzato un argomento illogico, ovvero il fatto che l’imputato nell’anno 1998 era stato condannato per bancarotta fraudolenta e quindi non avrebbe offerto garanzie di solvibilità. Appare illogico – sostiene l’esponente – che una condanna risalente ad oltre dieci anni prima non consenta al condannato di offrire garanzie per il pagamento di una multa di poche migliaia di euro. Inoltre l’esponente rileva un profilo di contraddittorietà della motivazione che nel contempo sulle ragioni appena rammentate non concede la conversione della pena detentiva e al contempo concede il beneficio della sospensione della pena subordinata al pagamento di una somma molto ingente.

Diritto

3. Il ricorso é parzialmente fondato.
3.1. Nel caso che occupa l’infortunio si é verificato nell’ambito di attività di movimentazione manuale di materiali ad opera del lavoratore infortunatosi. In relazione a tale tipologia di attività l’art. 168 d.lgs. n. 81/2008 prescrive al datore di lavoro di adottare le misure organizzative necessarie e di ricorrere ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori. Solo ove non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’allegato XXXIII, ed in particolare egli organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute; valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’allegato XXXIII; evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’allegato XXXIII; sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria.
A fronte di tali prescrizioni lo spazio lasciato al datore di lavoro per l’individuazione delle misure di prevenzione da adottare é residuale, dovendo egli in via prioritaria evitare la movimentazione manuale dei carichi; solo in via sussidiaria egli può ricorrere alla movimentazione manuale dei carichi; in tal caso egli deve organizzare l’attività ed i luoghi di lavoro in modo da ridurre al minimo i rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi, in particolare organizzando i posti di lavoro in modo da garantire la sicurezza e la salute degli addetti.
Già questa minime precisazioni consentono di evidenziare l’infondatezza dei rilievi difensivi, che evocano le scelte operate dallo S.E.A. come ragione di esonero da responsabilità; senza dare alcun conto sia della impossibilità di organizzare la movimentazione meccanica dei pannelli e senza considerare che prima ancora di dare disposizioni ai lavoratori di operare secondo determinate modalità, il datore di lavoro é tenuto ad organizzare l’ambiente di lavoro in modo da garantire sicure condizioni di lavoro. Peraltro, il ricorrente indulge nella prospettazione di censure in fatto, confrontandosi direttamente con la ricostruzione dell’accaduto e ponendo affermazioni apodittiche che contrastano con quanto accertato dai giudici di merito, senza riuscire ad individuare vizi della motivazione resa in particolare dalla Corte di Appello. Invero, ciò può dirsi per l’asserita predisposizione del documento di valutazione dei rischi (subito seguita dalla puntualizzazione che in esso mancavano indicazioni quanto alle misure specifiche per la movimentazione di carichi); per l’avvenuto rilascio di disposizioni concernenti le modalità operative con le quali il lavoro di assemblaggio dei pannelli doveva essere eseguito e per la connessa adozione degli strumenti di sicurezza ed i mezzi necessari. Parimenti assertiva e priva di correlazione con la decisione impugnata é l’affermazione secondo la quale la movimentazione dei pannelli doveva essere necessariamente fatta spostandone uno per volta e che erano state date direttive in tal senso ai propri dipendenti.
Tutto ciò evidenzia che il ricorrente non ha posto in essere quanto prescritto dalla normativa antinfortunistica.
Ma il fulcro dell’argomentazione del ricorrente é in definitiva che le ‘misure’ dal medesimo individuate sarebbero state sufficienti ad evitare l’evento solo che il lavoratore le avesse osservate; mentre, all’inverso, questi aveva tenuto un comportamento abnorme.
Orbene, é sufficiente rammentare che la giurisprudenza di questa Corte é ben salda nel porre il principio secondo il quale é sempre esclusa l’abnormità di una condotta pur negligente, imperita o imprudente di un lavoratore che svolga i compiti assegnatigli (da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227).
Parimenti semplicemente antagonista all’accertamento condotto dalla Corte di Appello é l’affermazione di un ambiente di lavoro di dimensioni confacenti alle operazioni di movimentazione manuale dei pannelli, anche in presenza delle particolari ed errate modalità di accatastamento.
3.2. Infondato è anche il motivo che si indirizza al diniego delle attenuanti generiche. Invero non si vede come possa definirsi apparente una motivazione che fa perno sulla gravità del reato; ed il fatto che la corte territoriale abbia ritenuto il concorso di colpa del lavoratore non implica il necessario riconoscimento della diminuente in parola. Occorre tener presente che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
Quanto alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al pagamento della somma prevista a titolo di provvisionale, va rilevato come la motivazione resa sul punto dalla Corte di Appello debba necessariamente apprezzarsi in relazione al correlato motivo di appello, il quale rappresentava la superfluità dell’apposta condizione, stante il ristoro della persona offesa assicurato dalla provvisionale e l’intervenuta erogazione di una pensione da parte dell’Inail; e rimarcava il positivo comportamento assunto dallo S.E.A. per l’avvio della pratica previdenziale. E’ a tanto che la Corte di Appello ha replicato, in termini pertinenti e non manifestamente illogici, rammentando la legittimità della subordinazione del beneficio al pagamento della somma prevista a titolo di provvisionale.
3.3. Per contro é fondato l’ultimo motivo. Risulta effettivamente manifestamente illogico il diniego della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria sulla base di una circostanza non solo risalente a molti anni addietro rispetto alla statuizione ed inoltre, nel mentre non concede la conversione della pena detentiva ritenendo il pericolo di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria concede il beneficio della sospensione della pena subordinata al pagamento di una somma di non piccola entità.
Il provvedimento impugnato deve quindi essere annullato limitatamente alla statuizione concernente il diniego della conversione della pena detentiva, con rinvio alla Corte di Appello di Catania per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla conversione della pena detentiva in pecuniaria con rinvio sul punto alla Corte di Appello di Catania; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/1/2016.

Lascia un commento