Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, ud. 24.02.2016 (dep. marzo), n. 12700

Infortunio con la macchina perforatrice: non è stata la macchina in sé a determinare i danni ma gli accessori montati sulla stessa e la mancanza di separazione degli organi in movimento.


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 24/02/2016

Fatto

1. La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Como, appellata dall’imputato T.W., con la quale il predetto era stato condannato per il reato di lesioni colpose aggravate, n.q. di datore di lavoro, ai danni del dipendente C.S..
2. La vicenda riguarda un infortunio sul lavoro accaduto in un cantiere privato. Si trattava, in particolare, di un giardino nel quale la ditta Erba Fondazioni s.r.l., della quale era titolare l’imputato, doveva realizzare una perforazione del terreno e l’impianto di alcuni pali finalizzati alla successiva installazione di una recinzione. Per effettuare il lavoro, era stata utilizzata una macchina perforatrice fornita da altra ditta che l’aveva noleggiata “a freddo”, senza fornire né l’operatore, né gli accessori, né gli ulteriori attrezzi di completamento finalizzati allo scopo specifico.
Nella specie, la perforatrice era di limitate dimensioni, il cantiere di modesta grandezza e sullo stesso non vi era ampio spazio di manovra.
L’addetto alla perforazione era il dipendente C.S. il quale, per la profondità del foro e per il tipo di terreno, aveva utilizzato delle “prolunghe” e cioè degli strumenti di raccordo che erano stati ritenuti anomali da tutti i consulenti ascoltati, poiché il loro utilizzo aveva determinato la compresenza di due trascinatori, in luogo dell’unico normalmente utilizzato, con una duplicazione ritenuta non funzionale rispetto al lavoro da svolgere, rivelatasi poi determinante nella causazione dell’incidente che era avvenuto proprio a causa di quel meccanismo.
L’infortunio non avveniva, infatti, durante le fasi di lavorazione o manutenzione in senso proprio, ma successivamente, allorché il lavoratore, per evitare che i residui di terra presenti sul vicino muretto potessero nuovamente cadere all’interno dei fori già praticati con la perforatrice, decideva di ripulire il muretto con l’aria compressa, mentre l’utensile ruotante del macchinario era in azione, dando le spalle ad esso e spostandosi all’indietro.
Così facendo, il lavoratore non si era avveduto del fatto che il voluminoso braccio della giacca a vento indossata veniva agganciato dal trascinatore citato, così rimanendo a sua volta trascinato dalla macchina, riportando lesioni gravissime (tra cui, l’amputazione del braccio sinistro, a seguito delle trombosi createsi nonostante gli interventi chirurgici ai quali veniva sottoposto, e un danno permanente alla vista per una trombosi verificatasi in prossimità dell’occhio sinistro).
La Corte del gravame ha riconosciuto la penale responsabilità del T.W. (unico soggetto condannato in primo grado, essendo stati assolti gli amministratori della società produttrice della macchina e di quella che l’aveva data a noleggio all’imputato), dando atto che i motivi d’appello erano ripropositivi dei temi già esposti in primo grado, cosicchè legittimo era il rinvio alla motivazione della sentenza impugnata. Affermava, altresì, che non era stata la macchina in sé a determinare i danni, bensì gli accessori montati sulla stessa (barra di trascinamento e spinotti sporgenti – per alcuni centimetri e privi di protezione – dall’asse di rotazione) in uso alla ditta dell’imputato, oltre alla mancanza assoluta di separazione degli organi in movimento della macchina da qualsiasi, anche involontaria e accidentale, interferenza del lavoratore o di terzi.
Dalla prevedibilità dell’evento discendeva il dovere di chi rivestiva una posizione di garanzia, per l’appunto il datore di lavoro, di prevenire gli infortuni mediante adeguati dispositivi di prevenzione.
La Corte ha, peraltro, osservato che il T.W. si era posto il problema della sicurezza, poiché la macchina era stata dotata di una funicella meccanica tesa in parallelo con la trivella, sistema che si era però rivelato del tutto inidoneo.
Quanto agli obblighi di formazione, quel giudice ha ritenuto che l’esperienza ventennale dell’operaio addetto alla perforazione, non equivaleva alla sua formazione adeguata in ordine alle attività potenzialmente rischiose, essendo emersa la totale carenza della ditta sul punto.
Ininfluenti sono state ritenute le doglianze afferenti al comportamento imprudente della vittima, tale da non potersi considerare abnorme, eccezionale o esorbitante.
3. Avverso la sentenza della Corte milanese ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo di difensore, con il quale ha dedotto:
1) vizio motivazionale, rilevando che per i giudici del doppio grado di merito la macchina perforatrice era assolutamente idonea, rispondente alle norme di sicurezza, tanto da determinare l’assoluzione del costruttore di essa e del proprietario noleggiatore e ciò malgrado si fosse ritenuto che essa era priva delle apposite barriere di segregazione dell’area lavoro e di idonea protezione delle sporgenze delle spine di bloccaggio del trascinatore; che quel tipo di macchinario non può essere dotato di barriere di segregazione e che gli spinotti del trascinatore interno non possono essere dotati di protezione; contestando la ritenuta irrilevanza della circostanza che l’impigliamento fatale aveva coinvolto il trascinatore “basso”, quello cioè che avrebbe dovuto esserci e non quello aggiuntivo, rilevandosi in ciò una ulteriore, manifesta illogicità; rilevando l’erroneità dell’assunto ritenuto in sentenza secondo cui l’inidoneo stratagemma di sicurezza (funicella metallica rossa) sarebbe stato inventato dal T.W., a riprova della sua consapevolezza dell’esistenza di un problema di sicurezza legato all’utilizzo del macchinario, esso rappresentando, al contrario, una delle dotazioni della Beretta T43; rinviando, infine, al contenuto dei motivi d’appello;
2) vizio di erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 41 comma 2 cod. pen., in relazione al comportamene abnorme della vittima che, dopo aver lasciato in funzione la macchina, decideva di pulire un muretto adiacente all’area di lavoro, dando le spalle alla stessa e indietreggiando verso di essa.
Con memoria depositata il 12 febbraio 2016, l’INAIL, in persona del suo Presidente, ha dedotto l’inammissibilità del primo motivo, con esso proponendosi una rivalutazione del fatto, e l’infondatezza del secondo, per essere la motivazione della sentenza impugnata del tutto logica e coerente.

Diritto

1. Il ricorso va rigettato, essendo i relativi motivi infondati.
2. Il ricorrente ripropone, infatti, gli stessi argomenti difensivi articolati nei due gradi di giudizio, con i quali i giudici di merito si sono ampiamente confrontati e oppone alle motivazioni della Corte territoriale una diversa lettura dei mezzi di prova, inammissibile in sede di legittimità, a fronte di un apparato argomentativo della sentenza impugnata immune dai vizi di illogicità e contraddittorietà denunciati.
La responsabilità del T.W., infatti, è discesa direttamente dalla posizione di garanzia ricoperta, invero neppure contestata, laddove il ricorrente sostanzialmente disancora il nesso causale dal comportamento omissivo contestato, facendo ricadere la causazione dell’evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che anche essa, nonostante il suo ruolo attivo nella esecuzione dei lavori, era destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
Sul punto, basti richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, per ritenere che l’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell’infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento [Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015), Rv. 261946; n. 22249del 14/03/2014, Rv. 259227].
Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata, facendo proprie le argomentazioni del giudice di primo grado, è più che congrua, avendo quel giudice messo in chiaro risalto l’assenza di dotazioni (non corredanti ab origine il macchinario noleggiato, che era risultato in sé efficiente), necessarie in relazione alla natura dei lavori, e la presenza invece di accessori, in uso alla ditta dell’Imputato, che si erano rivelati causalmente collegati all’evento dannoso. Ha, poi, aggiunto che era stata riscontrata la mancanza di strumenti atti a separare l’area di lavoro dagli organi in movimento del macchinario (essendosi rivelata inidonea a tal fine la sola funicella metallica rossa), stante la prospicienza, rispetto al perno rotante, di alcune parti (perni o “pirulini”) che rendevano prevedibile l’eventualità di far rimanere impigliata in essi parte del vestiario (o di quant’altro) dei soggetti che si trovassero vicini al meccanismo.
Anche il secondo motivo va rigettato, avendo il giudice di appello fatto specifico riferimento al deficit di formazione rilevato presso la ditta dell’Imputato, tale da non poter essere bilanciato, nella prospettiva tipica della normativa antinfortunistica, dall’esperienza dei lavoratori, acquisita con la sola pratica del mestiere.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese processuali in favore delle costituite parti civili che liquida per ciascuna in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese processuali in favore delle costituite parti civili che liquida per ognuna di esse in euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 febbraio 2016

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