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Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2016, n. 12975

In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi” (Sez. 4 n.23147 del 17/04/2012, Rv. 253322; conf. Sez. 4 n. 2343 del 27/11/2013 Ud. (dep. 20/01/2014), Rv. 258436).


Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 09/03/2016

Fatto

1. Con sentenza 08/04/2015, La Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verbania, appellata dall’Imputato B.M. [con la quale il predetto era stato condannato per il reato di lesioni colpose aggravate ai sensi degli artt. 2087 c.c. 40, comma II e 590 commi I, II e III (anche in relazione ai precetti antinfortunistici di cui al d.lgs. 81/08) perché, nella qualità di titolare dell’Impresa edile “TECNEDIL”, per negligenza, imprudenza, imperizia e, comunque, non adottando nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro; non verificando che i propri dipendenti – e coloro ai quali era stato richiesto, comunque, di fornire un contributo nell’esecuzione delle opere dovendo eseguire dei lavori (porta-finestra e relativo balcone) ad un’altezza superiore ai due metri, facessero uso delle opportune opere provvisionali, cagionava, per colpa, a C.G. una lesione personale dalla quale derivava una malattia nel corpo, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni], concesse le circostanze attenuanti generiche, equivalenti alle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena inflitta, riducendo anche l’importo liquidato a titolo di provvisionale, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore, deducendo:
vizio motivazionale, con riferimento alla valutazione riguardante il comportamento della p.o. nei momenti immediatamente precedenti alla caduta, rilevando che la causa unica e determinante di quanto successo era ascrivibile all’improvvida e improvvisa determinazione del danneggiato che, per scherzo, aveva deciso di ostacolare il sollevamento della ringhiera da posizionare sulla balconata dalla quale poi cadeva, contestandosi altresì la valutazione della Corte in ordine alle testimonianze raccolte (quella della stessa p.o., e quelle dei testi presenti, Omissis), la cui contrapposizione ha risolto in favore della maggiore attendibilità del riferito dell’Omissis, obiettando che tale contrapposizione non sussisterebbe, dal momento che il primo ha riferito dati imparziali e incompleti e che non si trovava alla quota del balcone, ma di sotto e contestando la conclusione, secondo cui la deposizione del Omissis sarebbe stata di “comodo”.

Diritto

1. I motivi del ricorso sono infondati.
2. Questa in sintesi la vicenda, per come ricostruita nella sentenza impugnata.
Il 19/12/07 la p.o., C.G., impegnato in lavori di imbiancatura in una casa sita in Ghiffa, oggetto di intervento di ristrutturazione ad opera dell’impresa “Tecnedil” del B.M., era precipitato da un balcone privo di parapetto e tavole fermapiede riportando le ferite descritte nella imputazione. Il Tribunale aveva ritenuto che dell’evento lesivo dovesse rispondere l’imputato. Costui, infatti, aveva segnalato al committente il C.G., lavoratore autonomo, affinché svolgesse lavori di imbiancatura dei locali dell’edificio in corso di ristrutturazione, ma ne aveva nell’occorso richiesto direttamente l’intervento per la posa della ringhiera. Egli, peraltro, non aveva apprestato alcuna protezione sul balcone – privo di ringhiera – dal quale era caduto il C.G., pur essendovi tenuto, a salvaguardia della sicurezza non solo dei propri dipendenti ma anche di tutti coloro (ivi compresi i lavoratori autonomi) che erano chiamati a lavorare nel cantiere medesimo.
L’istruttoria dibattimentale aveva infatti dimostrato che quel giorno B.M. aveva chiesto l’aiuto della p.o. per il sollevamento, mediante carrucola, di una ringhiera in ferro dal piano terra al balcone al terzo piano, dove si erano piazzati la p.o. e un dipendente dell’imputato (Omissis). Proprio nel corso di questa operazione il C.G. era precipitato al suolo ove operavano, invece, Omissis (collaboratore di C.G.) e lo stesso B.M.. Sicché l’imputato, coinvolgendo nel lavoro l’imbianchino, aveva assunto una posizione di garanzia nei suoi confronti in base alla normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Quanto all’asserito, inconsulto gesto del C.G. (consistito nel tirare dall’alto la corda di sollevamento della ringhiera, sporgendosi eccessivamente dal balcone, per fare uno scherzo al B.M.), il primo giudice, oltre a non ritenere sufficientemente dimostrata la circostanza, ne aveva ritenuto comunque l’irrilevanza, in base al principio per cui le misure di prevenzione hanno lo scopo di tutelare i lavoratori anche rispetto a comportamenti imprudenti degli stessi.
3. Con il gravame, la parte – eccependo in via preliminare la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra accusa e condanna (in quanto l’affermazione di responsabilità dell’imputato era stata ritenuta sulla base di un addebito non enunciato nel capo di imputazione), aveva censurato la condanna, in quanto il B.M. non era datore di lavoro del C.G.; l’infortunio non era avvenuto quando C.G. stava svolgendo lavori di imbiancatura all’interno dell’edificio, bensì mentre si trovava – senza che ricorresse alcuna esigenza ricollegabile ai lavori da lui eseguiti – sul balcone dello stabile; la testimonianza del principale teste d’accusa, Omissis, era irrilevante, considerata la dinamica dell’infortunio ed essendo stato egli menzionato per la prima volta dalla difesa di parte civile nell’istanza di riapertura delle indagini; era invece decisiva la deposizione del teste Omissis il quale, trovandosi sul balcone, aveva assistito alla irresponsabile condotta del C.G., avendo spiegato il motivo dell’iniziale silenzio, allorché era stato sentito dagli Ispettori del Lavoro (non nuocere al C.G. che rischiava di perdere l’indennizzo INAIL); la causa dell’evento era da ravvisarsi nel comportamento abnorme ed imprevedibile del C.G., come tale idoneo ad interrompere il nesso causale tra l’omissione contestata all’imputato e l’evento lesivo.
Infine, l’appellante aveva invocato la concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata e la riduzione della pena e l’esclusione, riduzione o sospensione della provvisionale liquidata (poi effettivamente ridotta con ordinanza 21/12/10 dalla Corte d’appello).
4. La Corte ha disatteso l’eccezione preliminare, non ravvisando la violazione dedotta con il primo motivo, con il quale l’appellante non aveva neppure considerato che il capo di imputazione non conteneva un espresso richiamo alle norme prevenzionali specificamente violate, norme da considerarsi pacificamente applicabili nella vicenda in esame [artt. 16 (ponteggi ed opere provvisionali nei lavori eseguiti ad un’altezza superiore a mt. 2 da terra) e 68 del d.P.R. 164/56 (difesa delle aperture prospicienti il vuoto)], senza che ciò implicasse una lacuna della contestazione, tale da determinare pregiudizio al diritto di difesa, sia perché (nonostante il mancato richiamo all’articolo di legge) risultava chiaramente enunciato il dovere comportamentale, ma anche perché, per giurisprudenza costante, la contestazione della colpa generica (“per negligenza imprudenza, imperizia e comunque non adottando nell’esercizio dell’impresa … le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro”) assorbe e quella di colpa specifica anche per profili non espressamente enunciati.
Quanto alle ulteriori doglianze, poi, la Corte territoriale, pur riconoscendo per provato che B.M. non era il datore di lavoro del C.G. (un artigiano-imbianchino che l’imputato si era limitato a segnalare al M., committente-proprietario dell’edificio in ristrutturazione, onde tra quest’ultimo e la p.o. si era venuto ad instaurare un rapporto di lavoro autonomo avulso da quello di lavoro subordinato tra B.M. ed i dipendenti dell’impresa “Tecnedil”), ha però ritenuto sussistente la posizione di garanzia attribuita dal primo giudice all’imputato alla luce dell’avvenuto coinvolgimento di fatto dell’infortunato nell’esecuzione di alcune opere (installazione di ringhiera su un balcone), non rientranti nel suo rapporto di prestazione d’opera con il M. (lavori di imbiancatura dei locali) e rientranti, invece, nell’intervento di ristrutturazione oggetto dell’appalto tra il committente M. e la “Tecnedil” del B.M..
Del resto, per la Corte del merito, la circostanza che il cantiere principale fosse ancora “attivo” emergeva dalle foto del sito e dal fatto che lo stesso B.M. ci stesse ancora lavorando (impegnato nella messa in posa delle ringhiere, per l’appunto).
Quanto al profilo concernente la dinamica dell’incidente, la Corte ha operato un vaglio critico delle fonti di prova dichiarativa, ritenendo irrilevanti le deposizioni di C.G., che aveva dichiarato di non ricordare nulla al riguardo e di G. (che si era limitato a riferire quanto appreso in ospedale circa la versione del B.M.) e focalizzando l’attenzione sul rilevato contrasto tra le versioni della dinamica offerte dai testi Omissis: secondo il primo teste, B.M. si era rivolto a C.G. e Omissis (impegnati nei lavori di verniciatura dei locali), perché lo aiutassero a sollevare dal piano terra al terzo piano una ringhiera da posizionare su un balcone privo di protezioni; B.M. e Omissis avevano agito a terra manovrando una carrucola (o argano a mano), alla quale era agganciata una corda con cui era stata imbracata la ringhiera; sul balcone operavano invece la vittima e il Omissis (dipendente Tecnedil) che tenevano l’altro capo della corda e dovevano favorire il sollevamento della ringhiera; ad un certo punto, B.M. e Omissis avevano mollato la presa ed immediatamente dopo C.G. era precipitato al suolo; secondo il teste Omissis, invece, nel sollevamento della ringhiera erano impegnati solo lui (al terzo piano) e B.M. (a terra), mentre C.G. si trovava dentro la stanza a verniciare, e Omissis si trovava al piano terra senza fare nulla di preciso; ad un certo punto la p.o., per fare uno scherzo a B.M., aveva abbandonato il proprio lavoro e si era messo a tirare la corda (con cui era imbracata la ringhiera), facendo forza in senso contrario alla salita della ringhiera dal basso verso l’alto e perdendo così l’equilibrio.
La Corte d’appello, nel dare credito al racconto dell’Omissis, ne ha illustrato ampiamente le ragioni: la sua versione dell’accaduto era più verosimile, muovendo da una esigenza operativa compatibile con la lavorazione in corso, laddove quella del Omissis si era incentrata sul presunto gesto inconsulto, estemporaneo, imprevedibile ed irresponsabile posto in essere dallo stesso infortunato, senza alcuna percezione del rischio cui avrebbe esposto se stesso e gli altri;
Omissis aveva sempre confermato la sua versione, sebbene non fosse stato sentito nell’immediatezza perché assente dal cantiere al momento del sopralluogo e la sua presenza sul posto fosse stata riferita dalla p.o. al P.M, solo in sede di riapertura delle indagini; il Omissis, invece, aveva reso dichiarazioni diverse agli Ispettori SPRESAL (in base alle quali egli non aveva visto la dinamica dei fatti), rispetto a quelle rese poi in dibattimento, allorché aveva riferito la versione del c.d. “scherzo” da parte del C.G..
La Corte territoriale, peraltro, ha pure spiegato perché non ha creduto alla spiegazione di tale contrasto (evitare a C.G. di fare cattiva figura con quelli dell’ASL): la stessa, infatti, era palesemente inverosimile, poiché in base ad essa il Omissis, senza esserne neppure richiesto dall’interessato, che aveva perso conoscenza, avrebbe dichiarato il falso a PP.UU. in vista di possibili esiti negativi delle procedure INAIL di indennizzo dell’infortunio, laddove era ben più plausibile che il teste avesse deciso di rendere in dibattimento una versione dell’accaduto, allo scopo di agevolare la linea difensiva del datore di lavoro.
La versione “Omissis”, inoltre, era più coerente con le esigenze lavorative (difficoltà della manovra, assenza di protezioni sul balcone), poiché certamente il sollevamento di una pesante ringhiera, da terra e fino ad oltre 7 metri di altezza, avrebbe richiesto l’impiego non di due, ma almeno quattro persone, di cui due operanti con la carrucola a piano terra ed altre due operanti sul balcone al terzo piano, mentre la versione “Omissis” non era in grado di spiegare la posizione di inoperosità di Omissis a piano terra, poiché – nella logica intrinseca a tale versione – egli avrebbe dovuto trovarsi all’Interno dei locali, intento insieme al C.G. ai lavori di verniciatura.
5. Le censure articolate con il ricorso (che, in questo giudizio, tuttavia, si sono ristrette alla valutazione delle prove da parte del giudice di merito con riferimento alla dinamica dell’incidente ed al comportamento tenuto dalla stessa p.o.) sono infondate.
Esse, intanto, si risolvono nella riproposizione dei motivi del gravame, senza che la parte si sia confrontata con la motivazione della sentenza d’appello, che è del tutto coerente ai principi di diritto in materia, oltre che logica e scevra dai vizi dedotti con il ricorso.
Deve ritenersi provato, infatti, che l’imputato ha assunto la posizione di garanzia che la legge gli attribuisce, avendo peraltro richiesto l’opera del C.G. nella esecuzione dei lavori commissionati dal committente M..
Sul punto specifico, la Corte non intende discostarsi dai principi formulati proprio da questa sezione, secondo cui, “In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli arti. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi” (Sez. 4 n.23147 del 17/04/2012, Rv. 253322; conf. Sez. 4 n. 2343 del 27/11/2013 Ud. (dep. 20/01/2014), Rv. 258436).
Quanto alla dinamica dell’incidente e alla ricostruzione del comportamento tenuto nell’occorso dalla p.o., si rileva che la motivazione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto di accedere alla versione del teste Omissis, rispetto a quella del teste Omissis, è del tutto coerente con il compendio probatorio ampiamente illustrato, logica e per nulla contraddittoria, dovendosi altresì richiamare i limiti del controllo di legittimità, alla luce dei quali deve considerarsi preclusa in questa sede una mera rivisitazione della valutazione delle prove e del fatto operata dal giudice del merito sulla scorta di un percorso logico-argomentativo immune, per quanto detto, dai vizi denunciati.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile che si liquidano in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

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