Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 07 luglio 2015, n. 35339

Cedimento di un pilastro e infortunio mortale. Più titolari di posizioni di garanzia.


 

Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
Data Udienza: 07/07/2015

Fatto

1. Ricorrono per cassazione i rispettivi difensori di fiducia di V.A., F.C. e C.L.R. avverso la sentenza emessa in data 26.5.2014 dalla Corte di appello di Milano che, in parziale riforma di quella del Tribunale di Milano in data 12.2.2013, dichiarava anche F.C. e V.A. colpevoli del reato di omicidio colposo aggravato (artt. 113, 589 co. 2 c.p.) dalla violazione delle norme a tutela degli infortuni sul lavoro, loro ascritto e, con attenuanti generiche e quella di cui all’art. 62 n. 6 c.p. prevalenti sull’aggravante, li condannava alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno con i doppi benefici di legge per entrambi confermando nel resto la sentenza di primo grado che aveva condannato alla medesima pena predetta C.L.R. e P.R. per il medesimo reato.
2. Secondo l’imputazione, C.L.R., quale legale rappresentante/datore di lavoro della s.r.l. CO.GE.IND., F.C., amministratore delegato/datore di lavoro della “MABO Prefabbricati p.a.”; V.A., amministratore delegato /datore di lavoro presso “V. s.p.a.”; P.R., coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori (ma anche in materia di sicurezza e per l’esecuzione dei lavori: CSP e CSE), (oltre F.A., preposto della CO.GE.IND s.r.l., assolto), operando sulla base di relazioni contrattuali per cui: “Valore Reale SGR s.p.a.” (committente) affidava in appalto a “V. s.p.a” (affidataria) la progettazione ed esecuzione delle opere relative al complesso immobiliare sita in Peschiera Borromeo; “V. s.p.a.” affidava a “MABO Prefabbricati s.p.a.” (impresa esecutrice) l’appalto relativo alla progettazione esecutiva e costruttiva, la fornitura, il trasporto e la posa in opera di strutture portanti prefabbricate; “MABO Prefabbricati s.p.a.” affidava in subappalto a “CO.GE.IND s.r.l.” (impresa esecutrice) il montaggio della struttura prefabbricata oggetto del contratto con “V. s.p.a.”, mediante condotte colpose attive ed omissive realizzate in occasione della posa di un pilastro all’interno del cantiere edile in Peschiera Borromeo, cagionavano la morte di H.S., dipendente della ditta CO.GE.IND s.r.l.”.
In particolare, la persona offesa – utilizzando il cestello della piattaforma aerea a disposizione – si portava ad un’altezza di circa 4/5 metri da terra in verticale ed in prossimità del pilastro prefabbricato (di 15,40 mt. e 19 tonn. di peso) per collaborare all’operazione cd. di “messa a piombo”; quindi -dopo il distacco dei perni di aggancio delle funi all’autogrù- a causa dello scorretto utilizzo dei puntelli, tasselli e della scorretta geometria di montaggio e di sostentamento, il pilastro cedeva e, cadendo, investiva il braccio telescopico della piattaforma aerea e il cestello su cui operava la persona offesa, così determinando la caduta dello stesso che trovava la morte per traumatismo contusivo. A tutti era contestata, oltre alla colpa generica, quella specifica per varie violazioni delle prescrizioni del D.lgs. 81/08: segnatamente, la violazione dell’art. 2087 cc, omessa redazione del POS, mancata messa a disposizione della persona offesa di attrezzature idonee ai fini della sicurezza, mancata assicurazione dell’idonea informazione ed addestramento della persona offesa, mancata attuazione delle disposizioni del P.S.C, con l’adozione di cinture di sicurezza (C.L.R.), la redazione di un PSC inadeguato (F.C.); la mancata vigilanza sulle condizioni di sicurezza dei lavori e sulle prescrizioni del PSC (V.); per mancata redazione del PSC secondo i contenuti minimi dell’allegato XV del d.lgs. del POS MABO Prefabbricati s.p.a.” (P.R.).
L’incidente mortale si verificò per il cedimento del sistema di sostegno del pilastro in posizione verticale e della conseguente caduta a terra dello stesso. La causa che determinò il cedimento dei tasselli di ancoraggio del pilastro era rappresentata dalle eccessive sollecitazioni a cui gli stessi furono sottoposti per effetto dello scorretto utilizzo dei puntelli e dei tasselli stessi nonché dell’altrettanto scorretta geometria di montaggio, ossia lo schema costituito dall’insieme del pilastro, dalle superfici di appoggio e dei puntelli, con particolare riferimento alle loro dimensioni in lunghezza e alla loro angolazione eccessivamente ridotte, secondo gli accertamenti svolti dal ct. ing. DC..
La Corte territoriale, su appello del P.M., ravvisava la responsabilità anche dei committenti assolti in primo grado, ossia di V.A., primo appaltante, che non verificò le condizioni minime di sicurezza (e tra esse un adeguato POS da parte delle imprese esecutrici MABO e COGEIND), la cui assenza era di palmare evidenza, su una fase particolarmente delicata delle lavorazioni e di F.C., essendovi comunque a carico del committente/appaltatore, l’obbligo assoluto di controllo generale sulla corretta esecuzione dei lavori ed essendo la radicale inadeguatezza del POS di CO.GE.IND e dei documenti equipollenti di MABO prefabbricati s.p.a. di agevole ed immediata percepibilità.

3. Nell’interesse di V.A. si deducono i motivi di seguito sinteticamente riportati.
3.1. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla violazione degli artt. 97 D. lgs. 81/08 e 43 c.p., contestando le argomentazioni della Corte laddove aveva ravvisato gli estremi della condotta omissiva colposa a carico anche del V. nei confronti dei dipendenti delle ditte subappaltatrici, richiamando l’interpretazione dell’art. 97 d.lgs cit. data dal primo giudice secondo il quale all’impresa affidataria non spettava la verifica analitica ed approfondita della congruenza dei POS delle imprese esecutrici (di competenza, invece, del coordinatore per la Sicurezza in fase di esecuzione) ma solo della congruità dei singoli POS con il PSC volto, in sostanza, alla prevenzione dei “rischi interferenziali” e rilevando che le problematiche relative al montaggio dei pilastri, ivi compresa la geometria dei puntelli, rappresentavano aspetti estranei al PSC e non potevano essere affrontati in via preventiva all’interno dei singoli POS con sufficiente grado di dettaglio.
3.1.1. Né era corretto ritenere che il V. non avesse vigilato sulle condizioni di sicurezza dell’impresa affidataria e sul coordinamento degli interventi di cui agli artt. 95 e 96 D.lgs 81/2008, avendo stipulato con la MPartner srl un complesso contratto di “Servizio integrato di Project e Construction management” in cui era compreso anche il coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione.
3.1.2. Inoltre il V. (come si evinceva da plurime deposizioni) aveva svolto una diretta attività di vigilanza anche tramite i propri dipendenti.
3.1.3. Vi era, peraltro, totale carenza di motivazione sotto il profilo della contestata colpa generica.
3.2. Il vizio motivazionale in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro, laddove aveva ritenuto, sulla base di quanto riferito dal C.T. DC., che le cause di esso fossero plurime e non già, come assunto dalla difesa, individuabile nel cedimento del pilastro dovuto ad uno scorretto serraggio dei tasselli delle piastre.
3.3. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 125 c.p.p. laddove si era riportata integralmente alla ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice senza spiegare la preferenza data a questa invece che a quella offerta dai consulenti della difesa e ciò a fronte di una riforma della sentenza di primo grado in punto di responsabilità dell’imputato.
3.4. Il vizio motivazionale e la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della attenuanti generiche nella loro massima estensione e all’entità della pena inflitta che non era partita dal minimo edittale.

4. Nell’interesse di C.L.R., si articolano i motivi di seguito riportati in sintesi.
4.1. la violazione di legge atteso il rigetto dell’eccezione ex art. 523, VI comma c.p.p. sollevata con i motivi di appello dalla difesa con riferimento all’interruzione della discussione disposta di giudice di primo grado per assumere il riesame del et. del P.M. ing. Carlo DC., ribadendo la ricorrenza di una nullità di ordine generale poiché non si poteva, in forza di tale norma, disporre la ripetizione di prove già acquisite;
4.2. l’erronea applicazione dell’art. 164 c.p., in relazione al rigetto dell’impetrato beneficio della sospensione condizionale della pena.

5. Nell’interesse di F.C., si propongono i motivi di seguito sinteticamente riportati.
5.1. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla sussistenza della responsabilità colposa, atteso l’intervenuto subappalto totale del montaggio alla ditta CO.GE.IND che svolgeva le operazioni di esecuzione in completa autonomia organizzativa e tecnica con propri mezzi e proprio personale ed era l’unico datore di lavoro della persona offesa, come tale tenuto ad adottare le misure idonee ad evitare la caduta del pilastro e qualsiasi altro tipo di evento lesivo che potesse derivare da un cattivo montaggio: onde alla stregua dell’art. 96 lett. g) D.lgs 81/2008 solo alla COGEIND spettava l’obbligo di redigere il POS. Comunque la MABO aveva fattivamente collaborato, diversamente da quanto affermato in sentenza, fornendo un manuale di montaggio provvisto di indicazioni atte alla successiva elaborazione del POS ed il suo obbligo si era esaurito nella verifica dell’idoneità tecnica (incontestata) dell’impresa a cui appaltare.
Peraltro, attesa l’assunzione dell’incarico di a.d. del F.C. nel giugno 2009, era chiaro che il suo predecessore (che aveva firmato il manuale di montaggio) e non lui aveva svolto le eventuali verifiche sui documenti al momento dell’instaurazione del rapporto negoziale con la CO.GE.IND, avendo avuto inizio nel gennaio 2009 il montaggio: sul punto, rappresentato, con memorie scritte, la Corte territoriale non aveva speso una parola.
Quanto alla contestata e ritenuta colpa generica, si rileva che quando la regola cautelare scritta esaurisce il grado di cautela richiesto nella situazione concreta, non può residuare l’addebito per colpa generica.
5.2. La violazione di legge ed il vizio motivazionale laddove la Corte non aveva per nulla replicato alla deduzione difensiva concernente la nomina del F.C. ad amm/re delegato solo 28 giorni prima dell’infortunio.
5.3. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla determinazione della pena in concreto.
5.4 E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse di F.C., con cui si ribadiscono le censure ed argomentazioni rappresentate con il ricorso.

Diritto

6. Tutti i ricorsi sono infondati e vanno respinti.
7. Ed anzi quello del C.L.R si pone ai limiti dell’inammissibilità.
Infatti, il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod. proc. pen., può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto, ove sussista il requisito della loro assoluta necessità (Cass. pen. Sez. I, n. 3979 del 28.11.2013, Rv. 259137) e nulla esclude, fermo restando tale condizione, che tra le nuove prove possa rientrare anche la reiterata escussione di un teste, del perito o del ct. per lumeggiare punti decisivi rimasti poco chiari.
Del resto, come osservato sul punto dal Giudice a quo (pag. 37 sent.) richiamando la pronuncia di questa Corte n. 35191 del 3.7.2008, Rv. 240954, la sospensione della deliberazione può essere disposta per assoluta impossibilità finanche quando il giudice si avveda, nella camera di consiglio successiva alla discussione finale, di non potersi formare un convincimento per l’esistenza di risultanze probatorie irrimediabilmente contrastanti, rendendosi così necessaria lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria. Inoltre, il diniego della sospensione condizionale della pena, fondata sugli specifici precedenti dell’imputato ostativi della positiva prognosi di astensione da analoghi reati, è sorretta da congrua e corretta motivazione (pag. 40) insuscettibile di censure di sorta.
8. Quanto alle censure dedotte dal V. e dal F.C. sub 3.1., 3.1.1. e 5.1, giova premettere che (Cass. pen. Sez. IV, 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187) nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette.
Invero, si deve constatare l’estrema accuratezza della motivazione della sentenza impugnata che ha anche assolto all’onere di quella motivazione “rafforzata” che la giurisprudenza di questa Corte richiede nei casi di “reformatio in peius” della sentenza di primo grado.
Peraltro, si deve ribadire con il giudice a quo che, se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire l’evento, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Cass. pen. Sez. IV, n. 8593 del 22.1.2008, Rv. 238936; Sez. IV, n. 18826 del 9.2.2012, Rv. 253850).
Nel caso di specie la responsabilità anche dei due committenti è stata ritenuta in forza delle carenze rilevate ed in particolare della mancanza di qualsiasi direttiva o indicazione ai lavoratori in una fase particolarmente critica delle lavorazioni con fornitura di attrezzature del tutto inadeguate al montaggio in sicurezza dello specifico pilastro: infatti né nel POS di CO.GE.IND. né in quello di MABO Prefabbricati s.p.a., diretta fornitrice dei pilastri e che aveva subappaltato la loro messa in opera alla CO.GE.IND., era stato possibile ravvisare le precise previsioni ed istruzioni particolareggiate sul montaggio dei pesantissimi pilastri (pag. 22 sent), sicché tutta l’attività era stata in definitiva lasciata all’iniziativa dei semplici operai. Ora, benché in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, sia riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, e non possa esigersi da quest’ultimo un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, questo, se effettuato (come assume il ricorrente V. sub 3.1.1.), non è certo determinante ai fini dell’esclusione della responsabilità del committente medesimo: infatti, occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, e riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Cass. pen. Sez. IV, n. 3563 del 18.1.2012 Rv. 252672).
Ed anzi, si è anche detto, il committente, è titolare di un’autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (Cass. pen. Sez. IV, n. 10608 del 4.12.2012, Rv. 255282, citata nell’impugnata sentenza).
Infatti, il subappalto dell’esecuzione dei lavori ad altra ditta, che abbia così assunto il ruolo concreto di impresa esecutrice dei lavori, non vale ad escludere la responsabilità del subappaltante committente, atteso che in caso di lavori affidati in appalto la ditta, appaltante o subappaltante, deve fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in relazione all’attività da svolgere, ed entrambe le ditte debbono cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata; così che in presenza di tale obbligo generale di collaborazione antinfortunistica è esclusa la possibilità che il solo affidamento a terzi della esecuzione dei lavori liberi l’appaltante, o il subappaltante, dalla propria responsabilità prevenzionale (cfr. Cass. pen. Sez. III, n. 15927 del 12.1.2006, Rv. 234311 e successive conformi) e si creino, di conseguenza, zone di impunità nell’ambito della concatenazione di successivi subappalti. Peraltro, nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, si trattava un un incombente lavorativo tutt’altro che specifico, dal momento che la caduta al suolo di un oggetto, benché di notevoli dimensioni e peso (facente parte, per giunta, di una numerosa serie -circa 250- di analoghi oggetti) era palesemente prevedibile da parte di tutti i soggetti interessati e certamente evitabile qualora vi fosse stato uno studio tecnico relativo alle manovre di montaggio del pilastro e all’angolazione dei tiranti con una precisa previsione di tali studi tecnici nei POS delle ditte interessate e necessariamente nel PSC e PSE, di cui i POS sono elementi integrativi di dettaglio (pag. 19 sent): ma il POS della CO.GE.IND e i documenti equipollenti della MABO Prefabbricati (che per giunta aveva una specifica competenza nelle operazioni di montaggio) erano di inadeguatezza talmente radicale riguardando finanche una delle fasi più delicate delle lavorazioni cantieristiche (per indicazione dello stesso legislatore: ali. XI d.lvo n. 81 del 2008, concernente i rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori con riferimento ai “lavori di montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati pesanti”), da essere di agevole ed immediata percepibilità (pagg. 22 e 33 sent.), sicché del tutto irrilevante è la dedotta fornitura da parte della MABO alla COGEIND di un manuale di montaggio, se poi esso non risultava essere stato trasfuso nei documenti suddetti.
L’assenza dell’adeguata progettazione per l’esecuzione della messa in opera dei 250 pilastri prefabbricati di varia altezza e ciascuno di varie tonnellate di peso, impedivano a monte qualsiasi valutazione sia della congruità sia dell’adeguatezza del POS da parte delle ditte appaltanti o subappaltanti, con il conseguente collegamento causale della relativa omissione all’evento mortale.
Quanto ancora alla censura sub 5.1. del F.C., la circostanza dell’assunzione della carica di legale rappresentante della MABO da parte del medesimo appena 28 giorni prima dell’evento, non è stata rituale oggetto di motivi di appello ma solo di memorie scritte: sul punto, dunque, la Corte non aveva alcun onere motivatorio e comunque si deve qui richiamare la sopra citata sentenza di questa Corte n. 1149 del 2005, Rv. 233187 in relazione alla mancanza di un obbligo del Giudice di appello di rispondere a tutte le deduzioni delle parti. Nulla escludeva, peraltro, che il F.C. prendesse conoscenza della situazione sia pur in quel ristretto arco temporale ed assumesse opportune iniziative.
9. In ordine alle censure mosse sub 3.1.3. e 5.1., la rilevata sussistenza della colpa specifica come contestata rende superflue ulteriori argomentazioni circa il profilo di colpa generica, come appunto rilevato dallo stesso ricorso del F.C. (pag. 10).
Quanto alle doglianze sub 3.4. e 5.3, si rammenta che la valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione delle circostanze, nonché per quanto riguarda in generale la dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p. è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cfr. Cass. pen. Sez. II, del 19.3.2008 n. 12749 Rv. 239754). Evenienza che qui deve senz’altro escludersi attesa la congrua motivazione addotta sul punto dal Giudice a quo.
10. Consegue il rigetto dei ricorsi e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7.7.2015

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