Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 10 aprile 2015, n. 38330

Movimentazione manuale di pallets e crollo del carico: infortunio mortale e responsabilità.


Fatto

1. Con sentenza del 17\3\2014 la Corte di Appello di Venezia confermava la condanna di G.G. e S.C. per il delitto di cui all’art. 589 c.p. per omicidio colposo in danno dell’operaio B.P. (acc. in Venezia Fusina il 14\1\2006). Con la pronuncia di appello la pena veniva ridotta, riconosciuta la prevalenza delle attenuanti generiche, a mesi otto di reclusione.
Agli imputati era stato addebitato, nelle rispettive qualità, l’ing. S.C. quale Responsabile della Unità Produttiva Laminati dello Stabilimento di Fusina, nonché di datore di lavoro (giusta procura notarile conferitagli dal Presidente del Consiglio di Amministrazione), l’ing. G.G., nella sua qualità di Dirigente Responsabile del Reparto, di avere cagionato per colpa la morte del B.P., lavoratore dipendente della società “ALCOA s.r.l.”, con mansioni di operaio, impegnato nella movimentazione mediante una gru a ponte di alcuni bancali di piatti di alluminio, nell’ambito del reparto spedizioni dello stabilimento di Venezia Fusina.
In particolare gli imputati, avevano omesso di aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi rilevanti ai fini della sicurezza del lavoro, con riferimento ai mutamenti relativi ai maggiori quantitativi di prodotto stoccati nell’area spedizioni ed alla presenza di due operatori nella movimentazione meccanica dei carichi; inoltre omettevano di provvedere a che le vie di circolazione per persone e mezzi situate nell’area spedizioni fossero allocate e strutturate in modo tale da permettere agli operatori di utilizzarle facilmente e in piena sicurezza; con la conseguenza che, essendo il B.P. impegnato a trasportare, da solo, da una parte all’altra del Reparto Spedizioni, mediante l’uso del carroponte, quattro pallets (con carico di alluminio) posti l’uno sopra l’altro (lunghi ciascuno 6m X 2m e del peso complessivo di 4.650 kg) ed avendo imbracato e traslato il suddetto carico fino al previsto punto di discesa, dove lo aveva abbassato sopra ad un’altra catasta di pallets, essendosi accorto che il carico non era perfettamente allineato alla catasta sottostante, si posizionava all’interno di due file di cataste, in modo da poter accompagnare con la mano il carico sospeso, così da allinearlo, mentre con l’altra azionava il carroponte mediante il telecomando per sollevare leggermente il carico, il quale, però, alzandosi e oscillando lo investiva e lo schiacciava contro la vicina catasta, procurando allo stesso lesioni personali gravissime consistite in un grave trauma cranico dal quale derivava il suo immediato decesso. Ha rilevato la Corte di merito, quanto alla responsabilità degli imputati, che :
– l’infortunio mortale si era verificato secondo le modalità descritte nel capo di imputazione;
– il posizionamento del lavoratore, al momento del deposito di una catasta in movimento, vicino ad altre cataste già depositate, era pericoloso;
– gli operatori le posizionavano in zone da loro scelte, senza il rispetto di una distanza di sicurezza l’una dall’altra, ciò in quanto il magazzino non aveva sufficiente spazio, soprattutto nella giornata di sabato, quando la produzione era a pieno regime, ma non vi era smaltimento dei prodotti, in attesa del lunedì;
– per raddrizzare il carico in discesa, oltre al radiocomando, l’operatore aveva a disposizione un’asta in alluminio, ma era prassi raddirizzare iJ carico con le mani;
– per accordo aziendale l’operazione doveva essere svolta da due operatori, uno con il radiocomando e l’altro intento a direzionare il carico;
– nonostante la negligenza della vittima, che si era posizionata sul lato lungo della catasta e non su quello corto; che non aveva fatto uso dell’asta in alluminio ed aveva effettuato un tiro obliquo del carico senza previo sollevamento, l’incidente non si sarebbe verificato se fosse stata prevista una distanza maggiore tra le cataste di palletes;
– inoltre non era stato valutato lo specifico rischio connesso al sovraffollamento produttivo in magazzino nella giornata di sabato, con conseguente riduzione degli spazi di sicurezza;
– non era, inoltre, stato controllato, nel tempo l’utilizzo di pratiche aziendali scorrette, quali il direzionamento del carico a mano con pericoloso avvicinamento dell’operatore alle cataste; né si era data adeguata attenzione alla sollecitazione sindacale della presenza di due operatori nello svolgimento della descritta attività;
– del fatto dovevano rispondere i due imputati, titolari di una specifica posizione di garanzia in ragione della qualifiche ricoperte (direttore di stabilimento il S.C.; dirigente del reparto laminatoio il G.G.).
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, lamentando :
2.1. la erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta sussistenza del nesso causale tra la presunta colposa condotta omissiva degli imputati e l’evento. In particolare: a) la corte di merito non aveva adeguatamente valutato il contesto lavorativo, nell’ambito del quale la vittima, riconosciuta in sentenza come lavoratore di ventennale esperienza, agiva di sabato come un capo reparto vicario. La circostanza dell’affollamento dei prodotti il sabato era fisiologica e pertanto non costituendo un fatto nuovo, non necessitava di un aggiornamento delle misure di prevenzione, come preteso dall’art. 4 del d.lgs. 626 del 1994. b) Non era stata data rilevanza alla circostanza che gli operatori erano dotati di telecomando, il che consentiva di gestire lo spostamento del carico con precisione ed in sicurezza, c) Anche a volere ritenere ristretti gli spazi tra le cataste, se il B.P. si fosse posizionato vicino alla linea degli armadietti, l’evento non si sarebbe verificato. Andava rilevato che le norme in vigore all’epoca del fatto non individuavano una specifica misura dello spazio di sicurezza; l’ASL dopo il fatto, l’aveva individuata in 60 cm. e quindi di soli 10\15 cm. superiore alla situazione presente al momento del fatto, pertanto, anche ad ammettere tale violazione, essa non era stata efficiente nella produzione dell’infortunio. d) Ne conseguiva che le uniche cause che, se eliminate avrebbero evitato l’evento, erano l’errato posizionamento dell’operatore sul lato lungo del carico, nell’unico senso di oscillazione e l’effettuazione del tiro obliquo, fatti entrambi imputabili alla stessa vittima; tutto ciò senza contare che la corretta interpretazione della norma dell’art. 35 sullo “spazio sufficiente” era riferita alla movimentazione degli elementi dell’attrezzatura (nel caso di specie il carroponte) pertanto la motivazione della sentenza era carente in relazione alla verifica del giudizio controfattuale, e) Quanto all’omesso preteso utilizzo dell’asta di alluminio, tale circostanza non era riportata nel capo di imputazione ed in ogni caso la stessa sentenza escludeva la necessità del suo utilizzo, se solo l’operatore si fosse collocato sul lato corto del carico; in ogni caso, il suo utilizzo era previsto solo per il caricamento degli autocarri che richiedeva una particolare allocazione del carico, f) Quanto alla presenza del secondo operatore, il giudice di merito era incorso in due erronee valutazioni, già evidenziate nei motivi di appello; in primo luogo, l’accordo sulla presenza del doppio operatore era superato dal fatto che vi era stata la dotazione di un telecomando; in secondo luogo, la presenza del secondo lavoratore sarebbe stata utile sempre che si fosse posizionato sul lato corto del carico, violazione questa commessa dalla vittima e che era stata la causa dell’incidente, pertanto anche con due operatori il rischio non sarebbe stato eliminato, in presenza della negligenza di posizionarsi sul lato lungo. In sostanza la sentenza di appello aveva reiterato l’errore del giudice di primo grado, laddove era carente nella identificazione del nesso causale tra le condotte degli imputati e l’evento, in assenza di una verifica controfattuale.
2.2. La erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del requisito soggettivo della colpa. Invero la corte di merito aveva ritenuto prevedibile una condotta “intenzionale” del lavoratore il quale, pur avendo un’esperienza ventennale, pur avendo avuto una corretta formazione, pur avendo a disposizione strumenti per lavorare in sicurezza, come il radiocomando, volontariamente, violando specifiche indicazioni aziendali, si era posizionato sul lato lungo, aveva effettuato un tiro obliquo e si era posto tra due cataste. Riconoscere in tali casi la prevedibilità e, quindi la colpa, significava dare dignità nel nostro ordinamento alla responsabilità oggettiva.
2.3. La erronea identificazione della posizione di garanzia del G.G.. Infatti il documento di Job description in cui venivano attribuiti a tale imputato degli incarichi, non era stato da lui sottoscritto e, pertanto non radicava in suo capo la posizione di garanzia pretesa nell’imputazione.
2.4. La erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione in ordine alla determinazione della pena, considerato il riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’intervenuto risarcimento del danno prima del giudizio.
2.5. Il difetto di motivazione in relazione all’ordinanza dibattimentale del 18\7\2011 ammissiva della costituzione di parte civile della FIOM-CGIL Metropolitana di Venezia per irregolarità dell’atto di costituzione.

Diritto

1. Il ricorso del G.G. è fondato ed impone l’annullamento con rinvio della sentenza; infondato è invece il ricorso del S.C..
2. La conferma della condanna del G.G. è basata sulla posizione di garanzia radicata sul suo capo in ragione della sottoscrizione del “job description” in cui gli si attribuivano competenze in tema di monitoraggio e miglioramento della sicurezza nella zona del magazzino e del laminatoio; nonché il controllo dell’osservanza delle disposizioni prevenzionali.
Il difensore dell’imputato ha lamentato il travisamento della prova laddove nella sentenza di appello, contrariamente al vero, si afferma che tale atto è stato sottoscritto dal G.G..
Orbene il travisamento effettivamente sussiste; la difesa ha allegato al ricorso la copia del “job description”, intestato (a penna) “G.G.”, che non risulta sottoscritto dall’imputato. Essendo basata la motivazione della sentenza su un assunto inesistente, si impone l’annullamento con rinvio della sentenza limitatamente all’imputato G.G..
3. Infondato, invece, è il ricorso del S.C..
4. In ordine all’eccezione relativa al difetto di motivazione dell’ordinanza con cui il tribunale aveva ammesso la costituzione di parte civile della FIOM-CGIL Metropolitana di Venezia, tale censura deve essere più correttamente intesa quale erronea applicazione della legge processuale.
Ciò premesso va ricordato che questa Corte di legittimità ha più volte chiarito che nell’ipotesi di esercizio dell’azione civile nel processo penale occorre distinguere la “legitimatio ad causam”, che si identifica normalmente con la titolarità del diritto sostanziale in capo alla persona alla quale il reato ha cagionato un danno e che è il presupposto per la costituzione di parte civile, dalla “legitimatio ad processum” o capacità processuale, per la quale il titolare del diritto che non abbia la capacità di agire deve essere rappresentato, assistito o autorizzato nelle forme prescritte per le azioni civili; diversa, ancora, è la nozione di “rappresentanza processuale”, in virtù della quale la parte civile non può difendersi da sola, ma deve stare in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale. Riguardo a quest’ultima nozione, nonostante l’art. 100, terzo comma, cod. proc. pen. disponga che la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo quando nell’atto non è espressa una diversa volontà, per ritenere estesa la procura conferita in primo grado anche in grado di appello, è sufficiente che il difensore sia designato con locuzioni quali “per la presente procedura”, “per la presente causa” e simili, in considerazione del fatto che il processo si articola in più fasi (cfr. ex plurìmis, Cass. Sez. 6, Sentenza n. 6332 del 08/03/1994 Ud. -dep. 30/05/1994-, Rv. 198507).
Nel caso che ci occupa i ricorrenti lamentano che l’atto datato 15\7\2018, rilasciato dalla Segreteria della Fiom al segretario Omissis (poi richiamato nell’atto di costituzione in dibattimento, sottoscritto dal Omissis quale Segretario Generale), non legittimava alla costituzione in quanto le firme dei rappresentati della Fiom non erano autenticate.
Pertanto il Omissis, conferendo a sua volta procura speciale (autenticata) al difensore Avv. Omissis per la costituzione, in realtà avrebbe agito in carenza di potere rappresentativo. La censura è infondata. Va chiarito che ciò che viene contestato non è la carenza di autentica della procura rilasciata al difensore, ma il vizio dell’atto a monte e cioè dell’incarico conferito dalla Fiom al Omissis per la costituzione.
Così ricostruita la vicenda processuale, ritiene la Corte che nessuna violazione della legge processuale si è maturata.
All’atto di costituzione, sottoscritto dall’Avv. Omissis su procura autenticata rilasciata dal Segretario Generale Omissis, è allegato l’atto dì incarico al detto Omissis, per la costituzione, firmato dai soggetti facenti parte della Segreteria Fiom. Tale atto allegato alla costituzione non presenta l’autentica delle firme.
Sul punto va ricordato l’orientamento della giurisprudenza civile di questa Corte, secondo il quale “Ai fini della validità della procura conferita al difensore da una società di capitali, non è necessario che del potere rappresentativo di detta società di chi l’ha sottoscritta si faccia menzione anche nella procura sottoscritta per l’ente, quando la qualità di titolare dell’organo rappresentativo del sottoscrittore sia desumibile dal contesto deiratto in cui essa è apposta e non sia, perciò, dubbia la sua riferibilità all’ente societario (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2040 del 19/02/1993, Rv. 481007).
Pertanto, tenuto conto che la procura speciale per la costituzione è stata conferita all’Avv. Omissis Segretario Generale della Fiom; che tale incarico è stato rilasciato sulla base di un mandato ricevuto dal Omissis, per iscritto, dalla Segreteria e la cui autenticità nessuno ha posto in dubbio; che nessuna disposizione prevede la necessità dell’autenticazione delle firme
di un atto deliberativo interno ad un’associazione, la cui autenticità è garantita dal richiamo che ne viene fatto nel formale atto di costituzione di parte civile; ne consegue che la doglianza formulata è infondata.
5. Quanto all’affermazione di responsabilità, va premesso che il S.C., quale responsabile della Unità Produttiva Laminati di Fusina, nonché di datore di lavoro (in ragione di specifica procura notarile conferitagli), era titolare all’epoca dei fatti di una specifica posizione di garanzia; era quindi gestore del rischio poi concretizzatosi nell’infortunio mortale del B.P.. Dall’istruttoria svolta ed illustrata con dovizia di particolari dai giudici di merito è emerso in modo chiaro che l’incidente si è verificato in quanto la vittima, per movimentare a mano il carico di pallets si era posizionato tra due cataste già allocate, nel senso del loro lato lungo, così da essere colpito dall’oscillazione della catasta in movimento che stava posizionando con il relativo successivo schiacciamento del cranio.
Ha evidenziato il giudice di merito che :
– era prassi aziendale svolgere la manovra di “aggiustamento” a mano del carico;
– gli spazi tra le cataste erano molto ristretti e, quindi, non lasciavano margine di sicurezza per il lavoratore;
– tale situazione di pericolo era particolarmente acuita nella giornata di sabato (dì dell’infortunio), per il surplus di presenza di pallets rimessati in magazzino;
– il documento di valutazione dei rischi vigente all’epoca dei fatti non prendeva in considerazione specificamente il rischio schiacciamento in ragione della ristrettezza degli spazi, soprattutto a magazzino pieno;
– la vittima aveva agito con negligenza, posizionandosi sul lato lungo del carico, invece che su quello corto, così esponendosi al rischio connesso all’oscillazione.
Ciò premesso, va evidenziato che, come correttamente rilevato dal giudice di merito, sussiste la violazione dell’art. 35 del d.P.R. 626 del 1994. Dispone il comma quarto c-bis che “Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature dì lavoro siano : disposte in maniera tale da ridurre i rischi per gli utilizzatori e per le altre persone, assicurando in particolare sufficiente spazio disponibile tra gli elementi mobili e gli elementi fissi o mobili circostanti e che tutte le energie e sostanze utilizzate o prodotte possano essere addotte o estratte in modo sicuro”.
La corte di merito, fornendo una logica interpretazione della disposizione, ha osservato come la stessa non si riferisca solo agli elementi delle attrezzature di lavoro, ma anche allo spazio di sicurezza tra il carico in movimento e l’ambiente di lavoro. In ogni caso va evidenziato che nel capo di imputazione è contestata non solo la colpa specifica, ma anche quella generica. Pertanto consentire che gli spazi tra i pallets rimessati fossero angusti, ove per prassi aziendale erano soliti posizionarsi i lavoratori, come rilevato dal giudice di merito, integra una grave violazione a regole cautelari di ordinaria prudenza e diligenza.
Pertanto in modo coerente e logico, la corte di merito ha ritenuto che, se la regola cautelare fosse stata rispettata, cioè se gli spazi tra le cataste fossero stati più ampi, si sarebbe evitato il rischio schiacciamento concretizzatosi, in quanto il lavoratore avrebbe avuto agio a non essere attinto dal carico oscillante, così rilevando la presenza del nesso causale tra l’omissione contestata e l’evento.
6. La difesa dell’imputato ha sostenuto che un lavoratore con esperienza ventennale come il B.P. non avrebbe dovuto movimentare il carico a mano ponendoli sul lato lungo (esponendosi quindi al rischio oscillazione). Il giudice di merito ha riconosciuto per tale motivo il concorso di colpa, senza però ritenere la condotta della vittima un fatto idoneo ad interrompere il nesso causale con la condotta dell’imputato.
Va rammentato che, come questa Corte ha più volte ribadito, in materia di infortuni sul lavoro, la condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionaiità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex pturimis, Cass.4, n. 21587\07, ric. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il B.P. ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività secondo consolidate prassi di lavoro. Pertanto la circostanza che la persona offesa, presa dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, sia incautamente transitando per il lato lungo del carico, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento. Ne consegue che anche tale motivo di impugnazione è infondato.
7. In ordine all’elemento soggettivo del reato, le regole cautelari violate (distanza di sicurezza tra i pallets; specifica valutazione del rischio in ragione del sovraffollamento delle cataste nel giorno di sabato), miravano proprio a prevenire l’evento poi concretizzatosi. Non coglie nel segno, pertanto, la censura difensiva laddove sottolinea che la grave negligenza di un lavoratore, con ventennale esperienza, non era prevedibile. Infatti il giudizio di prevedibilità attiene al rischio ed alla sua concretizzazione, non alla possibile condotta del lavoratore che ben è prevedibile possa essere negligente.
Sul punto questa Corte ha avuto modo di affermare che “Il datore di lavoro non può invocare a propria scusa il principio di affidamento assumendo che l’attività del lavoratore era imprevedibile, essendo ciò doppiamente erroneo, da un lato in quanto l’operatività del detto principio riguarda i fatti prevedibili e dall’altro atteso che esso comunque non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia, come certamente è quella del datore di lavoro” (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 12115 del 03/06/1999 Ud. -dep. 22/10/1999- Rv. 214997).
Quanto al requisito della evitabilità dell’evento, si richiamano le argomentazioni svolte in relazione al nesso causale ed al giudizio controfattuale: il rispetto delle regole cautelari avrebbe con alta probabilità logica evitato l’evento perché avrebbe consentito al lavoratore di non essere esposto al rischio dello schiacciamento determinato dall’oscillazione del carico, bastando a tal fine lasciare tra le cataste uno spazio sufficiente a non consentire mai l’aderenza di una catasta ad un’altra in caso di oscillazione del carico.
Anche tale doglianza è quindi infondata.
8. In relazione alle censure relative al trattamento sanzionatorio, in primo luogo quanto all’invocato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6. c.p.f va osservato che la doglianza è formulata in modo generico, in quanto non sono indicati elementi da cui desumere la tempestività, l’entità e l’esaustività del risarcimento. Inoltre tale censura non era stata formulata nei motivi di appello datati 23\7\2014.
Quanto all’entità della pena, ridotta in appello a mesi 8 di reclusione, va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati neH’articolo 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta, come nel caso di specie, contenuta in una fascia bassa rispetto alla pena edittale (cfr. ex pfurimis, Cass. IV, 20 settembre 2004, Nuciforo, RV 230278).
Infine, in relazione al diniego della conversione della pena detentiva, la corte di merito ha ritenuto che la sostituzione della pena non avrebbe realizzato la finalità rieducativa della sanzione penale, considerato che il delitto era stato commesso con gravi violazioni di norme relative alla sicurezza sul lavoro. La coerenza e la non manifesta illogicità della motivazione rendono incensurabile la sentenza sul punto in questa sede di legittimità.
Alla luce delle considerazioni svolte, si impone il rigetto del ricorso del S.C..
L’imputato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.G. e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.
Rigetta il ricorso di S.C. e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2015

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