Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 10 aprile 2015, n. 38331

Intervento manutentivo sulla macchina in avaria: inalazione di gas tossico.


 

Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IZZO FAUSTO
Data Udienza: 10/04/2015

Fatto

1. Con sentenza del 27\3\2014 la Corte di Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, confermava la condanna di DM.I., G.V. e I.D., perché, nelle rispettive qualità, il primo di responsabile di cokeria, il secondo di capo reparto batterie (3-12), il terzo di tecnico di combustione e responsabile della squadra addetta alla messa in sicurezza degli impianti, avevano provocato lesioni colpose aggravate (guaribili in gg. 113) in danno dell’operaio P.E.; fatto accaduto il 20\1\2008, presso lo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto.
Il giorno dei fatti, a seguito del verificarsi dell’avaria della macchina caricatrice del carbon fossile n. 4, nelle celle dei forni delle batterie 5 e 6, si era reso necessario un intervento manutentivo di tipo elettrico che il P.E. aveva effettuato salendo sull’impianto per lavorare alla linea elettrica, in corrispondenza di una delle candele di sfogo del gas “Afo”. Essendo presente del gas tossico all’interno della batteria n. 5, a causa del cattivo funzionamento delle candele, il P.E. aveva inalato tale gas, non indossando alcun mezzo di protezione, riportando in tal modo le suddette gravi lesioni.
Le stesse erano attribuibili alla responsabilità degli imputati in quanto, per il DM.I. ed il G.V. era stata rilevata la carente gestione e mancato controllo delle batterie 3, 4, 5 e 6, con riferimento specifico alle candele di sfogo del gas “Afo”. Inoltre essi erano responsabili della non inidoneità dello schema impiantistico in relazione alla sicurezza del lavoro, con riferimento alle modalità di rilevazione della presenza dell’ossido di carbonio. A carico dello I.D. era stata rilevata una non completa, nè puntuale, osservanza della c.d. pratica operativa al cospetto dell’evento consistente nell’apertura di ben due valvole dell’impianto di gas “Afo” all’interno della batteria n. 5.
Con la sentenza di appello veniva anche confermata la pene di cinque mesi di reclusione per ciascuno degli imputati con i benefici di legge; nonché la condanna, in solido con il responsabile civile I.L.V.A. s.p.a., al pagamento del risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, con la liquidazione di una provvisionale di € 111.224,61 in favore della costituita parte civile.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati e del responsabile civile ILVA, lamentando :
2.1. per gli imputati: il difetto di motivazione per non avere il giudice di merito adeguatamente valutato, nella sua interezza, la deposizione dell’ispettore del lavoro A. che aveva evidenziato la grave negligenza degli operai addetti alla chiusura delle valvole di sfogo gas. Tale difetto di motivazione finiva ad incidere sulla stessa sussistenza del nesso causale tra le condotte contestate agli imputati e l’evento. La corte di merito, supinamente appiattita sulle considerazioni svolte dal giudice di primo grado, si era lasciata eccessivamente suggestionare dalla lettera dell’ILVA inviata all’ispettorato del Lavoro.
2.2. La erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche ed il complessivo trattamento sanzionatorio. Il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare l’incensuratezza degli imputati , considerato peraltro che il fatto era stato commesso prima della riforma introdotta dalla legge 125 del 2008;
2.3. La erronea applicazione della legge e la mancanza di motivazione sulla concessione della provvisionale e la sua entità.
2.4. per il responsabile civile ILVA sono stati svolti motivi sovrapponibili a quelli degli imputati in punto di responsabilità.

Diritto

1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
2. Ha osservato la corte di merito nel ricostruire l’incidente, che :
– il giorno dei fatti si era verificata un’avaria alla linea elettrica aerea del carro distributore traslante sul piano di carico delle batterie coke 5-6;
– come manutentore elettrico era intervenuto il P.E. insieme al collega di lavoro R.C.;
– l’intervento doveva avvenire proprio nei pressi di una delle candele di sfogo del gas e durante la manutenzione entrambi gli operai avevano inalato del gas;
– la fuoriuscita si era verificata perché la valvola a saracinesca non si era completamente chiusa, come pure la valvola corrispondente alla candela di sfogo;
– tali circostanza erano state acclarate in modo certo, tanto vero che, successivamente al fatto, chiuse le valvole, non fuoriusciva più gas;
– dall’accertamento dell’ispettorato del lavoro era emerso che nella pratica operativa standard, nella sequenza delle operazioni, non era previsto di eseguire il controllo di totale assenza di gas;
– la posizione dei terminali di scarico in atmosfera delle candele non favoriva un agevole e sicuro controllo dell’assenza di gas;
– il DM.I. e G. avevano posto in essere una condotta omissiva, per non avere garantito un’adeguata gestione e controllo delle batterie 3,4,5,6 con riferimento alle candele di sfogo del gas “Afo”; infatti i terminali non erano facilmente accessibili per i controlli; inoltre la pratica operativa standard non prevedeva il materiale controllo della assenza di fuoriuscita di gas durante le operazioni di manutenzione; di tale omissioni dovevano rispondere, per le rispettive qualità, i predetti due imputati;
– quanto allo I.D., non aveva controllato nel corso di una precedente manutenzione nel dicembre 2007, che le due valvole fossero state chiuse completamente, così contribuendo a determinare il successivo incidente.
In ragione di tali valutazioni, la corte di merito confermava le condanne.
3. Sulla base di tale ricostruzione dell’incidente, correttamente il giudice di merito ha riconosciuto la presenza nei fatti della responsabilità degli imputati.
I profili di inidoneità degli impianti e della pratica operativa standard, infatti, chiamano in causa gli imputati DM.I. e G. i quali, per le rispettive qualità, ricoprivano una posizione di garanzia a protezione del rischio che si è poi concretizzato.
Quanto allo I.D., l’istruttoria ha consentito di accertare che si deve al precedente intervento della sua squadra il mancato controllo della chiusura delle valvole e della presenza di gas.
Né può attribuirsi ad un comportamento negligente della persona offesa la causa dell’incidente. Infatti, non solo l’operazione di manutenzione era stata svolta secondo le prassi aziendali, ma come questa Corte ha più volte ribadito, in materia di infortuni sul lavoro, la condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti sono esonerati da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionaiità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 21587\07, ric. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il P.E. ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro, in condizioni di non di sicurezza, per la oggettiva situazione di rischio a cui era esposto per la segnalata omissione del rispetto di norme di prevenzione infortuni. Ne consegue la infondatezza del motivo di impugnazione.
4. In ordine alla censura relativa al diniego delle attenuanti generiche, è insegnamento di questa Corte che “la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato” [Cass. Sez. 6, Sentenza n. 42688 del 24/09/2008 Ud. (dep. 14/11/2008), Carìdi, Rv. 242419; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 04/12/2003 Ud. (dep. 23/02/2004), Anaclerio, Rv, 229768; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6771 del 22/04/1981 Ud. (dep. 09/07/1981), Brunelli, Rv. 149699].
Nel caso di specie il giudice di merito, nel negare le attenuanti, ha richiamato la oggettiva gravità del fatto; pertanto, la coerenza e logicità della motivazione sul punto, la rende insindacabile in questa sede.
Quanto alla determinazione della misura della pena, la sua fissazione tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati neH’articolo 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta, come nel caso di specie, contenuta in una fascia bassa rispetto alla pena edittale (cfr. ex plurimis Cass. IV, 20 settembre 2004, Nuciforo, RV 230278).
5. Quanto, infine, alla liquidazione della provvisionale, va ricordato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale “Il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento” [Cass. Sez. U, Sentenza n. 2246 del 19/12/1990 Ud. (dep. 19/02/1991), Rv. 186722 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 49016 del 06/11/2014 Ud. (dep. 25/11/2014), Rv. 261054; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 50746 del 14/10/2014 Ud. (dep. 03/12/2014), Rv. 261536].
Alla luce delle considerazioni svolte, si impone il rigetto dei ricorsi.
Segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di quelle in favore della parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna altresì i ricorrenti stessi, in solido, a rimborsare alla parte civile le spese da questa sostenute per il presente giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00= oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2015

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