Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 10 marzo 2015, n. 33324

Infortunio con una macchina impastatrice. Non bastano due settimane di pratica per fare un operaio esperto.


 

Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO
Data Udienza: 10/03/2015

Fatto

-1- Con sentenza del 14 luglio 2007, il tribunale di Milano, procedendo nelle forme del rito abbreviato, ha dichiarato G.S. colpevole, nella qualità di amministratore unico della “G.S. s.r.l.”, del reato di lesioni personali colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente P.M.C., e lo ha condannato, con i doppi benefici, applicata la diminuente del rito, alla pena di tre mesi e venti giorni di reclusione.
Era accaduto che, nella giornata del 1° luglio 2008, il P.M.C. si era recato con altri due colleghi presso il cantiere sito in Milano, Omissis, per posizionare la macchina impastatrice di sabbia e cemento, denominata “Jumbo Mst 3000”. Collocata la macchina nel cantiere, il P.M.C. aveva inserito il braccio sinistro nel serbatoio della stessa per prelevare alcuni oggetti colà riposti (si trattava di stivali di gomma, di ciabatte e di un cavo di corrente). A quel punto, la ventola posta nel serbatoio aveva incominciato a ruotare ed aveva intrappolato il braccio del lavoratore, che era poi riuscito ad arrestarne il movimento, non prima, tuttavia, che la macchina gli provocasse gravi lesioni, consistite in “scuoiamento braccio sinistro”.
L’incidente è stato ascritto a colpa dell’imputato per non avere lo stesso adottato le necessarie misure affinché la macchina venisse utilizzata correttamente, avendo, in particolare, consentito che il microinterruttore con funzione di blocco degli organi in movimento fosse disattivato, e quindi non funzionante, e per non avere adempiuto agli obblighi di formazione ed informazione del dipendente relativamente all’uso dell’attrezzatura di lavoro alla quale era stato addetto, essendo stato il lavoratore solo affiancato, per circa due settimane, da un collega esperto nell’uso della impastatrice.
-2- Detta decisione, impugnata dall’imputato, è stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 28 novembre 2013.
I giudici del gravame hanno quindi ribadito che dell’incidente giustamente era stato ritenuto responsabile il G.S., essendo emerso, dalle verifiche effettuate dall’ Asl di Milano, che i sistemi di sicurezza della macchina erano stati elusi, poiché non solo era stata rimossa la griglia di protezione posta all’imboccatura del serbatoio, ma era stato anche manomesso il microinterruttore che avrebbe impedito alla macchina di funzionare in assenza di protezioni. Insufficiente è stata poi ritenuta la formazione del lavoratore. Gli stessi giudici hanno escluso che l’evento potesse essere addebitato ad una condotta abnorme ed imprevedibile del P.M.C..
-3- Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, che ha deduce:
3.1- Inosservanza, erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 590 co. 1, 2 e 3, del codice penale, e 192 del codice di rito, vizio di motivazione della sentenza impugnata.
Si sostiene nel ricorso che la corte territoriale è pervenuta alla contestata decisione, avendo distorto le risultanze processuali e non avendo preso in esame elementi di fatto favorevoli all’imputato.
In particolare, secondo il ricorrente le dichiarazioni del P.M.C. non avrebbero dovuto essere utilizzate, essendo state rese attraverso la traduzione di una connazionale. Tali dichiarazioni sarebbero inoltre smentite da altre emergenze processuali ed avrebbero dovuto esser valutate tenendo conto dell’interesse del dichiarante a veder soddisfatte le proprie pretese risarcitorie. Non sarebbe conforme al vero che il serbatoio dell’impastatrice fosse utilizzato, in occasione degli spostamenti, quale deposito di attrezzi; la circostanza non sarebbe stata confermata da alcun ulteriore elemento e sarebbe anzi smentita dal fatto che il furgone utilizzato per gli spostamenti era dotato di apposito carrello.
Lo stesso lavoratore aveva dichiarato di avere riposto nella macchina i propri indumenti, cioè, in sostanza, di avere fatto un uso anomalo della stessa, aggravato dalla manomissione
dei presidi di sicurezza. Il P.M.C., d’altra parte, aveva avuto incarico, quel giorno, solo di scaricare l’impastatrice dal furgone; non doveva quindi collegarla alla rete elettrica poiché solo l’indomani, dopo i rituali controlli, essa avrebbe dovuto essere collegata alla rete e messa in funzione. Il lavoratore, quindi, aveva indebitamente tolto l’imballo della macchina e svitato la griglia protettiva; quindi, non essendo riuscito a recuperare i propri effetti personali, posti sul fondo del serbatoio, aveva manomesso il microinterruttore, che avrebbe impedito alla macchina di mettersi in movimento in assenza della griglia, ed aveva collegato la stessa alla rete elettrica. La macchina non era quindi priva dei sistemi di sicurezza; al contrario, tali sistemi, regolarmente presenti, erano stati elusi e manomessi dal lavoratore, che aveva quindi tenuto un comportamento giudicato dal ricorrente scellerato, del tutto estraneo al processo produttivo, che si è posto quale causa esclusiva dell’infortunio.
Quanto all’informazione ed alla formazione del lavoratore, il ricorrente ha ricordato che lo stesso era stato assunto nel settembre del 2007, per cui da circa un anno era addetto alla macchina, egli aveva peraltro già avuto esperienze lavorative dello stesso tipo, per cui la sua formazione non potrebbe essere messa in dubbio; come peraltro dimostrato dal fatto che lui stesso, azionando prontamente il pulsante di arresto dell’impastatrice, era riuscito a liberarsi.
Non, quindi, al datore di lavoro, bensì all’operaio doveva farsi carico dell’incidente, provocato dalla sua condotta anomala ed imprevedibile, chiaramente contraria agli obblighi che la stessa legge pone in tema di sicurezza anche a carico del lavoratore.
3.2- Violazione di legge in punto di trattamento sanzionatorio in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata; ciò in considerazione dello stato di incensuratezza dell’imputato e dell’imprudente condotta del lavoratore.

Diritto

Il ricorso è infondato.
-1- I giudici del merito, con doppia conforme decisione, hanno ritenuto il G.S. responsabile del delitto di lesioni colpose contestato, avendo ritenuto sussistenti i profili di colpa allo stesso ascritti, individuati nell’avere egli: a) omesso di adottare le misure idonee a garantire il corretto uso della macchina impastatrice, avendo consentito, non solo che dalla bocca di carico del serbatoio della stessa fosse rimossa la rete di protezione, ma anche che fosse disattivato il microinterruttore, che aveva la funzione di bloccare gli organi in movimento in caso di assenza della predetta rete; ciò aveva permesso il funzionamento della macchina ed aveva determinato le descritte lesioni al braccio del lavoratore; b) consentito che la impastatrice fosse utilizzata dagli operai del G.S. per trasportare materiale di vario genere negli spostamenti da un cantiere all’altro; c) omesso di fornire al dipendente rimasto infortunato un’adeguata formazione ed una corretta informazione in ordine ai pericoli connessi con le mansioni affidategli.
A tali conclusioni, gli stessi giudici sono pervenuti richiamando le dichiarazioni rese dalla persona offesa e le relazioni redatte dall’Asl di Milano.
Dalle prime, è emersa l’abitudine dei lavoratori di utilizzare l’impastatrice quale deposito per il trasporto di materiale (il giorno dell’infortunio, ha sostenuto il teste, egli aveva inserito nel serbatoio della macchina stivali ed altri oggetti, tra cui una prolunga/cavo di corrente, per recuperare i quali aveva introdotto il braccio all’interno della stessa, riportando le lesioni al braccio) e la quasi assenza di attività informativa e formativa del lavoratore, limitatasi, nel caso del P.M.C., nell’operare sulla macchina affiancato, per due settimane, da un operaio più esperto.
Dalle relazioni dell’ASL, è poi emerso che i sistemi di sicurezza della impastatrice ove si era verificato l’incidente, erano stati elusi, poiché, malgrado l’assenza della griglia di protezione, la macchina, essendo stato manomesso il micro interruttore deputato al blocco della stessa, continuava a funzionare.
A fronte di tali emergenze processuali e delle coerenti osservazioni e valutazioni svolte dai giudici in punto di responsabilità dell’imputato, nel ricorso si denunciano inesistenti vizi di violazione legge e di motivazione, peraltro riproponendo considerazioni e censure già poste all’esame della corte territoriale che ne ha motivatamente denunciato l’infondatezza.
Invero, sembra alla Corte che la valutazione delle prove, da parte dei giudici del merito, sia avvenuta in maniera corretta, nel rispetto della normativa di riferimento, ed in termini di assoluta coerenza logica, laddove essi hanno richiamato e posto a base dell’affermazione di responsabilità dell’imputato gli esiti degli accertamenti eseguiti dai funzionari dell’ASL competente e la testimonianza della persona offesa. Non messi in discussione i primi dal ricorrente, quanto alla seconda, nel ricorso se ne contesta la utilizzabilità e l’attendibilità in maniera generica, ovvero con considerazioni del tutto irrilevanti. Così, si contesta l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa solo perché la simultanea traduzione delle stesse era avvenuta per il tramite di un’infermiera, connazionale del P.M.C.. Laddove non si chiariscono nel ricorso le ragioni per le quali quel sistema di traduzione giustificherebbe dei dubbi in ordine all’attendibilità di dette dichiarazioni (sembra del tutto naturale che a quel fine si sia fatto ricorso alle prestazioni di un connazionale del dichiarante).
Né si comprendono le ragioni per le quali, a fronte dei dubbi, pur generici di inattendibilità, l’imputato abbia scelto di essere giudicato con rito abbreviato, neanche condizionato dalla acquisizione di elementi che potessero mettere in discussione la corretta traduzione delle predette dichiarazioni.
Ancora, si sostiene nel ricorso che gli elementi probatori utilizzati a carico dell’imputato, più precisamente le dichiarazioni della persona offesa, sarebbero “….contrastate da altre risultanze che ne dimostrano la non veridicità e/o la non credibilità “; e che l’attendibilità delle stesse “….vacilla sotto il peso insostenibile delle macroscopiche incongruenze rispetto alle altre risultanze processuali, tutte ignorate dal giudice di secondo grado “. Laddove nello stesso ricorso non viene, tuttavia, chiarito quali siano le circostanze che contrastano con le affermazioni del lavoratore infortunato e che ne dimostrerebbero la non credibilità, né quali siano le incongruenze, ignorate dal giudice, che ne farebbero vacillare l’attendibilità. Così come non viene precisato quali siano le “altre risultanze processuali” che smentirebbero quanto sostenuto dal P.M.C. in punto di collegamento della macchina con la rete elettrica.
Per vero, nel ricorso si accenna alla posizione del dichiarante quale persona offesa e, in quanto tale, ritenuta portatrice di un interesse la cui tutela l’avrebbe indotta a riferire i fatti in maniera non veritiera. E tuttavia, anche tale aspetto è affrontato in termini generici, non solo perché non si chiarisce quali siano i passaggi dichiarativi condizionati da tale posizione d’interesse, ma anche perché non si specifica quale particolare e condizionante interesse il lavoratore infortunato avrebbe inteso tutelare, se lo stesso non risulta neanche essersi costituito parte civile nel presente procedimento, né si ha notizia di un’azione civile risarcitoria dallo stesso avviata nei confronti dell’imputato. Di guisa che sembra ragionevole ritenere che lo stesso sia stato risarcito dei danni patiti; circostanza che lo pone, evidentemente, al di fuori dei dubbi e delle allusioni del ricorrente. Né, ai fini dell’attendibilità delle richiamate dichiarazioni, nuoce la sostenuta assenza di riscontri, non potendo tale assenza, secondo i condivisi principi in proposito affermati da questa Corte, di per sé porre le stesse in discussione.
E’, poi, proprio il ricorrente a riferire circostanze, alle quali i giudici del merito non accennano in alcun modo, senza fornire in proposito indicazioni di sorta. Così, si sostiene nel ricorso che proprio il P.M.C. avrebbe rimosso la griglia di protezione dell’impastatrice, avrebbe disattivato il microinterruttore di sicurezza, avrebbe collegato la macchina alla rete elettrica, ma non si chiarisce da quali risultanze probatorie tali circostanze emergerebbero.
Anche il tema della formazione, ritenuta dai giudici del tutto superficiale – essendo stata solo affidata a due settimane di presenza, accanto al lavoratore, di un operaio esperto, laddove avrebbe dovuto prevedersi e svolgersi uno specifico ciclo formativo, debitamente documentato -, viene affrontata nel ricorso attraverso una serie di considerazioni (il P.M.C. era stato assunto da oltre un anno ed aveva avuto precedenti analoghe esperienze lavorative, era pratico della macchina, tanto che era riuscito a bloccarne il movimento) che non mettono al riparo l’imputato, che avrebbe dovuto documentarsi e documentare l’asserita specifica esperienza professionale dell’operaio (assunto non da oltre un anno ma da poco più di otto mesi), e non accontentarsi di quanto dallo stesso asseritamente sostenuto e delle due settimane di “pratica”.
Mentre il fatto che dalla relazione dell’ASL, emergerebbe, non che l’impastatrice fosse priva dei previsti sistemi di sicurezza, ma che gli stessi erano stati elusi, nulla aggiunge in favore della tesi difensiva, posto che all’imputato, quale datore di lavoro e responsabile della sicurezza dei suoi dipendenti, è stato contestato, non che la macchina impastatrice fosse priva di tali sistemi, bensì di non avere adottato le misure necessarie affinché essa fosse utilizzata correttamente e di non avere vigilato circa il pieno rispetto delle stesse, alla luce della prassi operativa che vedeva gli operai utilizzare il serbatoio dell’impastatrice, in occasione degli spostamenti da un cantiere all’altro, quale deposito di oggetti vari.
Giustamente, d’altra parte, i giudici del merito hanno ritenuto che l’infortunio non potesse addebitarsi al lavoratore, posto che la causa di esso, non solo non poteva essere ricondotta ad un comportamento abnorme ed imprevedibile del lavoratore, che al momento dell’incidente stava operando per assicurare l’avvio delle attività di cantiere, ma doveva ricondursi alla violazione, da parte dell’imputato, di precisi doveri di diligenza, di controllo del personale, di cautela, che gli competevano quale datore di lavoro dell’infortunato e di responsabile dell’incolumità dello stesso, persino davanti a comportamenti imprudenti del lavoratore; comportamenti che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non valgono a troncare il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento determinatosi.
-2- Anche in punto di trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata non dà spazio alcuno alle censure proposte. I giudici del merito, invero, hanno correttamente esercitato il potere discrezionale che, ai fini della valutazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, del giudizio di comparazione tra circostanze e, più in generale, della determina-zione della pena, la legge loro attribuisce.
Nulla, peraltro, rilevando che il giudice non abbia preso in considerazione tutti o taluni dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., né che difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato, posto che il diniego di dette circostanze e la determinazione della pena possono certamente basarsi sulle sole ragioni preponderanti della contestata decisione, nel caso di specie chiaramente e legittimamente riferite alla gravità dei fatti.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10/3/2015.

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