Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 10 novembre 2015, n. 51190

“Come esattamente rilevato dalla Corte di appello, P.C., committente dei lavori e della variante degli stessi nella cui realizzazione si è verificato l’incidente, non si è avvalso della facoltà di nominare un responsabile dei lavori, cui trasferire gli adempimenti in materia di sicurezza del lavoro, ed è pertanto rimasto obbligato in proprio. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4 28/5//2013 n. 37738, Gandolla Rv. 256635) in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza.”


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA
Data Udienza: 10/11/2015

Fatto

1. La Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado che aveva assolto P.C. dal reato di cui all’art. 589 cp perché il fatto non costituisce reato, dichiarava l’imputato colpevole dell’incidente sul lavoro avvenuto l’11 gennaio 2006, nel quale aveva perso la vita Pa.A. e, concesse attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, lo condannava a sei mesi di reclusione e al risarcimento del danno in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio. Al P.C., nella qualità di proprietario di un immobile e committente di lavori di ristrutturazione, si era contestato di non aver verificato le azioni di coordinamento e controllo del coordinatore per l’esecuzione dei predetti lavori a garanzia della sicurezza dei lavoratori, violando quindi il disposto dell’art. 6, co.2, del d.leg. 494/96; la mattina dell’11 gennaio 2006 Pa.A., che svolgeva mansioni di carpentiere, nel raggiungere il proprio posto di lavoro per procedere ad operazioni di getto del calcestruzzo, forse perché in leggero ritardo, attraversava il fossato frapposto tra il muro perimetrale dell’edificio ed il bordo dello scavo poggiando un piede su un puntello di sostegno che però cedeva; non essendovi parapetto a protezione del bordo del solaio, cadeva nello spazio sottostante dove erano presenti a fondo scavo dei tondini acuminati privi di protezione, sui quali rimaneva infilzato decedendo nell’immediatezza per le lesioni riportate.
La corte di appello, nel ribaltare la sentenza assolutoria, rilevava che l’attività di getto del calcestruzzo, cui doveva partecipare anche la vittima, si era resa necessaria proprio a seguito di una variante in corso d’opera decisa dal P.C. che aveva richiesto di realizzare un ulteriore accesso al piano interrato mediante una scala; l’attività era stata programmata per quel giorno e per quell’ora, essendo anzi già iniziata quando era sopraggiunto Pa.A.; quest’ultimo aveva avvisato telefonicamente un collega di essere in ritardo e probabilmente proprio a causa di tale ritardo l’operaio, per raggiungere il solaio, non si era avvalso della scala posta in corrispondenza della parete sud, ma aveva scavalcato il fossato. Pertanto non vi era dubbio che l’incidente, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, era avvenuto in occasione e a causa dello svolgimento di una specifica attività lavorativa con conseguente assunzione in capo all’imputato, committente ed anche responsabile dei lavori, degli obblighi connessi alla sua figura. Rilevava che la situazione del cantiere era oggettivamente pericolosa per la presenza, non adeguatamente protetta, di un fossato profondo mt. 3,80 ca., tra il solaio dove si doveva lavorare e il terreno circostante, fossato sul cui fondo cementizio si trovavano degli acuminati tondini meccanici privi della necessaria protezione (cappellotti), su uno dei quali si era “infilzato” il lavoratore; a norma dell’art. 10 dpr 547/1955 gli scavi, profondi come quello in oggetto, più di tre metri devono essere protetti con adeguati parapetti nella specie mancanti stante la presenza di una rete metallica di mera recinzione;
la presenza di cappellotti è stabilita dagli artt. 4 e 89 d leg. 626/94. Rilevava che il P.C. era non solo committente dell’opera, e della specifica variante, ma anche responsabile dei lavori e che il medesimo frequentava abitualmente il cantiere interessandosi dell’andamento dei lavori e fornendo istruzioni. Riteneva la Corte che in tale situazione fosse evidente la colpa dell’imputato che pur avendo avuto un ruolo determinante nella creazione di una specifica fonte di rischio, non aveva provveduto a far adeguare il piano di sicurezza alla nuova situazione neppure avvisando il coordinatore per l’esecuzione, ing. S.. Nella accertata situazione di fatto, era irrilevante se il lavoratore avesse fatto un salto per scavalcare il fossato o se si fosse avvalso di una passerella appoggiata sul bordo, per consentire il passaggio dei materiali , dato che in ogni caso l’evento era stato reso possibile dalla assenza delle necessarie protezioni del fossato e dei tondini. Sussisteva pertanto la responsabilità del P.C. per violazione dell’art. 6, co. 2 d.leg. 494/96.
2. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, avvocato Omissis. Con il primo motivo lamenta violazione del’art. 43, co3, cp ; si sostiene che la corte di appello non ha tenuto conto che l’incidente esula dall’area di rischio affidata alla gestione del P.C. in quanto committente e responsabile dei lavori. Ciò in quanto il Pa.A. era un lavoratore autonomo, incaricato direttamente dall’appaltatore di svolgere determinati lavori al di fuori dell’orario di cantiere, l’incidente si è verificato alle 7,45, prima dell’apertura del cantiere, all’insaputa del P.C.. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 41, co2, cp ; si eccepisce che il comportamento del Pa.A., che essendo in ritardo si è determinato a scavalcare il fossato con un salto invece di servirsi della scala, è stato eccezionale ed abnorme, interruttiva del nesso causale. Con il terzo motivo lamenta la erronea applicazione del’art. 69 cp per la mancata prevalenza delle attenuanti generiche senza considerare il riconosciuto concorso di colpa del lavoratore. Con il quarto motivo lamenta illogicità di motivazione laddove si è ritenuto che l’ing. S., coordinatore per la sicurezza, non fosse a conoscenza della variante al progetto, in contrasto con i relativi progetti firmati dal predetto ing. S. , prodotti in giudizio e si sostiene che il medesimo era l’unico responsabile dal momento che l’art. 6 impone al committente soltanto una verifica di natura formale. Con l’ultimo motivo si sostiene l’irrilevanza della presenza dei “cappellotti”, la cui esistenza non avrebbe potuto evitare il decesso del lavoratore.
3. Nell’interesse del P.C. è stata presentata una memoria con cui si insiste, da un lato, sulla eccessiva dilatazione della responsabilità del committente che verrebbe ad essere parificata in toto a quella dell’appaltatore e del coordinatore per la progettazione e l’esecuzione, per di più senza tenere conto che il P.C. era ignaro della presenza del Pa.A.. Dall’altro ci si duole della mancata esatta ricostruzione della dinamica dell’incidente non essendosi precisato se il lavoratore aveva fatto un salto per superare il fossato o se era franato il terreno su cui aveva poggiato la passerella per passare.

Diritto

1. Il ricorso non merita accoglimento.
Come esattamente rilevato dalla Corte di appello, P.C., committente dei lavori e della variante degli stessi nella cui realizzazione si è verificato l’incidente, non si è avvalso della facoltà di nominare un responsabile dei lavori, cui trasferire gli adempimenti in materia di sicurezza del lavoro, ed è pertanto rimasto obbligato in proprio. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4 28/5//2013 n. 37738, Gandolla Rv. 256635) in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza. Principio da considerare pienamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte in quanto fin dalla sentenza della terza sezione penale n.7209 del 25/01/2007 Ud. (dep. 21/02/2007 ) Rv. 235882 si era affermato che in materia di infortuni sul lavoro in un cantiere edile, il committente rimane il soggetto obbligato in via principale all’osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, ex art. 6 del D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, come modificato dal D.Lgs. 19 novembre 1999 n. 528, atteso che l’effetto liberatorio si verifica solo a seguito della nomina del responsabile dei lavori e nei limiti dell’incarico conferito a quest’ultimo.
Spettava dunque al P.C., ex art. 6 cit., la verifica circa l’adempimento dell’adempimento degli obblighi di cui all’art.4 co.l e 5 co. 1 lett. a, e cioè in concreto il controllo sulla redazione del piano di sicurezza e il suo costante adeguamento, controllo che nella presente fattispecie avrebbe dovuto comprendere la previsione delle necessarie tutele in relazione alla variante richiesta dallo stesso P.C. e l’eliminazione della situazione di rischio derivante dalla presenza del pericoloso fossato di cui si è detto sopra. Controllo che, a differenza di quanto si sostiene con il ricorso, non è di natura meramente formale ma implica una effettiva e ragionata verifica circa le soluzioni adottate come è dimostrato dal fatto che il committente, ove non sia in condizione o non voglia assumere direttamente tale ruolo, può nominare un responsabile dei lavori sul quale trasferire la responsabilità nei limiti dell’incarico e dei poteri conferiti. Controllo che ovviamente può portare ad un intervento attivo del committente, soggetto nel cui interesse è svolta l’opera e dunque certamente vero dominus della stessa, e che deve essere esercitato a prescindere dalla presenza di altri soggetti, ad altro titolo investiti di funzioni di garanzia, essendo ben noto che il vigente sistema di tutela della sicurezza del lavoro prevede una pluralità di figure di garanti tutti autonomamente responsabili in relazione agli obblighi a ciascuno di loro imposti. Da ciò deriva che è irrilevante la circostanza, eccepita con il quarto motivo di ricorso, che l’ing. S., coordinatore per la sicurezza, fosse a conoscenza – a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza di appello – della variante al progetto avendone firmato i progetti, trattandosi di circostanza che non faceva venire meno la responsabilità del committente, come sopra delineata.
Neppure giova al ricorrente invocare da un lato la qualità di lavoratore autonomo del Pa.A. e il fatto che egli si sarebbe recato in cantiere fuori dell’orario di lavoro e dall’altro la mancata precisa ricostruzione delle modalità dell’incidente e/o il comportamento abnorme del medesimo nel “saltare” il fossato. Dal primo punto di vista la sentenza ha precisato che l’attività di getto del calcestruzzo, alla quale doveva collaborare Pa.A., era assolutamente necessaria, prevista per quel giorno e dunque rientrante nelle attività oggetto di ( mancato ) controllo a prescindere dalla qualifica dei singoli soggetti che vi erano addetti; la stessa rientrava cioè nella c.d. area di rischio di cui anche il committente, come si è detto primo dominus del cantiere , è gestore e come tale dalla legge reso garante. Al riguardo non può nemmeno dimenticarsi che questa Corte (sez. 4 n.43168 del 17/06/2014 Rv. 2609479) ha affermato che in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, il soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo all’organizzazione dei lavori, sicché dell’infortunio che sia occorso all'”extraneus” risponde il garante della sicurezza, sempre che l’infortunio rientri nell’area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere un comportamento di volontaria esposizione a pericolo.
Dal secondo punto di vista è solo il caso di ribadire che correttamente è stato esclusa la abnormità del comportamento del Pa.A. in applicazione della pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (da ultimo sez. 4 5/3/2015 n.16397 Rv.263386). Con riferimento al c.d. comportamento abnorme del lavoratore infortunato si è anche fatto riferimento alla nozione di area di rischio nel senso che il datore di lavoro e gli altri soggetti titolari di una posizione di garanzia sono esonerati da responsabilità per esclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell’eccezionaiità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute (tra le altre Cass. 10 novembre 1999, Addesso, Rv. 183633; Cass. 25 settembre 1995, Dal Pont, in Cass. pen. 1997; Cass. 8 novembre 1989, Dell’oro, Rv. 183199; Cass. 11 febbraio 1991, Lapi, Rv. 188202; Cass. 18 marzo 1986, Amadori, Rv. 174222; Cass. 14 giugno 1996, Ieritano, Rv. 206012; Cass. 13 novembre 1984, Accettura, Rv. 172160; Cass. 3 giugno 1999, Grande, Rv. 214997); in tali situazioni estreme, si è detto, si è completamente al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso e quindi oltre la pur estesa sfera di responsabilità dei garanti. Invece, quando si è comunque all’interno dell’area di rischio nella quale si colloca l’obbligo di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore, non è possibile ipotizzare l’esonero da responsabilità. Né, come esattamente già osservato dai giudici di merito, rilevano le precise circostanze in cui si è verificato l’incidente, cioè se vi sia stato il tentativo del Pa.A. di “saltare” il fossato o se egli sia caduto perchè la precaria passerella era scivolata sul terreno franoso del fossato (come ritenuto più probabile), in quanto in ogni caso egli, cui pure è stato addebitato un concorso di colpa del 30%, si è trovato ad accedere al luogo di lavoro in una situazione di grave pericolo stante la mancanza di protezione del profondo scavo sul cui fondo erano collocati i ferri acuminati privi di cappellotti, su uno dei quali incontestabilmente è rimasto infilzato.
Manifestamente infondata è la censura relativa alla mancata valutazione in termini di prevalenza delle attenuanti generiche avendo questa Corte già precisato (sez. un. 25/2/2010 n.10713 Rv. 245931) che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette, come nella specie, da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto.
2. Risultando dunque correttamente accertata e motivata la responsabilità dell’imputato, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 3500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10/11/2015.

Lascia un commento