Responsabilità di datore di lavoro e preposto per la morte di un operaio investito dal carico di una gru. Pericolo di conflitto pratico e teorico fra giudicati.
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: MENICHETTI CARLA
Data Udienza: 11/12/2015
Fatto
1. Con sentenza in data 25 settembre 2012 il Tribunale di Forlì, Sezione distaccata di Cesena, dichiarava non doversi procedere nei confronti di B.A. e P.L. in ordine al delitto di cui agli artt. 40, 41 e 589, commi 1 e 2, c.p. ritenendo applicabile il principio dell’art.649 c.p.p.
2. Veniva contestata agli imputati, al B.A. quale datore di lavoro e al P.L. quale preposto, la responsabilità dell’infortunio nel quale aveva perso la vita l’operaio I.S.M., investito dal carico di una gru che si era ribaltata all’interno dell’area di cantiere in cui stava lavorando. In particolare si ravvisavano profili di colpa generica (negligenza, imprudenza ed imperizia) e specifica, in relazione all’art.7 D.Lgs.n.626/94, in quanto il datore di lavoro non aveva promosso quell’azione di cooperazione e coordinamento per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa in corso, al fine di garantire che l’autogrù operasse in cantiere in condizioni di assoluta sicurezza, ed il preposto perché non era intervenuto con azioni correttive nel momento in cui si era reso conto dell’assenza di tale coordinamento.
3. A motivo della declaratoria di improcedibilità il Tribunale rilevava che in data 1.11.2011 era passata in giudicato la sentenza con la quale gli imputati erano stati assolti per insussistenza del fatto dalle contravvenzioni costituenti profilo di colpa specifica e che tale giudicato assolutorio implicava la impossibilità di giudicare sull’omicidio colposo integrato dalle condotte escluse dal primo giudice, posto che un eventuale esito di condanna sul delitto avrebbe generato un conflitto c.d. teorico fra i due giudicati e aperto la strada al rimedio della revisione ai sensi della lett.a) dell’art.630 c.p.p.; riteneva poi, quanto al profilo di colpa generica, che l’esclusione di ogni valutazione delle norme antinfortunistiche assorbisse ed escludesse ogni addebito per i più generici parametri dell’imprudenza, imperizia o negligenza.
4. Propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì denunciando l’erronea applicazione degli artt.529 e 649 c.p.p. stante la inesistenza nel caso in esame di un pericolo di conflitto pratico e teorico fra giudicati, sul rilievo che la valutazione di assorbimento delle omissioni colpose “generiche” in quelle “specifiche” presuppone lo svolgimento del dibattimento e l’accertamento in fatto della coincidenza delle prime con le seconde: in base ai principi in tema di concorso formale di reati il giudicato sulle contravvenzioni in materia di infortuni sul lavoro non ha infatti – secondo il ricorrente – alcuna efficacia preclusiva del diverso e nuovo processo per l’imputazione di omicidio colposo, esplicando eventualmente i tipici effetti probatori attribuiti alle sentenza irrevocabili dall’art. 238 bis c.p.p.
Diritto
5. Il ricorso merita accoglimento non essendo stato adeguatamente approfondito dal giudice di merito né il principio del “ne bis in idem” di cui all’art.649 c.p.p., né quello relativo alla efficacia probatoria nel presente giudizio della sentenza acquisita a norma dell’art.238 bis c.p.p.
5.1. In ordine al primo aspetto si rileva – come più volte affermato da questa Corte – che ai fini della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. Un.28.9.2005, n. 34655; Sez.IV, 5.5.2006, n.15578; Sez.IV, 25.1.2013, n.4103) e non già quando si viola la stessa norma per configurare un reato diverso, dovendo in tal caso l’episodio essere valutato alla luce di tutte le sue implicazioni penalistiche. In particolare, la preclusione in discorso non opera ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare sia configurabile un’ipotesi di “concorso formale di reati”, potendo in tal senso il medesimo fatto storico essere riesaminato ai fini della prova di un altro reato, anche nei confronti del medesimo imputato (Sez.I, 9.9.2014, n.37349).
5.2. In ordine al secondo aspetto si osserva poi che le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell’art.238 bis c.p.p., anche nella parte in cui affermano fatti favorevoli all’imputato, devono essere valutate alla stregua della regola probatoria di cui all’art.192, terzo comma, c.p.p., principio attinente anche alla sentenza divenuta irrevocabile ed acquisita come documento, che non ha da sola efficacia vincolante, ma necessita di ulteriori riscontri e va liberamente apprezzata dal giudice unitamente agli altri elementi di prova (Sez.I, 8.6.2015, n.24383; Sez.VI, 12.12.2009, n.47314; Sez.III, 27.2.2009, n.8823). Ne consegue che il giudice non può ritenere l’esistenza (o l’inesistenza) del fatto accertato in base alla sentenza divenuta irrevocabile ma ha l’obbligo di individuare una conferma esterna di questa ricostruzione pur definitiva, a meno che, si ripete, la stessa venga utilizzata come mero riscontro di altre prove già acquisite al processo (Sez.IV, 20.3.2008, n.12349).
5.3. Di tali principi consolidati non ha tenuto conto nel caso di specie il Tribunale di Forlì, che – pur con richiamo a precedente pronunciamento di questa Corte secondo cui si potrebbe configurare incompatibilità logica tra la sentenza assolutoria per le contravvenzioni ed un’eventuale affermazione di responsabilità per il reato di omicidio colposo derivato dalla violazione delle medesime contravvenzioni (Sez.IV, 2.4.2004, n.25305) – si è limitato ad acquisire la precedente pronuncia irrevocabile senza sottoporla a nessun altro riscontro e senza esaminare in alcun modo l’altro profilo di colpa generica contestato agli imputati, ritenendolo immotivatamente assorbito nel primo.
6. Ne deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la restituzione degli atti al Tribunale di Forlì per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Forlì per l’ulteriore corso.