Operaio travolto e schiacciato dal carico movimentato. Valutazione dei rischi.
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data Udienza: 11/12/2015
Fatto
1. Con sentenza resa in data 28/1/2013, il tribunale di Udine ha assolto P.M. dall’Imputazione relativa al reato di lesioni personali colpose, asseritamente commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del prestatore F.T., in Martignacco, il 12/5/2010.
All’imputato, in qualità di legale rappresentante della Friul Clean s.c.a r.l. e datore di lavoro del F.T., era stata originariamente contestata la condotta colposa consistita nell’aver provocato, in violazione dei tradizionali parametri della colpa generica e delle norme di colpa specifica partitamente richiamate nel capo d’imputazione, lesioni personali ai danni del lavoratore indicato, il quale, procedendo allo scarico di casse di merce da un camion della società datrice di lavoro attraverso l’utilizzo di pedane mobili e di una lamiera zigrinata adoperata come rampa di collegamento tra il planare del camion e la banchina di carico, a causa dello scivolamento di tali mezzi privi di adeguati dispositivi di ancoraggio, veniva travolto e schiacciato dal carico movimentato, procurandosi lesioni personali gravi guaribili in un tempo superiore a quaranta giorni.
Nel pronunciare sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, il tribunale di Udine, pur dando atto dell’effettiva violazione delle norme cautelari contestate a carico dell’imputato (consistenti nell’omessa dotazione di attrezzature e di dispositivi di ancoraggio adeguati, nonché nell’omessa cooperazione con la ditta committente per l’attuazione di idonee misure di prevenzione e protezione dai rischi di incidenti sull’attività lavorativa espletata), ha ritenuto che tali profili di colpa non fossero riferibili all’imputato, in ragione della relativa posizione di vertice aziendale, essendo piuttosto predicabili nei confronti dei responsabili tecnici dell’azienda, specificamente e nominativamente determinati.
2. Su appello del procuratore generale distrettuale, la corte d’appello di Trieste, con sentenza resa in data 26/1/2015, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’imputato colpevole del reato a lui ascritto, condannandolo alla pena di giustizia.
A fondamento della decisione di condanna, la corte territoriale ha ritenuto che l’imputato, in ragione della propria qualità di datore di lavoro del prestatore infortunato, fosse venuto meno all’obbligo specifico di valutazione del tipo di rischi assimilabili a quello nella specie concretizzatosi; obbligo sullo stesso incombente, in ragione della relativa posizione funzionale, non delegabile a terzi.
Al riguardo, pur rilevando come tale specifico profilo di colpa non fosse stato espressamente contestato nell’imputazione, la corte territoriale ha ritenuto comunque insussistente alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, attesa l’avvenuta contestazione globale della condotta addebitata all’imputato come colposa, e avuto riguardo alla piana ricavabilità dagli atti del giudizio di detto profilo di colpa, a sua volta causalmente collegato all’evento dannoso verificatosi.
3. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi di impugnazione.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale pronunciato la condanna dell’Imputato in relazione a un profilo di colpa (consistente nell’asserita omessa valutazione del rischio specifico nella specie concretizzatosi) originariamente non contestato, né desumibile dagli atti processuali, con la conseguente violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, per aver affermato la responsabilità penale dell’imputato, in difformità dalla decisione emessa dal giudice di primo grado, senza dotare le argomentazioni indicate a sostegno della propria pronuncia di una forza persuasiva superiore, di per sé idonea a dissolvere ogni ragionevole dubbio sul punto, con particolare riguardo all’idoneità degli elementi probatori complessivamente acquisiti a corroborare l’ipotesi dell’omessa valutazione del rischio lavorativo nella specie concretizzatosi, senza tener conto della dimostrata impossibilità, per l’imputato, di garantire la propria contemporanea presenza presso tutte le 130 unità operative dallo stesso gestite.
4. Con memoria depositata in data 3/12/2015, il difensore dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Diritto
5. Il ricorso è infondato.
Dev’essere preliminarmente disatteso il primo motivo d’impugnazione illustrato dal ricorrente con riguardo alla denunciata violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel pronunciare la condanna dell’Imputato per un fatto del tutto diverso da quello allo stesso originariamente contestato, non desumibile dagli atti, in palese violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza
Sul punto, osserva il collegio – in adesione a talune considerazioni già argomentate da questa stessa sezione (v. Sez. 4, Sentenza n. 35943/2014, in motivazione) – come nella giurisprudenza di legittimità sia del tutto consolidata un’interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 c.p.p.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione, ma implica la necessità che il diritto di difesa dell’imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quei soli interventi sull’addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti – e in particolare l’imputato – non abbiano avuto modo di dar vita al contraddittorio, anche solo dialettico.
Sia pure a mero titolo di esempio, può citarsi la massima per la quale “ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’alt. 521 c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione” (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 – dep. 29/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278).
Nella specifica materia dei reati colposi la concreta applicazione delle richiamate indicazioni giurisprudenziali incorre in talune peculiari difficoltà, derivanti dalla circostanza che la condotta colposa – in specie quella omissiva, massimamente se commissiva mediante omissione – può essere identificata solo attraverso l’integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere dal primo al secondo e viceversa.
Mentre nei reati dolosi – in specie commissivi – la condotta tipica risulta identificabile per la sua corrispondenza alla descrizione fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di pura condotta) o per la sua valenza eziologica (reati di evento), nei reati omissivi impropri colposi la condotta tipica può essere individuata solo a patto di identificare la norma dalla quale scaturisce l’obbligo di face- re e la regola cautelare che avrebbe dovuto essere osservata. Quest’ultima, in particolare, può rinvenirsi in leggi, regolamenti, ordini e discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali generalmente osservate o prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa generica).
Com’è evidente, l’una e l’altra operazione appaiono fortemente tributarie della precisa identificazione del quadro fattuale determinatosi e nel quale si è trovato inserito l’agente/omittente; tanto che una modifica anche marginale dello scenario fattuale può importare lo stravolgimento del quadro nomologico da considerare.
Di qui il ricorrente richiamo, da parte della giurisprudenza di legittimità, alla necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto è emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini, al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, purché sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013 – dep. 20/12/2013, Miniscalco e altro, Rv. 257902).
L’accento posto sul concreto svolgimento del giudizio marginalizza – nella ricerca di criteri-guida che orientino la verifica del rispetto del principio di correlazione – un approccio fondato sulla tipologia dell’Intervento dispiegato dal giudice (ad esempio, quello che si rifà alla presenza di una contestazione di colpa generica per affermare l’ammissibilità di una dichiarazione di responsabilità a titolo di colpa specifica). Si può aggiungere, in questa sede, che la centralità della proiezione teleologica del principio in parola conduce a ritenere che, ai fini della verifica del rispetto da parte del giudice del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza, è decisivo che la ricostruzione fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le (solitamente) molteplici narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando l’estraneità al tema in esame della qualificazione giuridica del fatto).
La principale implicazione di tale ultimo assunto è che, dando conto del proprio giudizio con la motivazione, il giudice è chiamato a esplicare i dati processuali che manifestano la presenza della “narrazione” prescelta tra quelle con le quali si sono confrontate le parti, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.
In tal senso depone altresì l’indirizzo, fatto proprio dalle sezioni unite di questa corte di legittimità, secondo cui, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. Un., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, cit.).
Nel caso di specie, la corte territoriale, affrontando il punto specifico relativo al rispetto dell’adeguata correlazione tra accusa e sentenza, ha espressamente sottolineato come la dinamica dell’infortunio occorso al prestatore infortunato non fosse in discussione, così come pacifica era rimasta l’acquisizione, agli atti del processo, del documento di valutazione dei rischi dell’impresa guidata dall’odierno imputato.
Ciò posto – secondo il coerente e condivisibile ragionamento seguito dal giudice d’appello – la riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dalla corte territoriale risulta fondata, non già su una rivalutazione o una radicale rivisitazione degli elementi di fatto già considerati dal giudice di primo grado, o di spunti normativi del tutto estranei al quadro illuminato dalla contestazione originaria, bensì sul rilievo della mancata considerazione, ad opera del primo giudice, di un profilo di colpa del datore di lavoro, concretamente sussistente e agevolmente ricavabile dagli atti del giudizio, configurabile in termini di immediata connessione causale rispetto alla verificazione dell’evento infortunistico oggetto d’esame.
Tale rilievo – che pur trova una sua formale corrispondenza nella contestazione di colpa generica ascritta al datore di lavoro, con riguardo alla propria posizione funzionale rispetto all’evento in concreto addebitatogli – vale ad attestare la corretta individuazione, da parte del giudice d’appello, degli elementi essenziali dell’imputazione e il riscontro della relativa corrispondenza, tanto nell’atto d’accusa, quanto nella sentenza di condanna pronunciata a carico dell’imputato, così come il riscontro dell’effettiva acquisita conoscenza in sede dibattimentale, da parte dello stesso, di tutti i fatti e gli elementi di prova utilizzati ai fini della decisione; presupposti, di per sé tali da indurre a ritenere pienamente rispettato, nel caso di specie, il principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p. (e in ogni caso l’assenza di alcuna lesione dei relativi diritti di difesa), con la definitiva attestazione della radicale infondatezza del motivo d’impugnazione sul punto sollevato dall’odierno ricorrente.
6. Deve ritenersi altresì privo di fondamento il secondo motivo d’impugnazione illustrato dall’Imputato, con riguardo al difetto di una prova adeguata della colpevolezza individuata a suo carico, avendo quest’ultimo solo genericamente dedotto l’esaustività del documento di valutazione dei rischi redatto in ambito aziendale, predicandone l’asserita completezza estesa alla previsione del tipo di rischi assimilabili a quello concretizzatosi nell’occasione de qua.
Nella specie, la corte d’appello ha sottolineato come il predetto documento di valutazione dei rischi fosse privo di una specifica definizione strutturale, in funzione programmatoria, del medesimo tipo di operazioni cui il prestatore di lavoro infortunato era stato adibito; operazioni assolutamente routinarle e tipiche del contesto lavorativo, tali da indurre a ritenere che la previsione e la programmazione esecutiva del relativo svolgimento attenesse al quadro delle attività di gestione generale del rischio d’impresa pertinente alla sfera di controllo del datore di lavoro: previsione e programmazione nella specie totalmente mancata, secondo quanto attestato nella sentenza impugnata, articolata sulla base di un percorso motivazionale del tutto lineare, sul piano logico, e pienamente congruo in chiave argomentativa, in nessun punto adeguatamente contraddetto dalle censure in questa sede illustrate dall’odierno ricorrente, da ritenere del tutto generiche, rispetto alla specificità dell’addebito individuato dalla corte territoriale, oltre che affette da un profilo di carente autosufficienza, con riguardo all’esatta individuazione della prova documentale del corretto adempimento della valutazione del rischio oggetto d’esame, dedotta come asseritamente assolta (benché probatoriamente non suffragata), in contrasto con quanto affermato nella sentenza impugnata.
7. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata l’infondatezza di tutti i motivi d’impugnazione illustrati dall’imputato, dev’essere disposto il rigetto del ricorso e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11/12/2015.