Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 26 novembre 2015, n. 48269

Anziana donna ricoverata presso la RSA dell’Ospedale San Polo muore all’interno del cantiere edile non adeguatamente recintato.


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 26/11/2015

Fatto

1. – Con sentenza in data 2.12.2014 n. 188/14, il Giudice per l’Udienza preliminare presso il Tribunale di Gorizia dichiarava non luogo a procedere nei confronti di F.D., T.I., L.K., F.E., nonché nei confronti della SIRAM S.p.A., della CARMET S.r.l. e della STYLEDILE di F.E. S.A.S..
F.D., T.I., L.K. e F.E. rispondevano di omicidio colposo in regime di cooperazione colposa (la F.D. quale responsabile unico del procedimento nominata dall’ASS n. 2 Isontina in relazione ai lavori di appalto per la riqualificazione dell’Ospedale San Polo di Monfalcone; il T.I. quale coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, anch’egli nominato dall’ASS n. 2 Isontina, per il cantiere mobile ubicato nell’area retrostante la centrale termica del detto nosocomio; il L.K. quale amministratore unico e responsabile tecnico della CARMET S.r.l., ditta subappaltatrice dei lavori tecnologici nell’ambito del citato contratto di appalto; il F.E. quale datore di lavoro della ditta STYLEDILE di F.E. S.A.S., subappaltatrice per i lavori di riqualificazione impiantistica presso il suddetto ospedale), in riferimento al decesso di G.O., nata il 7.1.1929, ricoverata presso la RSA sita presso l’Ospedale San Polo e trovata morta all’Interno del cantiere edile per i sopra citati lavori di riqualificazione in data 7 agosto 2010, dopo essersi allontanata dal nosocomio tra le 16 e le 16,30 del 2 agosto 2010. A seguito del mancato accudimento, conseguente al suo allontanamento dalla struttura sanitaria ove era ricoverata, la G.O. decedeva per infarto in area miocardiale ipertrofica determinato da disidratazione.
Il decesso della G.O., persona fra l’altro non autosufficiente a seguito di evento traumatico, era imputato ai sunnominati per violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori dal D.Lgs. 81/2008 (il cantiere ove fu trovata morta la G.O. era privo di recinzione e con altre problematiche specificate in rubrica -buche, inciampi ecc.-, e a cagione di ciò, secondo la contestazione, la G.O. vi si era introdotta e presumibilmente era caduta o inciampata, provocandosi lesioni non mortali al volto ma non riuscendo ad alzarsi né a chiamare aiuto).
Alle ditte suindicate era contestato l’art. 25 septies del D.Lgs. 231/2001 in relazione all’art. 589 c.p. e con riferimento alla condotta omissiva dei rispettivi soggetti apicali.
2. – Avverso la detta sentenza di non luogo a procedere ricorre il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Gorizia, il cui ricorso è articolato in un unico motivo, nel quale si assume la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
Secondo la ricostruzione del P.M. ricorrente, il GUP ha fondato la propria decisione essenzialmente sull’assunto che non vi sarebbero elementi per affermare la sussistenza del nesso causale fra le violazioni della normativa antinfortunistica di cui all’imputazione e il decesso della G.O., la quale -si afferma in sentenza- ben potrebbe essere caduta da sola, eventualmente a seguito di malore o di infarto, né vi sarebbe prova che la stessa sia deceduta a causa del suo Ingresso in cantiere, atteso che il decesso avveniva per cause naturali non correlate ad alcuna delle attività che si svolgevano nel cantiere.
In proposito, tuttavia, il P.M. ricorrente argomenta osservando che ciò che conta è che la G.O. sia entrata nel perimetro del cantiere, che era bensì recintato con delle barriere di plastica rossa nelle quali tuttavia vi erano dei varchi attraverso i quali era agevole passare, e che sia caduta o inciampata all’interno del cantiere stesso, ossia in un luogo ove non sarebbe dovuta entrare e dove, a seguito della caduta, non sarebbe stato agevole vederla o trovarla. Questo anche se, riconosce il P.M. ricorrente, la RSA presso l’Ospedale San Polo non era struttura idonea ad accogliere la G.O. (ragione per la quale il responsabile di essa è stato rinviato a giudizio); ma, prosegue il P.M., ciò non toglie che quanto meno la mancanza di recinzione idonea fu concausa del decesso dell’anziana donna, non avendone impedito l’ingresso nel cantiere della G.O. e, a seguito della caduta della stessa (indipendentemente dal fatto che tale caduta fosse determinata da un malore o da altra causa), la G.O. non riuscì a rialzarsi e a chiamare i soccorsi, né fu possibile rintracciarla, fino all’avvenuto decesso.
3. – Con atto depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 11.11.2015, il difensore dell’imputata F.D. confuta le argomentazioni contenute nel ricorso del P.M. sotto un triplice profilo.
In primo luogo, deduce l’inammissibilità del ricorso per mancanza di tipicità dei requisiti di cui all’art. 606 c.p.p., trattandosi di ricorso fondato essenzialmente su argomentazioni integralmente in fatto.
In secondo luogo, osserva che le argomentazioni del GUP sono assistite da logicità e coerenza e che, viceversa, quelle articolate nel ricorso del P.M. sono caratterizzate da un approccio meramente congetturale e oltretutto indimostrabili.
In terzo luogo, evidenzia come nella sentenza impugnata siano stati accuratamente valutati gli elementi in base ai quali il giudice ha concluso per l’impossibilità di pervenire, in dibattimento, a un diverso apprezzamento dei fatti o all’acquisizione di nuove prove idonee a orientare altrimenti la decisione finale.
Con successive memorie depositate in atti, hanno parimenti confutato gli argomenti posti a base del ricorso anche i difensori dell’imputato T.I., dell’imputato F.E., dell’imputato L.K., della ditta SIRAM S.p.A. e della ditta CARMET S.r.l..

Diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
La motivazione offerta dal GUP nella sentenza impugnata, e contestata dal P.M. ricorrente, appare infatti quanto meno lacunosa e comunque insufficiente, nella premessa che, secondo il prevalente e qui condiviso indirizzo di questa Corte, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti dal P.M. per escludere che l’accusa sia sostenibile in giudizio (da ultimo vds. Cass. Sez. 2, n. 5669 del 28/01/2014 – dep. 05/02/2014, P.M. in proc. Schiaffino e altri, Rv. 258211).
Nella specie, la prognosi negativa formulata dal giudice dell’udienza preliminare sull’utilità del dibattimento e sui suoi possibili sviluppi probatori si fonda su una ricostruzione assai sommaria e incompleta del nesso causale fra l’accesso della vittima nel cantiere e il suo successivo decesso.
Ed invero, nella detta sentenza si riconosce che l’art. 109 D.Lgs. 81/2008 – violazione specificamente contestata in rubrica- imponeva una recinzione atta a impedire l’accesso al cantiere da parte di terzi estranei. Senonchè, posto che la G.O. era invece sicuramente entrata nel cantiere ove fu poi trovata morta, il GUP deduce che non vi sarebbe prova che la donna sia deceduta per effetto del suo ingresso nel cantiere, essendo invece risultato che la stessa era morta per una causa naturale non correlabile ad alcuna delle attività che si svolgevano all’interno del cantiere stesso; ed aggiunge che non sarebbero identificabili integrazioni probatorie che possano eliminare le incertezze circa il concreto svolgimento dei fatti e che possano modificare le conclusioni tratte dal GUP.
A parere di questa Corte, le lacune motivazionali in siffatto percorso logico ineriscono all’esame della serie causale che condusse all’evento, comprensiva di fattori che il GUP ha totalmente omesso di valutare, dei quali l’ingresso della G.O. nel cantiere fu solo il primo, ma indefettibile elemento: nulla si legge nella sentenza circa il fatto che la donna era molto anziana e non autosufficiente, con ciò che ne consegue in punto di possibilità di rimanere vittima di cadute e di difficoltà nell’invocare aiuto; né circa il fatto che la G.O. cadeva in un luogo -non adeguatamente recintato- in cui ben difficilmente sarebbe stato possibile trovarla e soccorrerla, in modo tale da rimanere in stato di abbandono; né circa il fatto che il decesso avvenne bensì per infarto ma -si legge nell’imputazione- in correlazione con la disidratazione della donna (verificatasi in seguito all’accesso della stessa ad area che doveva essere interdetta all’ingresso di estranei, e presumibilmente a distanza di diverse ore o giorni dall’uscita dell’anziana donna dall’ospedale), disidratazione resa ancor più probabile dalla stagione estiva (i fatti sono dell’agosto 2010); né circa il fatto che il primo elemento della serie causale che condusse al decesso della G.O. era pur sempre costituito dalla violazione di una regola codificata di prevenzione di infortuni a terzi estranei al luogo di lavoro, con ciò che ne consegue in termini di prevedibilità di incidenti a terzi, oltretutto nel comprensorio di un ospedale ove insisteva una RSA; né infine circa il fatto che non risulta affatto esplorata, in punto di prevedibilità in concreto, la tipologia di pazienti della RSA ove la G.O. era ricoverata, da valutarsi in relazione con i rischi di un potenziale accesso di alcuno di detti pazienti in area non adeguatamente recintata e di un possibile verificarsi di conseguenti incidenti a loro carico.
Con precipuo riguardo a quest’ultimo profilo, nel valutare la possibile dipendenza causale tra le contestate omissioni di norme cautelari e l’evento- morte occorso a carico della G.O. (e in relazione alla presenza di una RSA nel comprensorio dell’ospedale), sarebbe stato (ed è) necessario approfondire – secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata nella stessa sentenza impugnata- se il fatto fosse ricollegabile all’Inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli arti. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’Infortunio non rivestisse carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (vds. per tutte Cass. Sez. 4, Sentenza n. 23147 del 17/04/2012 Ud. -dep. 12/06/2012 – Rv. 253322).
Tuttavia, il percorso motivazionale seguito dal GUP con l’impugnata sentenza non risulta, secondo questa Corte, aver convenientemente esaminato nella sua completezza né gli effetti della condotta omissiva e negligente contestata agli odierni imputati, nella rispettiva posizione, né gli elementi concomitanti e successivi potenzialmente rilevanti nel decorso causale che portò alla morte dell’anziana donna, né la prevedibilità o meno del comportamento della stessa (e, più in generale, di pazienti presenti all’Interno del comprensorio ospedaliero, in specie della RSA ove era ricoverata la G.O.), né conseguentemente -e soprattutto- i possibili sviluppi probatori riferiti all’esame dibattimentale di siffatti elementi.
Dall’insieme delle considerazioni che precedono, consegue che l’impugnata sentenza va annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Gorizia in riferimento alla sussistenza o meno di elementi per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti degli imputati, in relazione ai sopra indicati aspetti non adeguatamente valutati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Gorizia per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015.

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