Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 26 novembre 2015, n. 48270

Caduta del palo durante le operazioni di scavo e responsabilità di un datore di lavoro.


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 26/11/2015

FattoDiritto

1. – Con ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Roma in data 12.8.2015, veniva rigettato il gravame proposto nell’interesse di R.G. avverso ordinanza del GIP presso il Tribunale di Viterbo con la quale al R.G. veniva applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al delitto di omicidio colposo a lui contestato – in regime di cooperazione colposa con B.I. – quale datore di lavoro della vittima V.G., suo dipendente, in relazione a un episodio occorso in agro di Nepi il 20.2.2015, in occasione del quale il V.G. veniva colpito da un palo in occasione di operazioni di scavo compiute dal B.I. con una pala meccanica, che aveva provocato la caduta del palo stesso ; nonché al delitto di truffa aggravata in danno dell’Organo di vigilanza dell’ASL Viterbo, presentando certificato medico di idoneità lavorativa relativo al dipendente B.I. in cui si attestava falsamente l’avvenuta visita medica di idoneità dello stesso al lavoro.
2. – Avverso l’ordinanza di cui in epigrafe ricorre il R.G. per il tramite del suo difensore avv. F., dolendosi in sostanza:
– del fatto che essa risulterebbe emessa prima dell’udienza di trattazione dell’affare, come sarebbe comprovato dalla data materialmente apposta in calce all’ordinanza del Tribunale del Riesame, che è quella del 10 agosto 2015 (ossia due giorni prima dell’udienza in data 12 agosto 2015);
– dalla carenza di motivazione dell’ordinanza in punto di esigenze cautelari, con particolare riguardo al profilo dell’attualità e concretezza del pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione di reati della stessa indole.
3. – Deve darsi atto che, con atto depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 28.9.2015, l’avv. F., in qualità di difensore del ricorrente, ha dichiarato di rinunciare all’impugnazione. Al riguardo, tuttavia, va evidenziato che con recente decisione (24 novembre 2015) attualmente in corso di deposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che il difensore dell’indagato o imputato non munito di procura speciale non può validamente rinunciare all’impugnazione da lui autonomamente proposta.
Ciò implica la necessità di esaminare il ricorso nel merito.
4. – Ambedue le doglianze sono inammissibili.
Quanto alla prima, appare evidente che la data apposta a chiusura dell’ordinanza impugnata è frutto di mero errore materiale, atteso che, nella prima pagina dell’atto, in premessa, si riporta correttamente la data del 12 agosto 2015 (e la data di deposito risulta essere il 14.8.2015); di tal che è assolutamente priva di fondamento la deduzione difensiva secondo la quale il provvedimento sarebbe stato emesso addirittura prima dell’udienza.
Parimenti inammissibile, perché manifestamente infondata, è la doglianza relativa alla ritenuta carenza di motivazione circa l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari correnti nel caso di specie. Nell’ordinanza impugnata le esigenze cautelari vengono adeguatamente argomentate, anche sul piano della loro concretezza ed attualità, non solo sulla base dell’Intrinseca gravità del fatto e delle modalità della condotta del R.G., ma anche sulla base della circostanza che la ditta di cui egli è titolare ha in corso ulteriori lavori di ristrutturazione, con interventi anche in altezza, e che risultano accertate ulteriori violazioni della normativa di sicurezza per detti lavori con riferimento all’installazione di ponteggi in un cantiere di Ronciglione.
Tale decisivo elemento, come illustrato nell’ordinanza impugnata, induce a ritenere superate le doglianze difensive in punto di attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole.
In buona sostanza, è parere di questa Corte che la motivazione circa l’attualità e concretezza del rischio di recidivanza e la necessità di una risposta cautelare adeguata e commisurata al caso concreto ben può fondarsi, se congruamente argomentata, su una valutazione in chiave specialpreventiva che sia basata non solo sull’Intrinseco disvalore del fatto, ma altresì su un’accertata e immanente proclività al delitto del soggetto attivo (ravvisata, nella specie, sulla base delle modalità particolarmente riprovevoli della sua condotta e delle ulteriori condotte illecite allo stesso contestate in analoga posizione di garanzia).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: Corte Cost. n.186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 300,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 26.11.2015

Lascia un commento