Presenza di materie cancerogene nell’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti. Origine professionale o extraprofessionale delle patologie dei lavoratori.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 27/04/2015
Fatto
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Terni ricorre per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale é stato dichiarato non luogo a procedere nei confronti di A.A., DF.G., DR.M.A., I.R.A., O.P.M.F., O.M., P.G., R.P., S.P. e T.S. in ordine ai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste.
All’esito di indagini preliminari che avevano avuto ad oggetto anche reati in materia ambientale e violazioni alla normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro, per le persone appena menzionate era stato richiesto il rinvio a giudizio per aver, nelle rispettive qualità assunte all’interno della ASM S.p.A., società a partecipazione pubblica in proprietà del Comune di Terni operativa nel settore dei servizi pubblici, e tra gli altri in quello del trattamento dei rifiuti, cagionato con condotte omissive fra loro indipendenti, in violazione delle norme in materia di igiene e di sicurezza dei luoghi di lavoro, non adottando le cautele dovute a fronte della presenza di materie cancerogene nell’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti conferiti, non fornendo ai lavoratori adeguate informazioni, non facendo formazione agli stessi e non mettendo a disposizione dei medesimi adeguati dispositivi di protezione individuale, lesioni personali a S.S. e R.V., consistite in linfoma non Hodgkin, per il primo, e linfoma Hodgkin, per il secondo, con patologie di durata superiore ai 40 giorni ed effetti presumibilmente permanenti, nonché la morte di G.M., per adenocarcinoma del polmone sinistro, e di I. B., per carcinoma dell’esofago.
Nel motivare la propria decisione il giudice territoriale ha fatto perno sulle risultanze dell’accertamento peritale disposto nel corso dell’udienza preliminare, dopo aver considerato che esse avevano colmato le lacune contenute nella perizia che era stata precedentemente svolta in sede di incidente probatorio. Il giudice ha ritenuto che le conclusioni alle quali era pervenuto l’esperto non si discostino da quelle rassegnate dei tre periti nominati in sede di incidente probatorio, tuttavia lacunose per non poggiare sull’indagine dell’ambiente di lavoro delle persone offese. Pertanto, nella sostanziale convergenza dei diversi elaborati in ordine alla impossibilità di dimostrare con certezza l’esistenza di una relazione causale tra l’esposizione professionale dei lavoratori a prodotti cancerogeni loro derivata dall’essere addetti all’inceneritore ASM e l’insorgenza delle malattie delle quali ciascuno era poi era stato portatore, il giudice ha concluso per l’insussistenza di elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio nei confronti degli imputati, relativamente al piano della causalità tra le violazioni cautelari prospettate dall’accusa e le lesioni e le morti indicate nelle imputazioni. Tale giudizio ha fatto perno sugli esiti delle accertamenti peritali, in forza dei quali il decidente ha affermato che, con riferimento al lavoratore V., non erano state accertate significative esposizioni ad agenti cancerogeni e non vi erano dati scientifici univoci in ordine al collegamento causale tra il linfoma Hodgkin e i fattori occupazionali; con riferimento al lavoratore S., non era affermabile con alto grado di probabilità logica e credibilità razionale la correlazione eziologica tra le mansioni lavorative svolte dal medesimo all’interno della ASM e la patologia che affligge il lavoratore, in ragione del ridotto periodo tra la prima eventuale esposizione a fattori di rischio e l’insorgenza della malattia; con riferimento al B., sulla scorta dell’insufficiente periodo di esposizione ai prodotti derivanti dalla combustione e del fatto che lo svolgimento delle mansioni che avevano esposto il lavoratore a tali prodotti non era significativo né per durata né per entità, anche in considerazione del tempo di latenza trascorso tra l’iniziale esposizione alle sostanze e la diagnosi della malattia, in rapporto agli ordinari intervalli di induzione-latenza del tumore dell’esofago (compresi tra i 15 ed i 20 anni) ed altresì in ragione della presenza di ulteriori fattori di astratta valenza deterministica, quali il tabagismo e l’assunzione di alcol; in riferimento al M., dell’insufficienza dell’esposizione a prodotti cancerogeni in conseguenza delle mansioni svolte all’interno dell’azienda, anche tenuto conto delle modalità di svolgimento delle relative funzioni, e del tempo di latenza trascorso tra l’iniziale esposizione a fattori di rischio e la diagnosi di malattia, la presenza di altri fattori di rischio specifico, quale il tabagismo.
2. Con il ricorso si deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio motivazionale nonché violazione dell’art. 40 cod. pen. e dell’art. 425 cod. proc. pen.
Ad avviso dell’esponente il giudice ha omesso di dare conto dei dati e delle conclusioni offerti dagli accertamenti tecnici condotti a mezzo del consulente del p.m. e dei consulenti delle parti civili, con l’effetto di non rilevare la incompletezza dell’operato del perito dr.ssa St., non sufficientemente consapevole delle risultanze processuali, della letteratura scientifica e persino errata nella quantificazione dell’epoca di esposizione a rischio e a riguardo della incidenza di componenti tossici sulla salute.
La sentenza impugnata non manifesta la valutazione delle indagini nel loro complesso e fa perno esclusivamente sull’ultimo elaborato peritale, omettendo di formulare il solo giudizio che competeva, quello sulla inutilità o supefluità del dibattimento.
3. Con memoria depositata il 10.4.2015 la difesa degli imputati A., I., P. e T. ha osservato che il mancato riferimento nel testo del provvedimento impugnato ai contributi degli esperti del p.m. e delle parti civili (così come a quelli delle difese), non ha determinato la mancata considerazione dei medesimi perché i periti le cui conclusioni il giudice ha ritenuto di far proprie avevano tenuto conto di quei lavori, non condividendoli.
D’altronde, si aggiunge, questi stessi consulenti avevano partecipato alle udienze nelle quali erano stati sentiti i periti.
Si sviluppano poi osservazioni in ordine alla completezza della perizia della dr.ssa St., esplicitando le ragioni per le quali si ritiene di condividerne le conclusioni, a fronte delle critiche che, partendo dall’elaborato della dr.ssa G., il p.m. indirizza allo studio del perito del giudice. Si censura, inoltre, che il p.m. si sia doluto dell’omessa considerazione della esposizione dei lavoratori anche in epoca antecedente all’anno 2000, perché attiva in quel tempo la gestione di altra impresa, evidenziando come gli odierni imputati non possano essere chiamati a rispondere di fatti occorsi prima dell’assunzione del ruolo in ASM. Si critica, ancora, la doglianza mossa dal ricorrente in ordine alla valutazione delle eventuali concause, segnalando che il giudice non ha ritenuto che la molteplicità dei fattori escludesse il nesso causale ma che, esclusa l’efficienza eziologica della esposizione, altre potevano essere le cause delle patologie.
Diritto
4. Il ricorso è fondato.
4.1. La curva evolutiva percorsa dalla disciplina dell’udienza preliminare, significativamente riscritta rispetto a quella originaria, non ha però modificato il fatto che essa è deputata a permettere un vaglio sulla sostenibilità in giudizio dell’accusa e non a sancire l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato. La Corte costituzionale ha più volte affermato che le modifiche apportate hanno confermato che “l’apprezzamento del giudice non si sviluppa… secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare… se risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento” (sent. n. 82 del 1993; sent. n. 71 del 1996; sent. n. 51 del 1997; ord. n. 185 del 2001).
Né l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice rispetto all’epilogo decisionale, attraverso gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421-bis e 422 bis cod. proc. pen., hanno attribuito al medesimo il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza- colpevolezza dell’imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori (art. 425, co. 3) “è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento” (Sez. U, Sentenza n. 39915 del 30/10/2002, Vottari).
Ciò importa che ove all’udienza preliminare emergano prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all’assoluzione dell’imputato, il proscioglimento deve essere pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti (Sez. 4, n. 43483 del 06/10/2009, Pontessilli, Rv. 245464). Quindi, il quadro probatorio e valutativo delineatosi all’udienza preliminare deve essere ragionevolmente ritenuto immutabile. Il giudice dell’udienza preliminare, dunque, ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione.
Alla stessa stregua, l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi che legittimano la pronunzia della sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425, co. 3 cod. proc. pen., devono avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 33921 del 17/07/2012, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127)
Tanto si riflette anche sulla motivazione della decisione, che deve dare conto dell’avvenuto esame degli elementi disponibili, delle lacune e delle contraddizioni rinvenute e della loro non superabilità in sede dibattimentale.
4.2. L’esame della sentenza impugnata dimostra che nel caso che occupa il G.u.p. non si è attenuto ai principi giuridici indicati, in quanto l’apprezzamento del merito da parte del giudicante si è sviluppato secondo un canone di innocenza, trascurando la prospettiva di delibare se risultasse o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento. Nel percorso argomentativo, infatti, il giudice ha evidenziato come gli elementi posti a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio non fossero sufficienti “a dimostrare, secondo il criterio di probabilità logica, …, che le patologie, …, siano state determinate da un’esposizione professionale, essendo altrettanto probabile che le stesse siano di origine extraprofessionale”. Così ponendosi nella prospettiva della verifica dell’innocenza degli imputati e non già della capacità del dibattimento di risolvere le incertezze evidenziate nell’elaborato della dr.ssa St.. Incombenza che sembra sfuggita al Giudice dell’udienza preliminare, come evidenzia ancor più icasticamente l’affermazione secondo la quale a fondare la decisione di rinvio a giudizio sarebbe necessario “un giudizio di alta probabilità logica” della derivazione causale; laddove tale questione, specie ove l’apprezzamento non possa essere di semplice fattura, per il convergere dialettico di una pluralità di contributi tecnici tra loro dissonanti, a loro volta richiedenti una valutazione preliminare di congruenza rispetto ai fatti acquisiti, al patrimonio scientifico disponibile e ai canoni della logica, appartiene allo specifico del giudizio dibattimentale. Né contraddice la censura qui esposta il fatto che nella sentenza si legga che le lacune emerse nell’accertamento del nesso di causalità tra l’esposizione professionale e le patologie evidenziate nell’imputazione “non appaiono colmabili in sede dibattimentale”; giacché, come correttamente rilevato dal ricorrente, in assenza di una analitica discussione dei diversi apporti tecnici, quell’affermazione non equivale ad una motivazione perché apodittica e non verificabile. Sicché risulta fondata anche la censura che si indirizza al vizio motivazionale, per non essere espressa quella valutazione di tutti gli elementi disponibili, delle lacune e delle contraddizioni rinvenute e della loro non superabilità in sede dibattimentale, della quale si é fatta dianzi menzione.
Né si può tacere la manifesta illogicità che si associa alla rilevata violazione della regola di giudizio prevista dall’art. 425 cod. proc. pen., percepibile laddove il giudice territoriale asserisce che le perizie in atti riconoscono, anche se solo per il Moretti, una percentuale di derivazione causale della patologia dall’esposizione professionale tra il 60% ed il 70%.
5. In conclusione, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Terni.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Terni.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27.4.2015.