Anta difettosa in un salone di parrucchieri. Datore di lavoro colpisce al volto una dipendente. Attrezzature non funzionali.
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Data Udienza: 07/07/2015
FattoDiritto
1. Riformando la sentenza assolutoria per non aver commesso il fatto emessa dal Tribunale di Livorno nei confronti dell’imputato in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze ne ha affermata la responsabilità ed ha altresì pronunciato condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.
L’imputazione attiene al reato di lesioni colpose con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. All’imputato, titolare di un negozio di parrucchiere è stato attribuito l’addebito di aver maldestramente manovrato l’anta scorrevole di un armadio che era uscito dalla guida, colpendo sul volto la dipendente S.M..
2. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo diversi motivi.
La sentenza d’appello non ha sottoposto alla necessaria revisione critica la prima sentenza. Essa si è basata sulle dichiarazioni della persona offesa, erroneamente trascurando le altre acquisizioni probatorie, così compiendo una omissione valutativa di per sé sufficiente ad incrinare il giudizio di responsabilità oltre il ragionevole dubbio. Diversi testi hanno riferito della lieve lesione subita dalla lavoratrice ma nessuno di essi ha visto la condotta attribuita al ricorrente; nessuno ha udito un litigio. Tali emergenze, per contro, sono state adeguatamente ponderate dal Tribunale che è pervenuto a pronunzia assolutoria. Oltre a ciò, la Corte di merito non ha adeguatamente tenuto in considerazione la peculiare circostanza afferente alla tardiva scoperta di una teste oculare che si sarebbe trovata a soli 2 metri dal luogo dell’incidente.
La Corte distrettuale propone inoltre una mera congettura quanto all’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
La sentenza d’appello ha ritenuto la responsabilità omissiva per non aver garantito la funzionalità delle attrezzature presenti sul luogo di lavoro, mentre la contestazione era completamente diversa e riferita a condotta commissiva consistita nel colpire la vittima.
A sostegno dell’impugnazione vengono allegati numerosi brani delle deposizioni testimoniali.
3. Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata dà atto che la lavoratrice ha riferito che nell’aprire un armadietto da tempo difettoso un’anta era fuoriuscito dalla guida. L’imputato intervenne per riposizionare l’anta ma in quel frangente ebbe a colpirla al volto cagionandone la frattura del setto nasale. Tuttavia le altre dipendenti hanno riferito di non aver assistito al fatto essendo impegnate nelle loro mansioni. In conseguenza il Tribunale ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova certa della responsabilità.
Per contro, la Corte d’appello ritiene che il fatto sia stato adeguatamente ricostruito sulla base della deposizione della persona offesa e di quanto dichiarato anche per conoscenza indiretta dalle altre testimoni escusse. La donna ha spiegato che il S., nel far rientrare l’anta scorrevole del mobile, l’aveva spinta verso l’esterno mandandola a sbattere contro il suo volto. Sì tratta di una ricostruzione lineare e conforme alle risultanze del referto medico che evidenzia una lesione ampiamente compatibile con la descritta dinamica del fatto. D’altra parte, le altre testimoni non hanno smentito questa ricostruzione, ma hanno solo affermato di non aver visto l’accaduto perché si trovavano in altre zone del salone. Esse hanno però riferito che nell’immediatezza la donna era piangente e sanguinante ed ha riferito che era stato l’imputato a colpirla involontariamente nello spostare lo sportello.
In definitiva il primo giudice non ha svolto alcuna considerazione che valga a sminuire la credibilità della vittima, limitandosi ad argomentare sulla base della non rilevante mancanza di elementi dì conferma circa la discussione svoltasi tra i due. Peraltro ove pure si volesse ritenere, “per non creduta ipotesi”, che non sia stato l’imputato a maneggiare sbadatamente l’anta, la responsabilità non verrebbe comunque meno giacché egli era tenuto ad assicurare la funzionalità delle attrezzature presenti sul luogo di lavoro.
3.1.Il ricorso è infondato. La pronunzia propone una razionale analisi dei materiale probatorio pervenendo alla conclusione che la dichiarazione della vittima è altamente attendibile, perché coerente con la documentazione medica che descrive una lesione ben compatibile con il narrato. D’altra parte, le altre deposizioni testimoniali non confutano per nulla tale deposizione ma sono semplicemente prive di specifiche note fattuali aggiuntive determinate dalla personale visione degli accadimenti. Esse, tuttavia, indirettamente confermano la narrazione. Tale apprezzamento non reca vizi logici di sorta; e d’altra parte l’imputato sembra voler piuttosto sollecitare questa Corte alla impropria riconsiderazione del merito, allegando una parte ampia ed incompleta delle dichiarazioni testimoniali.
Inoltre, il ragionamento afferente alla ipotetica responsabilità dovuta alla non corretta manutenzione delle attrezzature dell’esercizio costituisce nulla più che una aggiunta priva dì decisivo rilievo, svolta a mero scopo argomentativo, come dimostrato dall’apposizione dell’inciso “per non creduta ipotesi”.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato.
Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali; nonché alla rifusione delle spese di parte civile che appare congruo liquidare come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali; nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di cassazione, liquidate in 2,500,00 euro oltre accessori come per legge.