Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 6, 04 aprile 2016, n. 13432

Aggravamento delle condizioni di salute in seguito ad infortunio sul lavoro: reato di falsa testimonianza.


Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO
Data Udienza: 17/03/2016

Fatto

1. Con sentenza del 25 settembre 2015 la Corte di appello di Catania ha riformato solo con riguardo all’entità delle provvisionali riconosciute alle parti civili la sentenza emessa in data 27/5/2014 dal Tribunale di Catania, con la quale C.C. è stata condannata alla pena di anni due di reclusione in quanto riconosciuta colpevole del delitto di cui all’art. 372 cod. pen., per aver, deponendo in data 19/11/2007 nell’ambito di giudizio penale originato da una sua querela per lesioni riportate a seguito di infortunio sul lavoro, dichiarato che le sue condizioni di salute erano peggiorate tanto da essere costretta permanentemente a letto e da essersi presentata in udienza su una sedia a rotelle.
2. Ha presentato ricorso il difensore dell’imputata.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per aver la Corte omesso di pronunciarsi sul principale motivo di appello e per aver erroneamente applicato l’art. 372 cod. pen.
Il primo motivo di appello aveva avuto ad oggetto la non idoneità delle dichiarazioni della persona offesa ad alterare il convincimento del giudice, in quanto l’asserita falsità aveva riguardato circostanza estranea all’oggetto del procedimento.
Su tale censura, peraltro condivisa dal Procuratore Generale in udienza, la Corte territoriale non si era pronunciata, se non facendo ricorso in un passo ad una motivazione apparente (anche perché incompleta e non incentrata sulle deduzioni difensive) e comunque illogica, volta ad attestare, ma senza specifica spiegazione, che la dichiarazione riguardante l’aggravamento delle condizioni di salute aveva influito sulla decisione del giudice nella causa sottostante.
In realtà l’enfatizzazione dell’attuale aggravamento di quelle condizioni non avrebbe potuto incidere sull’accertamento riguardante un’imputazione avente ad oggetto lesioni lievi guaribili in otto giorni, verificatesi sette anni prima, senza che la danneggiata avesse fatto richiesta di modifica del capo di accusa.
2.1. Con il secondo motivo denuncia violazione di norme penali e processuali agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 157 e 159 cod. pen.
Dalla data del fatto era decorso fin da epoca anteriore alla sentenza di appello il termine di prescrizione pari ad anni sette e mesi sei, tanto che era stata formulata in subordine richiesta di declaratoria di estinzione del reato, sulla quale la Corte non si era pronunciata.
Peraltro, non si sarebbero potuti conteggiare dei periodi di sospensione, contrariamente a quanto annotato sulla copertina del fascicolo, che indicava un periodo complessivo di mesi dieci.
Infatti i rinvii del procedimento registratisi nel giudizio di primo grado erano dipesi da altrettante richieste del difensore della parte civile, senza che il difensore dell’Imputato avesse prestato consenso o avesse concordato la richiesta.
Sulla scorta del più recente orientamento della Corte di cassazione si sarebbe dovuto considerare ammissibile anche un ricorso incentrato sulla richiesta di declaratoria della prescrizione, maturata prima della sentenza di appello.

Diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. La Corte territoriale non ha inteso eludere il motivo di appello che tendeva a segnalare l’irrilevanza del tema oggetto dell’asserita falsità ai fini della configurabilità in concreto del delitto di falsa testimonianza.
E’ stato invero rilevato che la testimonianza di C.C., nel sottostante processo per lesioni colpose, aveva assunto un ruolo cardine fondamentale ed è stato aggiunto che non si sarebbe potuto escludere che il decidente avesse tenuto conto dell’aggravarsi delle condizioni di salute della vittima a seguito del patito infortunio sul lavoro, atteso che la decisione «veniva influenzata proprio dal peggioramento delle condizioni di salute della parte offesa» per come rappresentate e per come direttamente constatate, visto che la C.C. si era presentata su una sedia a rotelle.
La stessa Corte ha d’altro canto osservato che il delitto di falsa testimonianza ha natura di reato di pericolo che prescinde dal grado di credibilità della falsa deposizione e che si realizza anche quando il giudice abbia negato attendibilità alla deposizione.
1.2. In realtà, al di là della definitiva concludenza di tali valutazioni, l’assunto del ricorrente non può trovare accoglimento, in quanto, una volta precisato con chiarezza il quadro in cui la deposizione andava calata in rapporto al thema decidendum, il giudizio sulla rilevanza o meno della ritenuta falsità è da intendersi di natura squisitamente giuridica.
Ed allora deve rilevarsi che «ai fini della configurabilità del delitto di falsa testimonianza, è sufficiente che i fatti oggetto della deposizione siano pertinenti alla causa e suscettibili di avere efficacia probatoria, anche se, in concreto, le dichiarazioni non hanno influito sulla decisione del giudice» (Cass. Sez. 6, n. 51032 del 5/12/2013, Mevoli, rv. 258507).
D’altro canto è stato sottolineato (Cass. Sez. 6, n. 4299 del 10/1/2013, Buffadini, rv. 254433; Cass. Sez. 6, n. 20656 del 22/11/2011, dep. nel 2012, De Gennaro, rv. 252628) che «la valutazione sulla pertinenza (da intendersi come riferibilità o afferenza dell’oggetto della testimonianza ai fatti che il processo è destinato ad accertare) e sulla rilevanza (che riguarda l’efficacia probatoria dei fatti dichiarati) della deposizione va effettuata con riferimento alla situazione processuale esistente al momento in cui il reato è consumato, ossia “ex ante” e non “ex post”, dovendo tale valutazione essere effettuata da parte del giudice sulla base di norme giuridiche e non anche mediante l’utilizzazione di massime di esperienza.
Ed è stato altresì rilevato che possono aver rilievo anche le dichiarazioni mendaci rese in risposta a domande volte a sondare l’attendibilità del teste (Cass. Sez. 6, n. 41572 del 8/5/2013, Calvosa, rv. 256862).
1.3. Orbene, deve osservarsi che la deposizione di cui si discute è stata resa nell’ambito di un processo nel quale gli imputati erano chiamati a rispondere di lesioni arrecate alla C.C. in conseguenza di un infortunio sul lavoro e reputate guaribili in giorni otto: è allora di tutta evidenza, sul piano giuridico, alla luce dei principi esposti, che l’affermazione, ritenuta falsa, secondo cui la C.C. aveva subito un aggravamento delle sue condizioni di salute, tanto da doversi presentare su una sedia a rotelle, ove valutata ex ante, cioè con riferimento alla situazione processuale esistente al momento in cui il reato è stato commesso, era del tutto pertinente rispetto al tema del processo, avente ad oggetto le conseguenze lesive di un infortunio, ed era nel contempo rilevante, in quanto idonea a suffragare la base stessa dell’accusa, incentrata sulla derivazione causale dalla condotta addebitata agli imputati di conseguenze pregiudizievoli per la dichiarante, persona offesa del reato.
A prescindere dunque dalla ricerca degli effetti della messa in scena sulla psicologia del giudicante, il delitto di falsa testimonianza deve ritenersi in concreto ravvisabile sulla base di un’analisi di natura giuridica, in tal senso dovendosi parzialmente correggere la motivazione dei giudici di merito.
2. E’ invece fondato il secondo motivo.
Deve al riguardo rilevarsi che il termine di prescrizione massima per il delitto di falsa testimonianza è di anni sette e mesi sei.
Il reato deve farsi risalire al 19 novembre 2007.
Devono inoltre conteggiarsi alcuni periodi di sospensione del termine.
Risulta dal diretto esame dei verbali che nel corso del giudizio di primo grado sono stati disposti rinvìi alle udienze del 3/11/2011, del 28/2/2012, del 3/7/2012, del 19/4/2013 e del 25/6/2013, tutte le volte su istanza del difensore delle parti civili.
Il ricorrente ha contestato che in casi siffatti potesse ravvisarsi una causa di sospensione del termine.
Ma tale assunto è solo in parte fondato.
Va infatti rilevato che le istanze presentate in vista delle udienze del 28/2/2012, del 19/472013 e del 25/6/2013, recano l’indicazione che il difensore dell’imputato, prontamente informato della richiesta, aveva aderito alla stessa.
Nelle altre due occasioni invece si dà atto che il difensore dell’Imputato, all’uopo informato, non si opponeva al rinvio.
Alle due diverse formulazioni conseguono effetti distinti.
Posto che la sospensione del termine di prescrizione discende ai sensi dell’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., da un differimento della trattazione del processo che deve dipendere da una richiesta o comunque da una scelta di chi ha interesse contrario, cioè dall’imputato e dal suo difensore, ove l’istanza di rinvio provenga dalla parte civile, l’effetto sospensivo non può prodursi, a meno che sia accompagnato da una precisa presa di posizione dell’imputato o del difensore, i quali devono espressamente aderire alla richiesta, in tal modo facendola propria (non è certo un caso che alla concomitante adesione del difensore dell’imputato sia stato dato rilievo anche ai fini della doverosità del rinvio nel caso di adesione ad astensione proclamata da organismi di categoria, proveniente dal difensore della parte civile: Cass. Sez. U. n. 15232 del 30/10/2014, Tibò, rv. 263022).
Qualora invece non vi sia adesione ma semplice non opposizione, la formulazione finisce per indicare la volontà di rimettersi alle valutazioni del giudice, senza che peraltro il risultato di tale valutazione possa dirsi dipendente dalla scelta dell’imputato, da ciò discendendo la non operatività della sospensione (in tal senso si richiama anche Cass. Sez. 4, n. 7071 del 31/1/2014, Mariotti, rv. 259326).
Ciò non significa che la non opposizione non possa mai sul piano processuale equipararsi ad un consenso: va infatti considerato che nei casi in cui un’attività processuale o l’acquisizione di prove è condizionata dall’atteggiamento in concreto assunto dalla difesa, la quale ha la facoltà di opporvlsi, senza che vi sia la possibilità contrastare tale scelta, la non opposizione fa di per sé venir meno la ragione impeditiva, finendo per equivalere ad un consenso.
Negli altri casi la distinzione conserva invece rilievo, per modo che nel caso di specie deve ritenersi che la sospensione del termine di prescrizione vada limitata ai soli tre periodi di giorni 60 ciascuno nei quali era stata accreditata l’adesione del difensore dell’imputato.
A tale stregua il reato non era ancora estinto alla data della sentenza della Corte territoriale, dovendosi aggiungere 180 giorni alla scadenza del 19 maggio 2015.
Tuttavia alla data odierna il termine di prescrizione deve ritenersi decorso per intero, il che, fatte salve le statuizioni civili, comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, in quanto il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
Segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalle parti civili, liquidate come da dispositivo, tenendo conto dell’unicità del difensore.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione; conferma le statuizioni civili e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, liquidate in complessivi euro 4.900,00, oltre II 15% per spese generali, IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, il 17/3/2016

Lascia un commento