Cassazione Penale, Sez. 7, 01 agosto 2016, n. 33799

Ponteggio inadeguato. La responsabilità dell’amministratore della società non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente.


Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO
Data Udienza: 11/12/2015

FattoDiritto

1.Il sig. D.R. ricorre per l’annullamento della sentenza di cui in epigrafe che l’ha condannato alla pena di 2.600,00 euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 122 e 159, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008, commesso in Novi Ligure il 14/11/2012, per aver posto in opera ponteggi privi di orizzontale di facciata, della tavola fermapiede, della diagonale in pianta e delle spine a verme, ancorati con filo di ferro ritorto piuttosto che con le modalità previste dal costruttore del ponteggio.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione delle norme incriminatrici e/o la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione sul punto.
1.2. Con il secondo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen. e/o la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione sul punto.
1.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 132 e 133, cod. pen. e/o la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
3. Non è fondata (e si nutre di inammissibili deduzioni fattuali) l’eccezione secondo cui la carica di amministratore di diritto non è di per sé sufficiente a fondare la responsabilità penale per i reati commessi nell’esercizio dell’impresa quando la gestione di quest’ultima appartiene nella sua integralità ad altra persona che la esercita di fatto (nel caso in esame il cognato che gli aveva chiesto il favore di intestarsi l’amministrazione della società).
3.1. E’ vero – come ricorda anche il ricorrente – che, secondo un risalente e consolidato insegnamento giurisprudenziale, peraltro oggi codificato dall’art. 299, d.lgs. n. 81 del 2008, la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull’Igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale) (Sez. U, n. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, Rv. 191185), ma è altrettanto vero che l’art. 299, cit., attribuisce tale responsabilità in via concorrente (e non esclusiva) a chi, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro, non escludendo in alcun modo quella di quest’ultimo (il datore di lavoro cioè).
3.2. Non si è mancato coerentemente di precisare che la responsabilità dell’amministratore della società, in ragione della posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente (così, Sez. 4, n. 49732 del 11/11/2014, Canigiani, Rv. 261181).
3.3. L’esegesi della norma, come proposta dal ricorrente, non solo tradisce il suo chiaro tenore letterale, reso evidente dall’uso del termine “altresì”, ma frustra anche la “ratio” sottesa all’onere per il datore di lavoro che intenda validamente trasferire ad altri le proprie responsabilità, di delegare le proprie funzioni nei modi e termini previsti dall’art. 16, d.lgs. n. 81 del 2008.
3.4. L’eccezione di inoffensività della condotta si fonda sulla suggestiva deduzione del mancato utilizzo in concreto del ponteggio perché non più necessario per il tipo di lavori in corso all’atto dell’accesso, ma è eccezione totalmente infondata sia perché <<all’interno del cantiere stavano lavorando degli operai e i lavori non erano finiti> > (e fin quando il ponteggio non è stato rimosso la sua presenza costituiva certamente una costante fonte di pericolo, come correttamente evidenziato dal Giudice), sia perché tale deduzione nulla toglie al pregresso utilizzo del ponteggio stesso.
4. Il secondo motivo è totalmente infondato (oltre che generico) non potendosi ritenere “esiguo” il pericolo di danno all’incolumità di più lavoratori dipendenti esposti per tutto il periodo delle lavorazioni a pericolo di caduta dall’alto.
5. Il terzo motivo è anch’esso totalmente infondato.
5.1. Il Tribunale ha più che esaustivamente indicato i motivi che hanno giustificato l’uso del potere discrezionale nell’applicare la pena pecuniaria (preferita a quella detentiva alternativa) rinvenendoli nei precedenti penali dell’imputato e, a fini mitigatori, nel buon comportamento tenuto subito dopo il fatto e durante il corso del processo.
5.2.Si tratta di una valutazione non sindacabile da questa Suprema Corte che ha più volte spiegato come sia addirittura consentito far ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla “entità del fatto” e alla “personalità dell’imputato (così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani), così come a espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, quando il giudice non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997, Gagliano; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri) oppure quando, in caso di pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorché nel suo massimo edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo; Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, Capelluto).
5.3. Non sono perciò consentiti motivi di ricorso con i quali – dietro l’etichetta del “vizio di motivazione” – si compulsi questa Corte ad una diversa valutazione dei criteri di quantificazione della pena.
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/12/2015

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