Quando il datore di lavoro è inadempiente agli obblighi di sicurezza sul lavoro, è legittimo il rifiuto della prestazione lavorativa e si conserva il diritto alla retribuzione.
Dott. Sestilio Staffieri
Fonte: Studiocastaldi.it
Il datore di lavoro è obbligato, a mente dell’art. 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Per la giurisprudenza della Suprema Corte, la violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo l’inadempimento altrui.
La protezione, anche di rilievo costituzionale, dei beni presidiati dall’art. 2087 c.c. postula meccanismi di tutela delle situazioni soggettive potenzialmente lese in tutte le forme che l’ordinamento conosce.
Dunque, per garantire l’effettività della tutela in ambito civile, si può ricorrere non solo alle azioni volte all’adempimento dell’obbligo di sicurezza o alla cessazione del comportamento lesivo ovvero a riparare il danno subito, ma anche al potere di autotutela contrattuale rappresentato dall’eccezione di inadempimento, rifiutando l’esecuzione della prestazione in ambiente nocivo soggetto al dominio dell’imprenditore.
È stato altresì statuito che in caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., non solo è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, ma costui conserva, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore.