Nei lavori svolti in appalto il dovere di prevenzione degli infortuni è riferibile, oltre che al datore di lavoro, anche al committente, pure se da questi non si può esigere un controllo continuo e capillare sui lavori.
Commento a cura di G. Porreca
Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 52446 del 17 dicembre 2014 (u. p. 25 novembre 2014)
Pres. Zecca – Est. Zoso – P.M. Gallo – Ric. M. N. e F. G.
La Corte di Cassazione ha affermato in questa sentenza che nel caso dell’appalto di lavori è ravvisabile la colpa in capo al committente per non avere controllato che la ditta appaltatrice fosse dotata dei mezzi necessari e agisse nel rispetto della normativa antinfortunistica. Nel caso in esame la suprema Corte ha messo in evidenza in particolare che il committente non aveva verificato in alcun modo l’effettivo rispetto degli obblighi di legge benché si recasse regolarmente in cantiere per controllare l’andamento dei lavori e benché fosse evidente e ravvisabile da chiunque il rischio generico di caduta dall’alto connesso al fatto che il vano ascensore installato in cantiere non fosse protetto in modo adeguato e rispondente alle disposizioni di legge in materia.
Il fatto e l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
La Corte di Appello, nel dichiarare estinti per maturata prescrizione i reati contravvenzionali in materia di infortuni sul lavoro ascritti al titolare di una impresa appaltatrice esecutrice di alcuni lavori di carpenteria in un cantiere edile, ha confermata la sentenza emessa dal Tribunale nella parte in cui aveva dichiarato il titolare stesso e il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’impresa edile committente responsabili del reato di cui agli artt. 40 e 41 c.p., art. 590 c.p., commi 2 e 3, art. 583 c.p., prima parte, n. 1, perché, ciascuno con condotte indipendenti, per imprudenza, negligenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, omettendo di assicurare che le aperture lasciate sui solai e lucernari fossero dotate di normale parapetto ovvero coperte con tavolato solidamente fissato, cagionavano ad un lavoratore dipendente dell’impresa appaltatrice delle lesioni personali gravi, consistite in una frattura biossea della gamba destra e delle contusioni escoriate della mano sinistra, essendo questi precipitato da un’altezza di circa 3 m in seguito al cedimento di due tavole di legno poste a copertura di un vano ascensore.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori. In particolare il titolare dell’impresa individuale ha addotto fra le motivazioni del ricorso il fatto che la Corte di Appello non aveva dichiarato prescritto il reato ascritto mentre il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’impresa committente ha sostenuto che la responsabilità del sinistro era da ascrivere al solo appaltatore poiché, benché avesse fornito le impalcature, non era presente in cantiere al momento dell’infortunio e quindi non si era potuto rendere conto delle omissioni nelle quali era incorso l’appaltatore. Secondo lo stesso, inoltre, l’appaltatore aveva gestito il cantiere in piena autonomia senza alcuna interferenza da parte sua per cui l’obbligo di predisporre le misure di protezione del vano ascensore incombeva, in particolare, sulla sola impresa appaltatrice la quale aveva presentato l’offerta dichiarando di possedere, nell’ambito dei lavori di carpenteria e, più nel dettaglio, di disarmo, tutte le competenze tecniche e di formazione delle maestranze. Secondo il committente, quindi, non vi era alcun obbligo di controllo da parte sua né si doveva sottacere il fatto che egli aveva nominato un coordinatore per verificare le modalità di lavoro eseguite dall’appaltatore.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi per manifesta infondatezza. Con riferimento in particolare al ricorso presentato dal committente la suprema Corte ha messo in evidenza, in premessa, che al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni, infatti, ha sostenuto la Sez. IV, trasformerebbero la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico da loro seguito per giungere alla decisione.
La Corte suprema, quindi, ha condiviso le decisioni assunte dalla Corte di merito non avendo il committente “controllato che la ditta appaltatrice fosse fornita di dotazioni di sicurezza e agisse nel rispetto della normativa antinfortunistica, non avendo, in particolare, verificato in alcun modo né le capacità organizzative della ditta scelta né l’effettivo rispetto degli obblighi di legge, dato che egli si recava regolarmente presso il cantiere per verificare l’andamento dei lavori ed essendo evidente e riconoscibile da chiunque il rischio generico da caduta connesso al fatto che il vano ascensore non fosse protetto in modo adeguato”. “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ha così proseguito la Sez. IV, “il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente ancorché detto principio non possa applicarsi automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori”.
Nel caso particolare in esame, ha così concluso la Corte di Cassazione, la Corte territoriale aveva verificato in concreto quale era stata l’incidenza della condotta del committente nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, essendosi reso conto del fatto che la ditta appaltatrice non disponeva di adeguata organizzazione, tanto che i ponteggi erano stati predisposti dal committente stesso ed aveva, altresì, presa in considerazione la regolarità con cui il committente si recava in cantiere per controllare l’andamento dei lavori nonché la immediata e facile percepibilità della situazione di pericolo connessa al fatto che il vano ascensore non appariva adeguatamente protetto.
Fonte: Porreca