Pubblichiamo una intervista apparsa su Punto Sicuro all’Avv. Rolando Dubini.
Nelle aule di tribunale si valuta la presenza, la qualità e l’efficacia della formazione alla sicurezza erogata? Cosa rischiano le aziende che si affidano a percorsi formativi inidonei o non conformi alla legge? Ne parliamo con l’avvocato Rolando Dubini.
Sul tema formazione la Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP), come ha sottolineato in un documento presentato a Dicembre (pubblicato il 25 Gennaio su ReS ndr.), rileva
ampie zone di elusione e/o evasione degli obblighi normativi relativi alla formazione con il frequente ricorso a soluzioni di mera apparenza, il rilascio di attestati formativi di comodo e/o al seguito di procedure meramente burocratiche e prive di contenuti reali, con docenze affidate a formatori non qualificati e la vendita di corsi in ‘formazione a distanza’ privi dei requisiti di legge, spesso anche di contenuti pertinenti.
Per poter rispondere a queste semplici, ma importanti, domande, abbiamo intervistato uno degli avvocati che in questi anni si sono più occupati di diritto penale del lavoro e dei temi relativi alla responsabilità amministrativa (D.Lgs. 231/2001), Rolando Dubini.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
Nei processi conseguenti ad eventi infortunistici nei luoghi di lavoro si affronta in aula il tema della formazione? Ad esempio ci si chiede sempre se un comportamento insicuro da parte di un lavoratore non dipenda in realtà da una carenza della formazione?
Rolando Dubini: Si, è una domanda fondamentale che viene posta in sede di indagine preliminare dagli ufficiali di polizia giudiziaria della ASL competente; e che nel dibattimento penale è oggetto di ampia trattazione da parte dell’accusa quando carente, da parte della difesa quando adeguata e sufficiente ai sensi dell’art. 37 comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008.
Quel che pesa davvero è la formazione specifica correlata alla mansione e soprattutto alla lavorazione oggetto dell’infortunio.
In particolare gli elementi rilevanti sono la qualificazione professionale e l’esperienza lavorativa dell’infortunato, la chiarezza e leggibilità delle procedure (a questo proposito consiglio di munirle di fotografie che indicano le modalità corrette e le modalità scorrette vietate), il fatto che siano oggetto di formazione specifica (con verifica dell’apprendimento) e che venga fatta vigilanza sul loro rispetto, e vengano adottate misure disciplinari nei confronti di chi contravviene alle norme aziendali di sicurezza.
Va inoltre documentata la presenza dell’interessato ai corsi di formazione. Attenzione: se manca la firma sul registro la formazione non esiste, ed è meglio adottare modalità di identificazione del partecipante. Ad esempio attraverso l’acquisizione di copia del documento d’identità.
Possiamo dunque dire che nelle aule di tribunale si valuta non solo la presenza/assenza di un percorso formativo, ma anche la qualità o l’efficacia della formazione erogata?
R.D.: La qualità ed efficacia della formazione sono decisive, la difesa cerca di dimostrare che la formazione era idonea ad evitare l’infortunio, ma per far ciò è necessario che l’azienda abbia effettivamente provveduto in tal senso.
L’ideale è quando lo stesso infortunato e/o i suoi colleghi testimoni dichiarino di aver ricevuto la formazione e di conoscere le modalità corrette di lavorazione, che indicano nella loro deposizione.
Quali sono a suo parere le sentenze più esemplari in materia di formazione?
R.D.: Fondamentale resta quella che afferma che la verifica dell’apprendimento è obbligatoria anche per i lavoratori, e non solo per dirigenti e preposti: la sentenza della Cassazione Penale Sez. 3, 28 gennaio 2008, n. 4063.
La fattispecie riguardava un datore di lavoro rinviato a giudizio e condannato dal giudice del Tribunale di Brescia per i reati di cui all’articolo 4, comma 2, del D. Lgs. n. 626/1994 [ora articolo 28 D.Lgs. n. 81/2008] per avere omesso, quale titolare di un laboratorio di confezioni, di effettuare una idonea valutazione dei rischi reali e specifici presenti nell’ambiente di lavoro e legati alle particolari situazioni lavorative, per aver omesso di adottare una collaborazione fattiva con il medico competente ed il responsabile dei lavoratori per la sicurezza per la redazione del documento di valutazione dei rischi, per la mancanza di misure di prevenzione da adottare e di un programma per realizzare le stesse, e, testualmente, per aver violato l’obbligo di cui “all’articolo 22, comma 1, dello stesso D. Lgs. n. 626/1994 [ora articolo 37 D.Lgs. n. 81/2008] per non avere progettato ed attuato una adeguata attività formativa per tutti i lavoratori, contenente gli obiettivi specifici, la definizione di moduli didattici e gli strumenti per la verifica di apprendimento”.
Richiamando la propria giurisprudenza, la Suprema Corte ha costantemente affermato che “in tema di prevenzione di infortuni, il datore di lavoro deve controllare che siano osservate le disposizioni di legge e quelle (procedure e istruzioni operative, oggetto di formazione adeguata e sufficiente), eventualmente in aggiunta, impartite [al lavoratore]; ne consegue che, nell’esercizio dell’attività lavorativa, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche”.
“È infatti il datore di lavoro che, quale responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro non corrette”.
Secondo la Cassazione, “tali conclusioni si evincono non solo dallo stesso, richiamato dal ricorrente, art. 4 d. l.vo 19.9.1994 n. 626 [ora art. 18 D.Lgs. n. 81/2008], che non pone a carico del datore di lavoro il solo obbligo di allestire le misure di sicurezza, ma anche una serie di controlli diretti o per interposta persona, atti a garantirne l’applicazione, ma soprattutto dalla norma generale di cui all’art. 2087 Codice Civile, la quale dispone che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” [Corte di Cassazione – Quarta Sezione Penale, Sentenza 23 ottobre 2008, n. 39888]. Si tratta dell’obbligo della massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale concretamente attuabile.
In base alla mia esperienza, le aziende che hanno adottato sistemi certificati di gestione della sicurezza sul lavoro (ad es. BS 18001/2007) sono spesso quelle meglio attrezzate ad erogare, anche attraverso enti esterni, e ove consentito con modalità on-line efficaci, formazione adeguata e sufficiente e a controllare affinché detta educazione alla sicurezza non resti inapplicata.
E più in generale qual è oggi l’orientamento giurisprudenziale riguardo al valore causale della formazione in un evento incidentale?
R.D.: Ad esempio la sentenza del 2008 che ho in precedenza richiamato chiarisce che l’errata e o insufficiente e incompleta valutazione dei rischi produce una errata percezione del rischio, e in caso di formazione trasferisce informazioni errate e non educa adeguatamente alla sicurezza l’operatore.
E in ogni caso si ribadisce che occorre la verifica dell’apprendimento, la cui miglior dimostrazione è data in dibattimento quando i testimoni, e/o l’interessato, come abbiamo già detto, dichiarano di conoscere le modalità corrette di lavoro, oppure hanno sottoscritto per accettazione l’istruzione operativa pertinente.
Veniamo ad alcuni aspetti pratici. Quali sono gli elementi che la polizia giudiziaria valuta per comprendere la qualità della formazione erogata in azienda? Sono valutati solo gli aspetti documentali?
R.D.: In realtà viene valutato tutto. Ad esempio si valuta:
- la qualificazione professionale dell’infortunato;
- l’esperienza lavorativa;
- l’avvenuta formazione dell’infortunato, e dei colleghi che svolgono la stessa mansione;
- la qualità della formazione, il contenuto;
- i registri di presenza;
- la verifica dell’apprendimento e in particolare i controlli post formazione sull’applicazione delle regole prevenzionistiche trasmesse.
Chiaramente la documentazione deve essere a posto, e di qualità, per consentire prima la prevenzione e poi la difesa.
Concludiamo questa breve intervista indicando quali sono oggi, a suo parere, le principali deviazioni dell’offerta formativa in Italia…
R.D.: Esistono significative zone oscure, venditori di certificati, venditori di formazione di bassa qualità, proposte di formazione on-line anche in casi non consentiti dalla legge, fino a vere e proprie truffe formative.
Il datore di lavoro dovrebbe richiedere una dichiarazione scritta dall’ente formatore dove questo dichiari la conformità alle norme vigenti della formazione erogata, e l’assunzione di responsabilità in caso di difformità.
Ed è bene controllare anche le referenze…
E quali potrebbero essere delle soluzioni per evitare queste deviazioni?
R.D.: Ad esempio una maggior chiarezza degli Accordi Stato regione in materia, con definizione dei modelli di modulistica consentita dalla legge, e l’eliminazione di ogni forma di ambiguità ed incertezza in materia. Una cosa fattibile… Il non volerla realizzare, come accaduto fino ad oggi, dimostra il disinteresse di chi governa per questa delicata materia che attiene l’integrità psicofisica di tutti coloro che frequentano i luoghi di lavoro.
Includerei, ora come ora, anche l’obbligo di inviare alla Asl competente copia dell’offerta formativa elaborata dagli enti, per conoscenza. Cosa che forse scoraggerebbe le situazioni più truffaldine.