L’Istat, come molti avranno letto, ha pubblicato ad Aprile una statistica che mette in relazione la speranza di vita e il livello d’istruzione.
Lo studio conclude che
Tra gli uomini, rispetto alle donne, è più netto lo svantaggio per diseguaglianze nel titolo di studio. Le distanze più marcate nella speranza di vita alla nascita rispetto a chi ha conseguito una laurea o titoli superiori si osservano tra gli uomini con un titolo di studio basso (nessun titolo o licenza elementare) con una differenza di 5,2 anni. Per le donne la differenza nella speranza di vita per titolo di studio, sempre alla nascita, è invece di 2,7 anni. L’effetto del titolo di studio si mantiene rilevante anche in età anziana (65 anni) con un vantaggio per uomini e donne con titolo di studio elevato rispettivamente di 2,2 e 1,3 anni di vita.
Che tra titolo di studio e speranza di vita ci sia una relazione è un fatto già noto da tempo, pur essendo per certi versi difficile da credere. Pensare alla cultura come a un fattore determinante la salute o il benessere fisico e psicologico al pari delle abitudini alimentari e del fumo, del patrimonio genetico, dell’esposizione alla tossicità o allo stress, del livello di reddito o della qualità delle relazioni, risulta anche per i medici un fatto sorprendente.
Ci sono molti studi che attestano la relazione. Uno studio condotto da Konlaan e al. nel 2010, e durato 14 anni, ha esaminato l’influenza della partecipazione a vari tipi di eventi culturali e della frequentazione di enti o istituzioni culturali sui fattori determinanti la sopravvivenza. Lo studio ha riscontrato un rischio di mortalità più alto in quelle persone che raramente andavano al cinema, ai concerti, ai musei, o alle esibizioni artistiche, rispetto a chi frequentava più spesso questi contesti.
Inoltre, Hyppa e al. hanno pubblicato nel 2006 uno studio riguardante la partecipazione culturale come fattore predittivo di sopravvivenza su un campione di 8.000 finlandesi, osservando un livello di rischio più basso di mortalità fra i partecipanti più assidui. Su un filone analogo, Bygren e al. nel 2009 hanno esaminato la relazione tra la frequentazione di eventi culturali e la mortalità correlata al cancro. I risultati del loro studio su più di 9000 partecipanti sono stati che coloro che partecipavano raramente o moderatamente agli eventi culturali avevano rispettivamente una probabilità maggiore di 3.23 e 2.92 volte di morire di cancro durante il periodo di follow-up rispetto ai frequentatori più assidui.
Naturalmente il discorso andrebbe approfondito, per esempio definendo meglio cosa si intenda per cultura: il livello di studio iniziale, la formazione permanente anche legata alle abilità professionali, lo studio delle lingue, i meri interessi alla vita culturale e sociale? Ognuno di questi elementi ha una influenza sulle aspettative e sulla qualità della vita.
Alcune ricerche sono state condotte anche in Italia, e i risultati preliminari ottenuti confermano in pieno il costrutto di riferimento: livelli elevati di consumo culturale nelle sue diverse espressioni si associano a elevati valori di benessere psicologico percepito.
Altro dato interessante: la speranza di vita tra laureati e analfabeti comincia a cambiare a 30 anni per gli uomini, a 40 per le donne. E il gap è più ampio negli uomini. Questo perché le donne, quelle delle generazioni più vecchie almeno, frequentemente assumevano gli stili di vita dei mariti, spesso con titolo di studio più alto.
Infine il dato della speranza di vita viene influenzato all’età della pensione dal modo in cui la si affronta. Vive più a lungo che non si rinchiude a casa, ma mantiene più a lungo attività, interessi, affetti.
Tutto questo ci dice che le attività culturali, godute soprattutto nel periodo di vita lavorativo e in quello pensionistico, permettono vita quantitativamente e qualitativamente più soddisfacente.