Pubblichiamo una sintesi redazionale dell’intervento dell’Avvocato Lorenzo Fantini tenuto nel corso del convegno AiFOS-Confcommercio del 5 febbraio 2014 a Roma.
Semplificazioni in materia di sicurezza: tema da sempre discusso, su cui secondo me c’è troppa conflittualità. In realtà, chi fa sicurezza sul campo sa benissimo – penso che tutti possano condividere questa mia opinione – che la sicurezza vada messa in atto in maniera sostanziale e non solo da un punto di vista formale, da un punto di vista documentale. Anzi, c’è la sensazione in molti operatori che il documento sia qualcosa che non dico tradisce la sicurezza, ma non sempre garantisce i livelli di sicurezza.
Vorrei partire nel mio intervento citando un documento italiano che è poco conosciuto ma che io vi invito a leggere. È un documento ufficiale approvato dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, che è la Strategia nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro.
È un documento che è stato fortemente voluto dal Ministero del Lavoro per una ragione che io vi sintetizzo con la mia solita brutalità: ci sono due Paesi dell’Unione Europea che non hanno una strategia nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro e sono l’Italia e la Lituania.
Cosa trovare nel documento?
Trovate ciò che è stato fatto ma anche ciò che non è stato fatto, perché il Testo Unico, come sapete, ha tanti provvedimenti di attuazione. Sapete cosa trovate ad un certo punto del documento? Un richiamo preciso, specifico e analitico alla semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con una specificazione naturalmente doverosa, che io penso sia sufficiente a superare quella conflittualità che non ci porta da nessuna parte: le semplificazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro si fanno nel rispetto delle direttive comunitarie e dei livelli di tutela che sono presenti negli ambienti di lavoro. Leggasi: non possiamo toccare una riga, né vogliamo toccare una riga, come Paese, di quelli che sono i livelli di tutela garantiti dalle direttive comunitarie.
Ciò che si può e secondo me si deve semplificare, e il documento su questo è chiaro, sono quelle forme di documentazioni, notifiche, comunicazioni, che rendono più difficile la vita dell’operatore, più difficile la vita dell’impresa, più difficile la vita dello stesso operatore della sicurezza. Certe volte anche perché, diciamolo, c’è una richiesta degli organi di vigilanza non sempre attenta agli aspetti sostanziali e non formali. Il passaggio che c’è nella strategia è importante, perché si dice che bisogna coniugare la sicurezza sul lavoro con la competitività delle imprese, bisogna permettere che le imprese sopravvivano e al contempo garantiscano soddisfacenti condizioni di salute e sicurezza sul lavoro.
C’è un atto europeo – anche questo poco richiamato – ma qui, in questa sede, non possiamo non richiamarlo, è lo Small Business Act. È un atto, una comunicazione della Commissione europea del 2008, che poi è stata seguita dal 2011 da un’analoga raccomandazione agli Stati dell’Unione Europea. È una raccomandazione a semplificare la normazione, non solo di sicurezza, ma in generale relativa ai rapporti di lavoro, avendo riguardo soprattutto per le piccole e medie imprese. Non si tratta di una direttiva, ma di una raccomandazione agli Stati. L’Italia, anche se solo in parte, nel 2011 questa raccomandazione l’ha recepita con lo Statuto delle imprese, legge anch’essa poco conosciuta.
Veniamo al Decreto del Fare. Il Decreto del Fare nasce proprio con questa logica. Poi viene peggiorato in Parlamento, perché il testo che è entrato in Parlamento era un testo molto più snello e comprensibile di quello che poi è stato votato, e diventa Decreto del Fare e Decreto del Faremo. In realtà questo tipo di situazione è contraria al diritto, perché un Decreto legge deve essere tutto operativo, non può essere programmatico, non può rinviare a dei provvedimenti di attuazione. Il Decreto legge dovrebbe essere necessario ed urgente, se ci sono dei provvedimenti di attuazione non può essere necessario ed urgente. Però qualcosa di buono nel Decreto del Fare c’è. E c’è soprattutto qualcosa di buono nel Decreto del Faremo. Per esempio la necessità che è stata, diciamo così, riconosciuta nel Decreto del Fare con molta fatica di individuare un settore a basso rischio infortuni e malattie professionali.
Diciamo che quella parte del Decreto del Fare che prevede l’individuazione di un settore a basso rischio infortuni e malattie professionali è importante. È importante perché poi ad esso sono legate due semplificazioni. La prima è una semplificazione forse di maggiore impatto rispetto alla seconda, che invece è più discutibile, che è quella della possibilità di redigere il documento di valutazione del rischio secondo dei modelli semplificati. Qui l’individuazione del settore a basso rischio infortuni e malattie professionali non serve a diminuire la tutela dei lavoratori, non serve a diminuire o a prevedere un minore risarcimento per i lavoratori di quel settore, non è questo il punto. Il documento, dunque, può essere scritto più agevolmente rispetto a quello che oggi normalmente si fa. Ci tengo molto alla distinzione tra il documento e la valutazione, che è la distinzione tra la sostanza e la forma. Ricordiamoci sempre che ciò che salva la vita delle persone è una corretta valutazione dei rischi, che poi viene ad essere trasporta in un documento. Se questo documento ha 200 pagine o 20 pagine, a mio avviso non è questo l’elemento che fa la sicurezza. L’elemento che fa la sicurezza è la corretta descrizione dell’attività di impresa, la corretta individuazione delle misure, dei pericoli e dei rischi, l’individuazione di misure di prevenzione e protezione atte ad eliminare o ridurre i rischi. Lo dice la norma di legge. Dopodiché il documento può anche essere di due pagine. Anzi, mi capita spesso di vedere documenti snelli, fatti da persone competenti, utili alla prevenzione, a fronte di documenti di molte pagine, magari più costosi, fatti col copia incolla.
Tuttavia ho delle perplessità sul criterio che è stato utilizzato per individuare i settori a basso rischio infortuni e malattie professionali. Non posso andare nel dettaglio, ma ci sono dei fattori di correzione previsti nel Decreto, che portano un campo di applicazione della normativa a mio avviso ingiustificatamente ristretto. Avete capito quale è la mia posizione? Per me la semplificazione dei documenti si può fare sempre. Ma lasciamo da parte questa posizione che non è la posizione maggioritaria in Italia. Abbiamo deciso che si fa solo nei settori a basso rischio. Cerchiamo, quantomeno, di non essere troppo ingiustificatamente restrittivi rispetto all’individuazione dei settori a basso rischio.
Io qua voglio essere chiaro. Il Decreto è stato scritto e rimarrà scritto così, dicendo: “Fermi restando gli obblighi di valutazione del rischio di cui agli articoli 17, 28 e 29 del Testo Unico, se vuoi utilizzare nei settori che ti ho indicato – che sono quelli a basso rischio infortuni e malattie professionali – il modello allegato, lo puoi utilizzare”.