Documenti dal convegno sullo stress lavoro correlato di Urbino

Alla fine del 2014 si è svolto un convegno sullo Stress lavoro correlato, organizzato da due Dipartimenti e da due Centri di ricerca dell’Ateneo di Urbino: uno è l’Osservatorio Olympus, un Osservatorio giuridico sul diritto della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, l’altro è il Centro di ricerca e di formazione di psicologia giuridica. Pubblichiamo in allegato l’introduzione del Prof. Paolo Pascucci. Nei prossimi giorni pubblicheremo gli altri interessanti interventi.

Introduzione
di Paolo Pascucci

Il convegno di oggi è organizzato da due Dipartimenti e da due Centri di ricercadel nostro Ateneo: uno è l’Osservatorio Olmpus, un Osservatorio giuridico sul diritto della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che insiste sul Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino; l’altro è il Centro di ricerca e di formazione di psicologia giuridica, che svolge la sua attività nell’ambito del Dipartimento di Scienze dell’uomo. Un Convegno interdisciplinare, dunque, a nostro avviso necessario ad analizzare compiutamente uno dei problemi più delicati della recente legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, cioè la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, che vogliamo affrontare da due prospettive, ovviamente differenti ma anche complementari, come quella giuridica e quella psicologica, ma non solo. L’iniziativa congiunta dei due Dipartimenti con le loro diverse competenze, i due relatori (una giurista del lavoro ed uno psicologo), il panel degli interventori, coordinato da Daniela Pajardi, composto da psicologi, giuristi, sindacalisti, esperti di organizzazione, statistici, medici, biologi: tutto ciò dovrebbe rappresentare la migliore garanzia per comprendere un fenomeno sfuggente, che va innanzitutto affrontato, e i relatori lo sanno bene, anche da un punto di vista epistemologico, chiarendo bene di cosa parliamo quando parliamo di stress lavoro-correlato. Su questo tema in realtà forse ci sono ancora molti fraintendimenti, malintesi e imprecisioni, per cui è necessario riuscire ad inquadrare il fenomeno per quello che è nella sua complessità. Per quanto mi compete in questa sede, vorrei limitarmi a segnalare un aspetto che mi sembra centrale, e cioè la particolare attenzione che la nostra più recente disciplina legislativa della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, vale a dire il d.lgs. n. 81/2008, più volte e non sempre in modo opportuno modificato nel corso degli anni, pone sul concetto di “organizzazione”. L’organizzazione è la vera “nozione chiave” attorno a cui ruota tutta la nuova filosofia della prevenzione che il d.lgs. n. 81/2008, seppur in una linea di ideale continuità, sviluppa rispetto alla disciplina precedente del d.lgs. n. 626/1994.

A ben vedere, quando affrontiamo il fenomeno dello stress lavoro-correlato, necessariamente facciamo i conti con il tema dell’organizzazione. Ricordo la querelle che ci fu alcuni anni fa sulla famosa circolare INAIL in tema di costrittività organizzativa, sul contenzioso giudiziario-amministrativo che ne seguì, con esiti  peraltro abbastanza discutibili. Al di là del fondamento giuridico di quelle “presunte fonti” e delle sentenze che ne seguirono, quello che sicuramente ne emerse è che l’analisi dello stress lavoro-correlato non può essere affrontata disgiuntamente dal profilo relativo all’organizzazione, su cui in particolare incide la nuova definizione di lavoratore dell’art. 2 del d.lgs. n.81/2008, secondo la quale, a prescindere dalla tipologia del contratto di lavoro, è “lavoratore” colui che presta la propria attività nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro in quanto fonte essa stessa di rischi, dove per organizzazione di un datore di lavoro deve intendersi innanzitutto l’organizzazione del lavoro. Se l’organizzazione del lavoro aziendale è sostanzialmente il luogo ideale dove andare a “snidare” i rischi, è tuttavia evidente che quella stessa organizzazione diviene anche lo strumento per prevenirli e per fronteggiarli. Personalmente ritengo che questo sia un punto su cui soprattutto i giuristi del lavoro dovrebbero concentrare la loro attenzione, anche nel rispetto di quanto dispone l’art. 41, comma 2, Cost. là dove subordina l’iniziativa economica privata ai principi della sicurezza, della libertà e della dignità, probabilmente introducendo un limite all’agire imprenditoriale molto penetrante e che incide significativamente sul modo di fare impresa. Non è possibile continuare ad accettare un concetto di prevenzione che si limiti a proteggere i lavoratori dai rischi rispetto ad una organizzazione data; l’organizzazione deve mettere al centro l’uomo, la persona, non essendo  altrimenti possibile mettere in campo un’adeguata prevenzione primaria. Ed è solo la prevenzione primaria, quella che può garantire l’effettivo rispetto dei precetti comunitari relativi alla nozione di prevenzione. Confesso di affrontare questa interessante giornata di studio con animo inquieto. Non posso infatti non pensare ai contenuti di alcuni recenti decreti-legge della scorsa estate, i quali introducono alcune “semplificazioni” sulla valutazione dei rischi a fronte di attività a basso rischio. A prescindere da quale sia il concetto di rischio cui essi fanno effettivo riferimento, ciò che ad esempio si disciplina nel c.d. “decreto del fare” sono modelli semplificati per la valutazione dei rischi, che appaiono come una sorta di succedaneo dell’autocertificazione o giù di lì, da utilizzare nelle attività a basso rischio: senonché così si trascura di considerare che, a prescindere dall’esistenza di rischi fisici o di altro tipo insiti nell’attività produttiva e dal livello più o meno basso di questi ultimi, esistono pur sempre rischi sostanzialmente organizzativi, in particolare da stress lavoro-correlato, che “rischiano” di non essere adeguatamente valutati con i suddetti metodi semplificati. Si tratta di un pericoloso passo indietro rispetto alle conquiste realizzate con l’emanazione del d.lgs. n. 81/2008, che fa il paio con quello che emerge là dove la recente decretazione estiva consente, sempre ove le attività lavorative siano considerate a basso rischio, di “sostituire” la redazione del documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (Duvri) con la presenza di un non meglio definito “incaricato”. Sono convinto che anche in questo caso non si sia riflettuto a sufficienza sulla reale dimensione dei rischi di natura psico-sociale che si annidino tra i c.d. rischi interferenziali, a causa della necessaria contiguità tra le rispettive attività produttive e gli assetti organizzativi di appaltanti e appaltatori. Resta, per nostra fortuna, l’àncora rappresentata dal vecchio ed inossidabile art.2087 c.c., norma di tutela sempre “aperta”, che induce a tenere alta la guardia contro ogni azione di sostanziale “retroguardia”, che non dobbiamo in alcun avallare.

Fonte: Working Papers di Olympus 31/2014

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