DPI e sicurezza: gli indumenti protettivi per ridurre gli sbalzi termici

Fonte: Punto Sicuro


Se il nostro organismo è un sistema basato sulla termoregolazione, in grado cioè di assorbire o cedere calore all’ambiente, a volte

le condizioni ambientali non permettono questo scambio.

E quando il corpo ha

tempo sufficiente per attuare il processo di adattamento alla variazione termica è ben tollerata la variazione di temperatura. Quando invece la temperatura varia improvvisamente il corpo potrebbe non essere in grado di ripristinare l’equilibrio in tempi rapidi, per cui la temperatura corporea non potrà essere mantenuta costante”. E questo può provocare diversi danni. Ad esempio con il caldo si nota “un aumento di sudorazione, tachicardia, un calo di attenzione e prontezza dei riflessi, con aumentata difficoltà a svolgere attività fisiche pesanti; si può osservare surriscaldamento cutaneo ma anche scottature, spossatezza, nausea, cefalea, vomito, edema, perdita di coscienza fino al collasso”. Mentre il freddo può causare “brividi, bradicardia, effetti cutanei analoghi a scottature, trombosi, iperglicemia, intorpidimento delle estremità fino a ipotermia che può arrecare assideramento fino alla morte.

A ricordare l’importanza non solo della valutazione della temperatura nei luoghi di lavoro, ma dell’adozione, laddove necessario, di idonei dispositivi per la protezione del corpo, è il progetto multimediale Impresa Sicura; un progetto elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.

Nel documento ImpresaSicura_DPI, correlato al progetto, si ricorda che la valutazione delle condizioni microclimatiche

temperatura, umidità, velocità dell’aria e irraggiamento da superfici calde

permette,

insieme con altri parametri quali la temperatura radiante, il vestiario, l’attività fisica del lavoratore, le macchine e gli strumenti utilizzati, nonché la valutazione della variabilità di quanto sopra in funzione della stagione, di definire le situazioni a rischio.

E si può parlare di “stress termico” quando vi è una

brusca variazione termica che fa entrare in gioco i meccanismi di termoregolazione.

Mentre in assenza di sensazioni di freddo o di caldo o di correnti d’aria si parla di “benessere termico” o “ comfort termico”.

Il documento, che riporta anche una tabella relativa allo stress termico e alla sensazione soggettiva in relazione alla temperatura, sottolinea che negli ambienti di lavoro il microclima

deve essere il più possibile prossimo al ‘ benessere termico’: lo ‘stress termico’ e quindi gli sbalzi termici devono essere il più possibile ridotti.

E in questo senso gli indumenti hanno diverse funzioni:

  • “proteggere dagli eccessi della temperatura ambientale con il mantenimento della temperatura corporea, sia nei ‘confronti del caldo che del freddo’;
  • isolare termicamente mantenendo la permeabilità all’acqua, al fine di garantire l’evaporazione del sudore impedendo il libero accesso dell’acqua dall’esterno;
  • mantenere la permeabilità all’aria, al fine di facilitare la rimozione dell’umidità senza causare dispersione di calore con conseguente rapido abbassamento della temperatura corporea, che si traducono in comfort termoigrometrico, e quindi nella determinazione della resistenza termica, detta anche isolamento termico, e resistenza evaporativa dell’abbigliamento”.

Una tabella riporta le varie norme UNI relative all’ergonomia degli ambienti termici e all’abbigliamento.

Inoltre si ricorda che sono stati definiti convenzionalmente “tre tipologie di ambienti termici, determinati tramite specifiche metodologie di valutazione basati sull’uso di indici indicativi del benessere o del disagio rispetto valori di riferimento:

  • Moderati, in cui le condizioni ambientali si mantengono quasi costanti nel tempo, l’attività fisica degli operatori è scarsa;
  • Severi caldi, caratterizzati dalla presenza d’intense fonti di calore con combinazione di alte temperature dell’aria, alte temperature radianti e alte umidità, in cui le condizioni ambientali non si mantengono costanti” e pertanto comportano “stress termico”;
  • Severi freddi, “in cui la temperatura è inferiore a 10°C, si mantiene costante nel tempo; gli operatori, che svolgono attività simili, indossano vestiario analogo”.

Rimandando ad altro articolo il tema degli indumenti protettivi in relazione al calore, ci soffermiamo brevemente oggi sulla protezione in ambienti severi freddi.

Ambienti di lavoro severi freddi (nel documento sono riportate ulteriori dettagli su questa tipologia di ambienti) sono ad esempio le celle frigorifere utilizzate nell’industria della carne, i depositi frigoriferi nell’industria e nella catena di trasporto da parte dell’industria fino ai negozi (ambienti severi freddi indoor). Ci sono poi gli ambienti all’aperto in cui si effettuano, ad esempio,

i lavori edili o stradali, di manutenzione delle linee elettriche, linee del gas, sistemi di telecomunicazione, l’agricoltura e i lavori forestali, l’industria della pesca.

Il documento segnala che in questi ambienti

dopo la valutazione e gestione di adeguato schema di lavoro (es: tempo massimo di permanenza continuativa nell’ambiente) e l’adozione di una serie di misure che permettono di contenere al minimo i disagi legati a questo particolare ambiente di lavoro,

il principale metodo di controllo del microclima è l’abbigliamento, costituito da

tute composte da due pezzi o tute intere.

E l’abbigliamento protettivo deve essere distinto in due classi:

  • DPI per la protezione dal freddo (Norma UNI 342);
  • DPI per la protezione da intemperie (Norma UNI 343).

Riguardo ai DPI per la protezione dal freddo, si indica che per proteggersi contro temperature inferiori ai –5 °C,

tipiche delle celle frigorifere ma anche dei lavori all’aperto effettuati nel periodo invernale, si utilizza l’abbigliamento di protezione in tessuto imbottito o a più strati di materiale sintetico o naturale.

Chiaramente la capacità di proteggere dal freddo dipende dal valore dell’isolamento termico, dal valore di permeabilità all’aria – il livello d’impermeabilità dell’indumento – e alla resistenza alla penetrazione dell’acqua (“quest’ultima è opzionale”).

Il documento riporta diverse tabelle (ad esempio sulla potenza di raffreddamento del vento in condizioni di calma) e indicazioni sulle prove tecniche cui questi indumenti vengono sottoposti, sulle taglie, sulla marcatura e sulle istruzioni per gli operatori che li indossano.

Concludiamo questo articolo parlando dei DPI per la protezione da intemperie.

Il documento segnala che in presenza di nebbia, pioggia, vento e umidità del suolo, è necessario “utilizzare indumenti definiti impermeabili”:

  • “quando la temperatura è superiore a –5 °C, l’abbigliamento di protezione è in materiale sintetico o in tessuto plastificato, spalmato o laminato, e presenta apertura sotto le ascelle e sulla schiena per favorire l’aerazione”;
  • “quando la fodera è termica, l’abbigliamento può servire anche contro il freddo fino a temperature di –5 °C”.

Si ricorda, infine, che i materiali che costituiscono questi DPI devono garantire due proprietà: l’impermeabilità e la resistenza al vapore acqueo. E il progetto multimediale si sofferma ampiamente, con diverse tabelle e grafici che vi invitiamo a visionare, sulla classificazione della resistenza alla penetrazione dell’acqua e al vapore acqueo.

Qui l’intero testo del Progetto Impresa Sicura DPI:

http://www.impresasicura.org/dpi/completa/media/pdf/DispositiviProtezioneIndividuale11.pdf

Lascia un commento