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Il DVR deve essere completo

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29731 dello scorso 14 giugno esaminando un infortunio accorso a un lavoratore mentre era intento alle operazioni di sostituzione del tappeto della macchina rotativa. La Corte ha ricordato che il documento di valutazione rischi (DVR), la cui redazione è compito specifico del datore di lavoro e in quanto tale non suscettibile di formare oggetto di delega, non può essere stilato in maniera incompleta. In particolare la Ditta aveva omesso di valutare e di conseguenza di adottare le misure relative ad alcuni rischi che sono stati alla base dell’infortunio del lavoratore, ma non solo. Il mancato rispetto della normativa antinfortunistica, dalla quale ne è conseguito un vantaggio per la società derivante dal risparmio di tempo, fonda la responsabilità amministrativa da reato di cui all’art. 5 del D.Lgs. 231/2001.

Una volta dimostrato che l’incompletezza della valutazione dei rischi e quindi del DVR provochi, oltre che l’infortunio derivante dalla omissione di misure atte a scongiurare ciò che invece poi è avvenuto, anche un illecito risparmio economico e/o di tempo, la Corte è intervenuta su questo secondo aspetto, spesso trascurato rispetto al primo.

A nostro modesto avviso il punto di vista della Corte ricorda le motivazioni di fondo della giurisprudenza italiana in merito, e anche quelle europee, che hanno condotto alla Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989 recepita dalla normativa italiana prima con il del D.Lgs. 626/1994 e poi con D.Lgs. 81/2008.  Motivazioni che riguardano certamente la volontà di tutelare in modo efficace la salute dei lavoratori cosa già presente nell’Atto Unico Europeo del 1987 e nel Trattato di Amsterdam del 1997, ma in un quadro che intendeva rendere comparabili i costi tra le imprese europee.

Insomma non va dimenticato che carenze o furberie sul tema della salute e della sicurezza dei lavoratori non solo incidono sul bene primario della salute delle persone, ma di fatto attivano una concorrenza sleale di costi nei confronti di quelle imprese che impiegano tempo e denaro nel rispetto delle norme, da parte delle aziende che invece guardano al bene supremo del proprio portafoglio giocando sulla pelle dei propri lavoratori. In definitiva creando sì un danno alle imprese concorrenti, ma contemporaneamente ferendo l’idea stessa di concorrenza economica. Come scrisse Luigi Einaudi:

La pianta della concorrenza non nasce da sé, e non cresce da sola; non è un albero secolare che la tempesta furiosa non riesce a scuotere; è un arboscello delicato, il quale deve essere difeso con affetto contro le malattie dell’egoismo e degli interessi particolari, sostenuto attentamente contro i pericoli che da ogni parte lo minacciano sotto il firmamento economico.

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