Fattore umano e Valutazione dei rischi: riflessioni e domande aperte

Fonte: Punto Sicuro
articolo di Massimo Servadio
Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa e Psicologia della Sicurezza lavorativa

Oltre ad essere un obbligo del Datore di Lavoro non delegabile, la Valutazione del Rischio deve essere documentata, di tutti i rischi e coerente con l’attività lavorativa di interesse. E soprattutto dal punto di vista della coerenza, può sembrare un’operazione semplice, ma in realtà potrebbe rivelarsi un processo ricco di insidie.

Come si può dimostrare la coerenza con l’attività lavorativa di interesse? In che modo una valutazione del rischio, oltre che essere documentata, può risultare veramente coerente con la situazione o le situazioni reali all’interno dell’azienda in questione?

Cambiamenti del sistema di riferimento

Di sicuro si prendono in considerazione tutte le azioni di prevenzione per evitare che un evento avverso si manifesti, la domanda che un’organizzazione aziendale in questo caso si dovrebbe porre è “come possiamo agire affinché tali eventi non si manifestino?”. È chiaro che, spesso, le misure di prevenzione possono non risultare sufficienti, in quanto il sistema che ci circonda, ovvero la realtà aziendale, può risultare estremamente variabile; numerosi sono gli eventi che potrebbero comportare cambiamenti al sistema di riferimento, facciamo di seguito qualche esempio applicabile a tante aziende anche diverse tra loro, come ad esempio:

  • condizioni metereologiche
  • stato di strade o vie di transito
  • composizione delle squadre di lavoro
  • stato delle attrezzature di lavoro
  • carico di scaffalature
  • ritmi di lavoro
  • carichi di lavoro

L’organizzazione potrebbe non essere preparata a un cambiamento improvviso del sistema di riferimento, o comunque sottovalutarne l’importanza data la bassa statistica di accadimento dello stesso.

Il criterio standard di valutazione del rischio

È questo il momento in cui la prevenzione non basta più, e deve subentrare nel sistema di partenza la protezione, che quindi fa “da scudo” per tutti gli eventi avversi che potrebbero comportare un danno ai lavoratori.

Iniziamo in modo implicito a mettere in discussione il concetto di criterio standard di valutazione del rischio. Il fatto che un evento sia poco probabile, implica necessariamente che non avrà ripercussioni forti sulla persona che ha subito l’infortunio, e quindi, di conseguenza, sull’azienda? Per contro, il fatto che un evento sia frequente, ma che nella sua frequenza non abbia mai portato a conseguenze gravi, implica che allora possa essere sottovalutato?

Ciò che spesso si tende a dimenticare, è che un evento considerato “probabile” deve essere innanzitutto calcolato su un numero di dati tendenti all’infinito (più dati si hanno a disposizione, più ci si può avvicinare a un risultato realistico), e soprattutto questi dati devono essere estrapolati da un sistema che non cambia, quindi invariabile. In assenza di variabilità in un sistema la statistica non sarebbe neanche necessaria: un singolo elemento o unità campionaria sarebbe sufficiente a determinare tutto ciò che occorre sapere sul sistema stesso. Ne consegue, perciò, che oltre a raccogliere informazioni sul sistema, non sarebbe sufficiente fornire semplicemente una misura della media dei dati raccolti, ma servirebbero informazioni sulla variabilità del sistema, che purtroppo non sempre sono possibili.

La vera valutazione del rischio, a mio avviso, non risiede nel calcolo statistico secondo il quale un determinato evento avverso andrà a manifestarsi, ma nella risposta che l’azienda sarà in grado di dare nel momento in cui questo evento avrà luogo. La vera sicurezza, la valutazione coerente di tutti i rischi, risiede nella risposta ai rischi stessi.

Considerando che un sistema possa essere più o meno variabile, considerando che quindi non tutto potrà essere come di principio ci si era immaginato, o come ci si aspettasse che fosse, la domanda che l’organizzazione aziendale dovrebbe porsi è “siamo veramente pronti di fronte a un evento che si sperava non succedesse mai”?

E provando a entrare ulteriormente nello specifico, i lavoratori, sono pronti a rispondere al rischio? Cos’è che influenza la singola risposta all’evento avverso della singola persona, che quindi, in un’ottica di gruppo, di squadra, di organizzazione, è la risposta significativa?

Partiamo in primo luogo dalla percezione del rischio da parte del singolo individuo, ovvero il lavoratore. Siamo in grado di integrare nella matrice standard di rischio, la prospettiva secondo la quale i singoli lavoratori “vivono” la sicurezza?

Alcune domande per l’organizzazione aziendale

Di fronte a questa idea, o meglio, questa prospettiva, possono nascere per l’organizzazione aziendale ulteriori innumerevoli domande:

  • Abbiamo la certezza che tutti i lavoratori, dal primo all’ultimo, abbiano la giusta consapevolezza delle varie situazioni con cui possono interfacciarsi, e soprattutto la preparazione per poterle gestire?
  • Siamo sicuri che tutti i lavoratori, dal primo all’ultimo, sappiano realmente rispondere al rischio, qualora questo dovesse manifestarsi, indipendentemente dal fatto che questa manifestazione possa essere più o meno frequente?
  • Che strumenti diamo ai lavoratori per acquisire consapevolezza, percezione del rischio, e soprattutto risposta al rischio?
  • Come facciamo ad essere veramente sicuri che i lavoratori mettano in pratica tutte le misure di prevenzione e protezioni che emergono dalla valutazione dei rischi preliminare?

È ormai risaputo che l’infortunio sia un insieme di situazioni scorrette che decantano da tempo, non sempre necessariamente correlati a negligenze o mancanze dal punto di vista della prevenzione e dei sistemi di protezioni, ma proprio dalla variabilità delle condizioni di lavoro e dall’errore umano. Dove è preso quindi in considerazione l’errore umano? Un evento può essere poco probabile perché deriva da un’attenta analisi dei dati, e perché no anche da una riflessione approfondita sulla variabilità dell’ambiente di lavoro, ma si manifesta a fronte di un errore umano.

Purtroppo esistono tantissimi fattori fisiologici ad influenzare anche solo una singola azione di un lavoratore, che però inserita all’interno di un sistema variabile, può comportare un evento che causa l’infortunio al lavoratore stesso, o ad altri operatori che stanno lavorando nelle immediate vicinanze o nello stesso momento.

Prendiamo ad esempio fattori molto comuni, fattori che, purtroppo, possono risultare incalcolabili. Per quanto il singolo lavoratore possa avere la massima consapevolezza, il massimo rispetto delle procedure, e la massima preparazione sulla risposta al rischio, può capitare un qualsiasi imprevisto di tipo fisiologico per far accadere l’evento avverso, quale:

  • la stanchezza
  • la troppa confidenza
  • la fretta
  • una momentanea perdita di concentrazione, non necessariamente correlabile all’attività lavorativa che si sta svolgendo in quel momento

…e se si manifesta uno di questi fattori, come si risponde? L’organizzazione ha previsto una risposta al rischio di questo genere? Come rispondono i lavoratori?

E in fase preliminare, dove ricadono i fattori sopra elencati all’interno di un calcolo statistico? Come si fa a prevedere in qualche modo il fattore della stanchezza e del calo di concentrazione? Dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, possiamo trovare qualche risposta nella distribuzione dei carichi di lavoro, nella turnistica, nella collaborazione tra i componenti di squadre di lavoro ben assortite. Quindi in qualche modo possiamo dare un contributo al calcolo statistico inteso come un insieme di azioni preventive.

Ma stanchezza e calo di concentrazione, sono necessariamente correlate all’attività lavorativa specifica?

È ben inteso che fattori di questo tipo possono derivare non solo dal contesto lavorativo specifico, ma da situazioni puramente personali ed individuali, come ad esempio problemi di natura familiare o domestica, e che quindi indipendentemente dalla buona volontà, dalla preparazione, e dalla prontezza del lavoratore, possono penalizzare la sua individuale risposta al rischio.

E soprattutto, come è possibile calcolare o prevedere quale sarà il lavoratore o il gruppo di lavoratori che più risentono di questo fattori? I soggetti più predisposti, i lavoratori più vulnerabili, sui quali la risposta al rischio dovrà essere massima, dal momento che qualcos’altro potrebbe comportare un aumento statistico del verificarsi di un evento avverso?

Vengono davvero presi in considerazione questi quesiti, quando viene correlata una statistica per il calcolo del rischio a un’organizzazione aziendale?

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