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Fondazione di Dublino: primi risultati dell’Indagine Living, working e Covid-19 (Vita e lavoro e Covid 19)

living working covid-19

Lo scorso 9 aprile (2020) Eurofound ha lanciato un sondaggio elettronico, Living, working e COVID-19 (vita e  lavoro e Covid 19), con l’obiettivo di registrare  i cambiamenti avvenuti nel  lavoro e nel telelavoro nel corso degli ultimi tre mesi. Sono ora disponibili i primi risultati: i dati coprono una vasta gamma di argomenti tra cui: occupazione, orario di lavoro, equilibrio tra lavoro e vita privata, livello di telelavoro e  sicurezza del lavoro.

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La Banca dati nel suo complesso è esplorabile  per paese, sesso ed età. I risultati principali sono raccolti in un opuscolo scaricabile dal sito della Fondazione. Il sondaggio rimarrà on line nei prossimi mesi e i risultati finali saranno disponibili a settembre.

La maggior parte delle domande fa riferimento all’Indagine europea sulla qualità della vita (EQLS) e all’Indagine sulle condizioni di lavoro in Europa (EWCS) svolte da Eurofound, mentre altre domande sono nuove o adattate da altre fonti, quali le statistiche comunitarie sul reddito e sulle condizioni di vita dell’Ue.

Gli eventi degli ultimi mesi hanno avuto  importanti ripercussioni sulla vita e sul lavoro delle persone e gli effetti, di carattere economico e sociale, hanno avuto un significativo impatto  sul loro benessere fisico e mentale: molti degli intervistati segnalano alti livelli di solitudine insieme a  bassi livelli di ottimismo rispetto al  loro futuro. Complessivamente le persone rivelano una diminuzione del proprio  benessere. Gli intervistati stanno anche segnalando un drammatico calo di fiducia sia nei confronti dell’Unione europea che dei Governi nazionali.

I risultati del sondaggio confermano un aumento del telelavoro e, per un numero crescente degli intervistati, un sentimento di insicurezza nei confronti del proprio lavoro con una drastica riduzione dell’orario di lavoro.

Soddisfazione della vita, felicità e ottimismo sono al di sotto dei precedenti livelli

La crisi causata dalla pandemia ha avuto un enorme effetto sull’ottimismo delle persone nei confronti del proprio futuro: nell’aprile 2020 solo il 45% ha dichiarato, a livello europeo, di essere ottimista circa il proprio futuro, rispetto al 64%  che non lo è. Considerando i singoli paesi si registra ovviamente che i paesi più colpiti dalla pandemia hanno avuto un impatto negativo maggiore a livello di percezione del benessere. I risultati di alcuni paesi sono particolarmente significativi, ad esempio la soddisfazione nei confronti della vita in Francia (21° posto) ha raggiunto il livello più basso rispetto ai risultati di precedenti indagini condotte prima della crisi e l’Italia è appena un gradino al di sopra,  entrambi i Paesi  per quanto riguarda l’ottimismo  manifestato sono al  26° posto la Francia e al 22° l’Italia. Ma anche altri Stati membri quali il Belgio  e la Grecia registrano un calo dell’ottimismo al di sotto della media dell’Ue, mentre Danimarca e Finlandia hanno le valutazioni più alte.

La fiducia nell’assistenza sanitaria e nella polizia è superiore a fiducia nei governi, nei media e nell’UE

Gli europei segnalano livelli estremamente bassi di fiducia nell’Unione europea, nei confronti dei rispettivi governi nazionali e anche dei media: in particolare in diversi Stati membri tradizionalmente favorevoli all’Ue come la Francia, l’Italia e la Spagna. Tutto ciò solleva un interrogativo fondamentale in merito a come è stata percepita l’azione dell’Unione europea durante la crisi:  “è interessante notare che forse tale atteggiamento  riflette la percezione della mancanza di una strategia coordinata”. La fiducia nell’Unione europea è comunque più bassa di quella nei confronti dei governi nazionali.

La perdita del lavoro

Il fermo delle attività economiche ha fatto sì che in questa fase dell’indagine, oltre un quarto degli intervistati in tutta l’Ue ha segnalato di aver perso il proprio lavoro temporaneamente (23%) o in via permanente (5%):  gli uomini in giovane età sono i più colpiti.

Metà degli europei attivi ha subito una diminuzione delle ore di lavoro, di cui il 34% ha dichiarato che è diminuito “ di molto” mentre il 16% solo “un po’ ”. In particolare  Romania, Italia, Francia, Cipro e Grecia hanno dichiarato che il loro lavoro è diminuito “di molto”. Per un 7% degli intervistati il lavoro è invece aumentato. La maggior parte dei lavoratori il cui orario di lavoro non è cambiato vive in Svezia, Finlandia e Danimarca (rispettivamente 52%, 49% e 45%).

Quasi 4 su 10 dipendenti hanno iniziato il telelavoro

Oltre un terzo (37%) di coloro che attualmente lavorano nell’Ue ha iniziato il telelavoro a seguito della pandemia. Le maggior parte dei  lavoratori che sono passati al lavoro “da casa” li troviamo nei paesi nordici e nel Benelux (vicino al 60% la Finlandia e oltre il 50%  Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio e Danimarca e almeno il 40% in Irlanda, Svezia, Austria e Italia). Nei paesi in cui più persone hanno  iniziato a lavorare da casa, a causa della pandemia, si segnala un minor numero di lavoratori che riferisce in merito alla diminuzione dell’orario di lavoro.

Il 18% di tutti i lavoratori dichiara di lavorare anche durante il proprio tempo libero per soddisfare le esigenze lavorative

I risultati dell’indagine rivelano che il 18% di tutti i lavoratori riferisce di lavorare nel proprio  tempo libero almeno a giorni alterni. Mentre tra i lavoratori che lavorano da casa, causa  pandemia, è ben oltre un lavoratore su quattro (27%) che dichiara di  lavorare durante il proprio tempo libero per soddisfare le esigenze del lavoro (almeno a giorni alterni).

Durante le restrizioni legate alla pandemia, si è capito che il telelavoro sarebbe presto diventato un realtà per la maggior parte dei lavoratori: la “nuova normalità”. È quindi necessario affrontare i problemi connessi a tale modalità di lavoro, in particolare per quanto riguarda il pagamento degli  straordinari che sono connessi alla caratteristica fondamentale dell’utilizzo delle Information Communication Techologies (ITC), ovvero alla messa a disposizione del lavoratore “in qualsiasi momento e  ovunque”. È giunto il momento di regolamentare anche questa materia.

Indipendentemente dalla modalità di lavoro, circa il 30% dei lavoratori segnala di “preoccuparsi del lavoro anche  quando non lavora”: è questo il dato più elevato  delle cinque dimensioni indagate con riferimento al nesso tra vita personale e  vita lavorativa. Le condizioni considerate  tengono conto di: presenza di bambini sotto i 12 anni, bambini sotto i 12 anni e ragazzi tra 12 e 17, ragazzi tra i 12 e i 17, assenza di bambini. Considerando che la  seconda dimensione è quella più difficile da gestire (presenza sia di bambini sotto i 12 anni che di ragazzi tra i 12 e i 17 anni) la tabella che segue fa riferimento a tale dimensione.

Dimensioni del conflitto vita-lavoro
Preoccupati per il lavoro anche quando non si lavora 33%
Troppo stanchi dopo il lavoro per fare il lavoro domestico 23%
Il lavoro impedisce di dare tempo alla famiglia 24%
Difficile concentrarsi sul lavoro a causa della famiglia 16%
La famiglia impedisce di dedicare tempo al lavoro 12%
Condizione finanziaria

Circa il 40 % degli intervistati ritiene che la propria situazione finanziaria sia peggiore rispetto a prima della pandemia, ovvero il doppio rispetto alle indagini prima della crisi. Circa la metà segnala di non riuscire ad arrivare a fine mese e oltre la metà asserisce di non poter mantenere il proprio tenore di vita abituale. Il 42% ritiene che tale condizione peggiorerà nei prossimi tre mesi.  La situazione è ancora più drammatica per tre quarti dei disoccupati, i quali non possono tirare avanti per più di tre mesi e di cui l’82 % ha segnalato di non arrivare a fine mese.

> Visualizza e scarica i risultati dell’Indagine 

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